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Cultura e dintorni: in Sardegna il Campo largo eroga milioni in affidamenti diretti e la Giunta Todde parla di “scarsa trasparenza”.


Mentre la Sardegna si unisce alle proteste di altre regioni italiane contro i tagli ai finanziamenti statali per lo spettacolo dal vivo, dimentica di guardarsi allo specchio. Proprio qui, dove l’assessora regionale alla Cultura Ilaria Portas denuncia pubblicamente la “mancanza di pluralismo e trasparenza” nelle politiche ministeriali, nell’isola si continuano a distribuire milioni di euro con affidamenti diretti e discrezionali, destinati a eventi promossi da organizzazioni strategicamente vicine ai partiti di maggioranza (e diciamolo guardando le tabelle dell’ultima manovra finanziaria anche dell’opposizione).

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Una regione che invoca trasparenza e pluralismo a Roma, ma che a casa propria amministra i fondi pubblici come se fossero un bancomat elettorale, sostenendo sistematicamente circuiti culturali fidelizzati e tagliando fuori realtà indipendenti e innovative, data la presenza degli immancabili “emendamenti puntuali” e l’assenza di bandi ad evidenza pubblica per il settore culturale. È difficile, dunque, non leggere una clamorosa ipocrisia nell’atteggiamento della Giunta regionale di “Ale e soci”, che da un lato si dice preoccupata per l’impoverimento dell’offerta culturale, mentre dall’altro favorisce il consolidamento di una cultura “di filiera”, dove conta più l’orientamento politico dell’associazione che la qualità del progetto. Chissà quanti biglietti staccherebbero i cosiddetti concerti “dell’ideologia e delle trombe” dovendosi sostenere, come qualsiasi azienda in questo Paese, sulle proprie gambe…

Gli assestamenti di bilancio regionali e la prima manovra della Legislatura Todde (non abbiamo dubbi che tale prassi si prensenterà anche in occasione della seconda, sempre che il mandato della “presidente decaduta” non venga meno sotto la pressione dell’attuale processo in corso), celano sotto la voce “sostegno alla cultura” una distribuzione opaca di risorse. Nessun bando, nessun confronto competitivo: gli affidamenti diretti diventano lo strumento per garantire finanziamenti a chi sta “dalla parte giusta”, lasciando briciole – quando va bene – a chi rifiuta di piegarsi all’idea di sostenere ricandidature degli esponenti di via Roma. Il risultato? Un sistema chiuso, autoreferenziale e poco meritocratico, dove l’innovazione e la sperimentazione vengono scoraggiate, non premiate.

E mentre si parla di valorizzare il pluralismo, nella pratica si ignorano decine di compagnie, festival, artisti e spazi culturali indipendenti che da anni operano sul territorio con fatica (magari partecipando a band europei) e senza appoggi politici.

Fa specie, poi, che si invochi trasparenza mentre si continua a non rendere pubblici i criteri con cui vengono scelti gli eventi finanziati regionalmente, né le motivazioni delle esclusioni. Dove finisce la coerenza? Dove sono gli strumenti di controllo e valutazione indipendente?

Se davvero la Regione Sardegna vuole combattere le logiche mercantili e difendere la qualità culturale, inizi col dare l’esempio: pubblichi i criteri con cui assegna i finanziamenti diretti negli assestamenti di bilancio e in manovra finanziaria, apra i bandi a tutti, favorisca il confronto pubblico tra operatori, e smetta di usare la cultura come leva politica.

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Perché, altrimenti, più che una battaglia per il pluralismo, quella delle istituzioni sarde rischia di sembrare solo una guerra tra feudi culturali per chi “controlla la torta“. E mentre gli operatori indipendenti continuano a essere ignorati e i giovani artisti a emigrare, si celebrano eventi autoreferenziali con soldi pubblici, nella più classica delle tradizioni clientelari.



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