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Ue. Sfide e strategie per rilanciare la competitività


di Giuseppe Lai –

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Nei giorni scorsi si sono riuniti a Bruxelles i 27 capi di Stato e di governo dell’Unione Europea per discutere sui temi di stringente attualità internazionale, dai conflitti in corso ai dossier riguardanti la difesa e la sicurezza. Tra le tematiche affrontate, la promozione della competitività europea attraverso l’innovazione, un obbiettivo imprescindibile per l’Unione, considerato il gap tecnologico rispetto ai player internazionali come gli Stati Uniti e la Cina. Tale divario, pur collocandosi tra le criticità attuali, affonda le sue radici nel passato ed è riconducibile al disallineamento dell’Ue rispetto all’evoluzione nel tempo di tre fattori: commercio, energia e difesa.
Nel periodo intercorrente tra il post Guerra Fredda e lo scenario attuale, le tre variabili hanno inciso in modo differente sul modello di sviluppo europeo. In una prima fase storica, intercorsa tra il 2000 e il 2019, l’Europa ha beneficiato della crescita degli scambi commerciali mondiali e la sua quota del commercio internazionale sul Pil è passata dal 30% al 43%. L’apertura agli scambi ha fatto sì che l’Europa potesse importare liberamente i beni e i servizi di cui era carente, dalle materie prime alle tecnologie avanzate, esportando al tempo stesso i prodotti manifatturieri in cui era specializzata soprattutto verso i mercati in crescita del continente asiatico.
Sul piano energetico l’Ue importava petrolio e gas naturale dalla Russia, garantendosi un approvvigionamento a prezzi relativamente bassi e stabili e sostenendo la crescita economica e la competitività dei propri sistemi industriali. Tali vantaggi competitivi sono emersi anche grazie a una fase di stabilità geopolitica, garantita sul piano della difesa dall’egemonia statunitense che ha permesso all’UE di separare in larga misura la politica economica dalle preoccupazioni in tema di sicurezza. In altri termini, “l’ombrello americano” ha consentito all’Europa di contenere le spese per la difesa liberando budget da destinare ad altri obbiettivi di sviluppo.
Dopo il 2019 iniziano ad emergere i primi segnali di cambiamento dello scenario. Commercio, energia e difesa, i tre fattori che avevano sostenuto il modello di crescita europeo diventano una sfida per l’Unione. Il tasso di incremento del commercio mondiale, che nel periodo 2000-2019 aveva registrato una media annuale del 4,9%, intraprende un trend discendente, ulteriormente aggravato dalla pandemia e, secondo le stime del FMI, il suo valore dovrebbe attestarsi sul medio termine intorno al 3,2%, ben al di sotto della media precedente. Una transizione cruciale per le imprese europee, che si trovano ad affrontare un nuovo ostacolo rappresentato dalla crescente pressione competitiva dei grandi player sui mercati internazionali, in primis Cina e Stati Uniti.
Rispetto alla Cina la sfida diventa doppia: da un lato il Dragone ha ridotto l’import di prodotti dal Vecchio Continente, dall’altro è aumentata la concorrenza delle imprese cinesi nell’export dell’eurozona. Un esempio è dato dal fattore competitivo cinese sull’export tedesco, tradizionalmente il motore della locomotiva europea. La Cina ha sempre importato dalla Germania macchinari, prodotti chimici e componenti di alta precisione, ma l’evoluzione del Dragone come leader globale nel settore dei veicoli elettrici ha cambiato drasticamente le dinamiche tradizionali dell’industria automobilistica tedesca e anche europea. Se in passato la Cina rappresentava un mercato fondamentale per i prodotti tedeschi, oggi si configura come un temibile concorrente, capace di competere non solo sui costi ma anche sull’innovazione tecnologica.
