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Con i dazi al 10% a rischio 20 miliardi del made in Italy. Pesa il cambio euro-dollaro


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Le tariffe “ferme” al 10% sui prodotti europei negli Stati Uniti evitano gli effetti peggiori per l’economia Ue, ma secondo Confindustria rischiano di costare comunque fino a 20 miliardi al made in Italy nel 2026. Quasi un terzo dei 65-67 miliardi di valore complessivo raggiungono una fine 2024 dal nostro export negli Stati. Colpendo innanzitutto l’industria farmaceutica italiana, ma anche il food e il vino, la moda e l’abbigliamento, la meccanica e la produzione di auto (gli ultimi tre già in difficoltà tra caro energia e caro materiali). Con 118mila posti di lavoro a rischio. Anche se, soprattutto su farmaci e vino, l’Italia punta a esenzioni almeno parziali con dazi che scattano solo oltre un certo livello di volumi esportati, sul modello auto nell’accordo tra Usa e Gran Bretagna. A lanciare l’allarme sugli impatti dei dazi “ridotti” era stato l’altroieri il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, invitando a tenere d’occhio il combinatore disposto tra le nuove tariffe e la svalutazione del dollaro, il cui valore è sceso dell’11% in questi mesi, come non accadeva addirittura dal 1973.

Allarme in qualche modo confermato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «La forza relativa o meno del dollaro è una forma evidente di dazio implicita» ha spiegato ieri il titolare di Via Venti Settembre, intervenendo all’assemblea di Unione italiana Vini, aggiungendo che «il costo sicuro, immediato, dei dazi è quello dell’incertezza: un negoziato troppo lungo produce danni seri». Da qui la volontà di tutti i governi Ue di trovare l’accordo con gli Usa nelle prossime ore. Alla cifra dei 20 miliardi (ben più dei 3,5 stimati dall’Ocse per l’Italia a febbraio) si arriva considerando i dazi al 10%, la svalutazione del dollaro, la perdita di competitività, la riduzione dei volumi di export e altri effetti indiretti. Come spiegato da Orsini, un prodotto che un anno fa un’impresa italiana vendeva negli Usa a 100 dollari oggi al nostro cliente americano costa 123,5 dollari. Il 23,5% in più.

ALIMENTAZIONE E MEDICINA
Secondo l’Istat circa 3.300 aziende italiane sono molto esposte al mercato Usa e potrebbero subire ripercussioni. Quanto ai settori, l’impatto sulla farmaceutica (l’unico grande settore che ancora non ha subito nemmeno i dazi provvisori) per il presidente di Farmindustria, Marcello Cattani, sarebbe di «circa 2,5 miliardi». Una «sconfitta» a cui il settore cerca di ovviare aprendosi a nuovi mercati. Ma come detto il governo italiano spera di strappare tramite la Commissione Ue un’esenzione dei dazi almeno parziale, così come per il vino. Considerando che oggi l’offerta supera la domanda, a ottobre si rischia già di avere 90 milioni di ettolitri di vino fermi nelle cantine italiane, pari a quasi due raccolti, con conseguente crollo dei prezzi. Con i dazi al 10%, secondo Confcooperative e Coldiretti, i volumi esportati calerebbero poi dell’8-12% e fino a 190 milioni di euro in valore. In tutto, secondo Centromarca, i beni di largo consumo esportati negli Usa (in primis il cibo, ma anche prodotti per la cura personale e della casa) potrebbero perdere 500 milioni in valore il prossimo anno. L’Italia, d’altronde, è più esposta del resto d’Europa nell’export di prodotti finiti (19% delle sue esportazioni, contro l’11% europeo) e nell’alimentare (11% contro il 5%).

MACCHINARI E ACCIAIO
L’export di macchinari (come turboreattori e turbopropulsori) e veicoli italiani verso gli Usa (con dazi al 25%) valgono poi 24 miliardi. Di questi, poco meno di un terzo vengono da macchinari industriali e un sesto dalle auto. Secondo l’Agenzia Ice i dazi al 10% e al 25% costerebbero a questi settori oltre 2,5 miliardi nel 2027. Quanto all’acciaio (con dazi sempre al 25%), oggi l’Italia esporta negli Stati 300mila tonnellate, contro le 900mila del 2018. Secondo Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, c’è il rischio di avvicinarsi a zero. Non un pericolo diretto (visto che in tutto produciamo 21 milioni di tonnellate), ma indiretto, perché con i dazi mondiali l’Ue può essere invasa dall’acciaio cinese a basso costo, che drogherebbe il mercato danneggiando le imprese continentali.

ABBIGLIAMENTO
Secondo l’Istat tra i settori produttivi più esposti alla politica commerciale Usa, comparti come la moda e il mobilio subirebbero infine una contrazione ridotta, ma comunque tra il 2% e il 3%. Il mondo del tessile e della moda viene però da un anno duro. Nel 2024 l’interscambio di tessile-abbigliamento dall’Italia agli Usa è stato pari a 2,8 miliardi (-0,7% rispetto al 2023). Secondo Confartigianato con i dazi al 10% la moda potrebbe quindi perdere tra i circa 400 milioni e fino a un massimo di oltre un miliardo nel 2027. Mentre l’industria dei gioielli può perdere 140 milioni.





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