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Balneari, canoni dimezzati ma prezzi in spiaggia alle stelle


Un allegato tecnico al decreto Salva-infrazioni firmato dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini prevede sconti fino al 50% sui canoni demaniali marittimi per i concessionari balneari. Ma a fronte di canoni scontati, i prezzi per i turisti – ombrelloni, lettini, caffè e pranzi in riva al mare – non solo non calano, ma continuano a crescere. La domanda sorge spontanea: chi ci guadagna davvero da questa situazione?

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Aumentano i prezzi per chi va in spiaggia

Secondo le previsioni dell’Osservatorio Panorama Turismo – Mare Italia di Jfc, l’estate 2025 porterà 406,1 milioni di presenze nelle località balneari italiane. Il dato è sostanzialmente stabile (+0,3%) rispetto alla scorsa estate e ancora in lieve calo (-1,4%) rispetto all’ultimo anno pre-Covid, il 2019.

La vera notizia però è che, a prescindere dalle presenze, il fatturato complessivo atteso è di 33,7 miliardi di euro, con un incremento del +2,3% rispetto al 2024 e un +5,8% sul 2019. Un risultato che testimonia come il turismo balneare italiano resti una macchina da soldi potentissima, capace di produrre ricchezza anche con un flusso di visitatori non in crescita esplosiva.

Eppure, nonostante le entrate record, i prezzi in spiaggia continuano a salire: l’Osservatorio prevede per il 2025 un aumento medio del 5,5% a persona per le vacanze in località di mare, che si somma al +20,5% cumulato delle due stagioni precedenti. In altre parole, in tre anni la spesa per una vacanza al mare è salita di quasi un quarto.

Nello specifico, i servizi di spiaggia – ombrelloni, lettini, docce – registrano un rincaro del +4,2% rispetto alla scorsa estate. La ristorazione invece aumenta ancora di più: +6,6% per mangiare o bere al bar, al ristorante o direttamente sotto l’ombrellone.

Il decreto che dimezza i canoni ma non i costi

Con le modifiche al decreto Salva-infrazioni, gli attuali gestori degli stabilimenti vedranno ridursi i canoni fino al 50%. In pratica, mentre l’Europa insiste per avviare gare pubbliche e aprire il mercato delle concessioni, il governo italiano offre un importante sconto agli operatori storici, in gran parte eredi di concessioni assegnate decenni fa senza concorrenza.

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Questo taglio – che per Matteo Salvini è una misura necessaria per tutelare la stabilità del settore – di fatto alleggerisce drasticamente i costi fissi per i balneari. Ma i benefici di questo sconto, almeno per ora, non si traducono in un calo delle tariffe per i clienti.

Un ombrellone e due lettini in una spiaggia attrezzata, quest’estate, costeranno in media tra i 30 e i 60 euro al giorno nelle destinazioni più rinomate, con punte di 100 euro in località glamour come Forte dei Marmi o Porto Cervo. A questi si sommano i rincari della ristorazione in spiaggia, dove un pranzo veloce può superare facilmente i 30-40 euro a persona.

Eppure, nonostante la spesa, molti stabilimenti continuano a offrire servizi datati: docce fredde a gettone, spazi ristretti tra un ombrellone e l’altro, mancanza di servizi per persone con disabilità. In molte località, le spiagge libere restano poche.

Chi ci guadagna davvero?

A beneficiare del provvedimento sono chiaramente i concessionari balneari, che grazie al taglio dei canoni, potranno aumentare i propri margini di profitto. Se da un lato è vero che la gestione di uno stabilimento comporta costi importanti (manutenzione, personale, tasse locali, investimenti), è altrettanto vero che in molti casi si tratta di attività altamente redditizie.

Basti pensare che, secondo il rapporto Jfc, le spiagge italiane generano quasi 34 miliardi di euro di fatturato, un valore paragonabile al PIL di una piccola regione.

I turisti, invece, continueranno a pagare prezzi alti (e in crescita), mentre lo Stato potrebbe paradossalmente perderci. Se da un lato il governo sostiene che lo sconto ai balneari serva a tutelare l’occupazione e la stabilità del settore, dall’altro il dimezzamento dei canoni significa meno introiti per le casse pubbliche.  In un momento storico in cui le risorse potrebbero essere investite per migliorare l’accessibilità, la sostenibilità e la qualità delle spiagge libere.

Senza contare il fatto che, sul tema delle concessioni pende da anni la procedura di infrazione europea. La direttiva Bolkestein impone l’obbligo di gare pubbliche per l’assegnazione delle concessioni, ma l’Italia continua a rinviare, con proroghe e decreti che favoriscono i concessionari attuali. Questo atteggiamento rischia di esporre il Paese a pesanti sanzioni da parte dell’UE, oltre a rappresentare un freno alla modernizzazione del settore balneare.

L’obiettivo delle gare non è “punire” i balneari, ma introdurre concorrenza per stimolare investimenti, servizi migliori e tariffe più competitive a beneficio dei turisti. Al contrario, mantenere un sistema bloccato e continuare a ridurre i canoni potrebbe avere l’effetto opposto: alimentare rendite di posizione senza incentivare l’innovazione.

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