Secondo la BCE, la quota di settori in cui la Cina è in diretta concorrenza con le esportazioni della zona euro è ora vicina al 40%, rispetto al 25% del 2002. In ambito commerciale un altro fattore di discontinuità è rappresentato dalle tensioni tra Cina e Stati Uniti, con l’attuale tendenza ad imporre dazi e a ridurre l’import a protezione delle rispettive industrie nazionali, fatto che costituisce un freno anche alle esportazioni europee. In tale contesto va anche considerata la riduzione dell’interdipendenza commerciale tra le principali economie, un trend che alcuni analisti considerano l’anticipo di una de-globalizzazione. Ad esempio, mentre l’Ue dipende in larga misura dalla Cina per i minerali essenziali e le materie prime critiche, la Cina dipende dall’UE per assorbire la sua sovraproduzione industriale. Ma questo equilibrio globale sta cambiando: tutti i player più importanti si stanno impegnando a ridurre l’interdipendenza e ad aumentare il proprio margine di azione indipendente.
Gli Stati Uniti stanno investendo in capacità nazionali per la produzione di semiconduttori e tecnologie pulite e la Cina punta all’autarchia tecnologica e all’integrazione verticale della catena di approvvigionamento, dall’estrazione delle materie prime alla lavorazione, fino alla produzione e alla spedizione. Per l’Europa, data la sua elevata esposizione commerciale, l’accelerazione di tale tendenza costituisce un ulteriore ostacolo, che impone una riflessione profonda sulla necessità di rompere con i vecchi schemi e perseguire una propria autonomia strategica. Anche per quanto riguarda i comparti dell’energia e della difesa, le difficoltà non mancano. Con la fine della normalizzazione delle relazioni Russia-Ue a causa del conflitto russo-ucraino, è finita l’era delle fonti energetiche a buon mercato e l’Unione ha dovuto reindirizzare ingenti risorse fiscali verso i sussidi energetici, la costruzione di nuove infrastrutture e l’attivazione di nuovi canali di approvvigionamento di petrolio e gas naturale liquefatto. Il paradigma è mutato anche sul piano geopolitico, col deterioramento delle relazioni internazionali che costringe l’Ue ad acquisire una nuova postura di fronte allo spostamento dell’asse strategico statunitense verso l’indopacifico e il suo allontanamento dall’Europa. A fronte di un quadro complessivo notevolmente mutato rispetto al passato, l’Europa deve cambiare passo e mettere in atto una riforma radicale delle proprie strategie. La prima riguarda le tecnologie avanzate che guideranno la crescita futura a livello globale, ambito nel quale l’Europa è in una condizione di profonda arretratezza.
Nonostante il talento non manchi, le aziende europee investono molto meno in ricerca e sviluppo rispetto agli Stati Uniti: basti pensare che nel 2021 hanno speso circa 270 miliardi di euro in meno rispetto alle aziende americane. Ciò ha un impatto inevitabile sul piano della competitività e i dati parlano chiaro: solo quattro delle prime 50 aziende tecnologiche del mondo sono europee mentre, ad esempio, circa il 70% dei modelli di base di IA sono stati sviluppati negli Stati Uniti già a partire dal 2017. L’Europa deve urgentemente accelerare il proprio tasso di innovazione e colmare il divario con i principali competitor globali, attivando accordi commerciali con le nazioni ricche di risorse e creando partnership industriali. Questa capacità è essenziale per sopperire ai limiti strutturali della produzione interna in alcuni settori, permettere alle imprese europee di affacciarsi sui mercati esteri e avere la possibilità di gestire interessi e sfide comuni. Per liberare il potenziale dell’innovazione è tuttavia essenziale che l’Europa venga percepita non come un insieme di mercati nazionali, ma come uno spazio integrato. Le idee innovative non devono conoscere confini e le aziende devono progettarle fin dall’inizio per una dimensione europea. Questo richiede non solo un armonizzazione normativa ma anche infrastrutture digitali comuni e accesso trasparente a finanziamenti pubblici per progetti transnazionali, con una strategia unitaria sul trasferimento tecnologico e sulla valorizzazione della ricerca applicata.



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