Il presidente di Federacciai: «Rivedere gli obiettivi green, L’Europa deve rendersi conto che la neutralità carbonica entro il 2050 è irraggiungibile»
L’Italia oggi esporta negli Stati Uniti 250 mila tonnellate di acciaio. «Nel 2018, anno in cui la prima amministrazione Trump ha introdotto dazi del 25% sulle importazioni dall’Ue, ne esportavamo 900 mila tonnellate. Oggi l’export verso gli Usa è meno dell’1% della produzione nazionale», sottolinea Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea.
Da un mese le tariffe su acciaio e alluminio sono raddoppiate arrivando al 50%. Cosa significa per il settore?
«Il rischio è che le esportazioni verso gli Usa si azzerino. Ma più che l’effetto dei dazi, ci preoccupano gli effetti indiretti. A partire dal rallentamento dell’economia mondiale. In più l’acciaio è un indicatore di ciclo economico: una frenata della siderurgia anticipa trend negativi che si riflettono su tutta la manifattura. L’altro rischio è che sul mercato europeo, che è il più aperto del mondo, ci sia un’invasione di acciaio dalla Cina e altri Paesi asiatici che a causa dei dazi non riescono a esportare negli Usa».
Che cosa può fare l’Europa al fine di tutelare le imprese?
«Deve proteggere la propria industria. Gli aiuti statali alla siderurgia cinese hanno determinato forti squilibri e i dazi che l’Ue si è autoimposta per scelte ideologiche e anti-industriali hanno consentito all’industria cinese di diventare leader in tutti i segmenti della decarbonizzazione».
Si riferisce in particolare al Green Deal?
«Ma serve una vera svolta. L’Europa deve rendersi conto che l’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050 è irraggiungibile, a meno che non si voglia andare incontro alla desertificazione industriale. Bisogna promuovere tutte le forme di decarbonizzazione, dal nucleare ai biocarburanti, non puntare solo sull’elettrico come si è fatto finora».
Federacciai ha ricordato più volte che l’Italia è leader nella produzione di acciaio green, ma siete contrari all’azzeramento delle quote gratuite di CO2.
«In Italia l’85% della produzione di acciaio è da forno elettrico, ma non tutto l’acciaio si fa così. Far scomparire le quote gratuite equivale a far chiudere gli altoforni, vale a dire il 60% della siderurgia europea. Il cosiddetto profondo stampaggio con il forno elettrico non si può realizzare. Significa dare il colpo di grazia all’automotive».
Cosa succederebbe?
«I produttori di auto europei, se non cambiano le regole, dovranno importare dall’Asia i componenti realizzati con il profondo stampaggio».
A proposito di decarbonizzazione, lei ha detto che per l’ex Ilva è impossibile in tempi brevi.
«Ci vorranno 5 anni, nel frattempo occorre che l’Aia consenta l’esercizio di almeno due altiforni. Come possiamo pensare che qualcuno investa se non si può produrre, a meno che non si voglia far chiudere l’impianto».
5 luglio 2025
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