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La Settimana Economica 30/06 – 07/07


Politica fiscale espansiva negli USA: l’approvazione del cosiddetto Megabill da parte dell’amministrazione Trump consolida un approccio marcatamente espansivo, che combina tagli fiscali strutturali, incrementi della spesa militare e restrizioni su welfare e immigrazione. Tuttavia, il pacchetto rischia di aggravare sensibilmente il disavanzo federale, mentre la Federal Reserve mantiene una postura cauta e condizionata ai dati, lasciando aperta l’ipotesi di un taglio dei tassi solo in caso di deterioramento dell’inflazione o del mercato del lavoro.

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Target raggiunto, ma lo sguardo resta rivolto all’esterno: nell’eurozona, l’inflazione ha raggiunto il 2%, centrando l’obiettivo della BCE. Tuttavia, le crescenti incognite sul fronte commerciale – in particolare la possibile fine della moratoria statunitense sui dazi – inducono prudenza a Francoforte. La Commissione Europea è impegnata a evitare un’escalation tariffaria che potrebbe colpire settori strategici come automotive e metalli.

Italia, resilienza e cautela: sul fronte domestico, l’Italia mostra segnali incoraggianti: occupazione ai massimi storici, potere d’acquisto in crescita e inflazione contenuta. Tuttavia, il Paese resta vulnerabile alla debolezza del ciclo europeo e agli effetti degli shock esogeni, rendendo cruciale un coordinamento efficace tra politica economica nazionale e orientamento della BCE nella seconda metà dell’anno.
 

INDICATORI MACROECONOMICI CHIAVE

Inflazione:
Italia: +1,7%, dal precedente +1,6% ⬆
Eurozona: +2% dal precedente +1,9%. ⬆
Inghilterra: +3,4% dal precedente +3,5% ⬇
Stati Uniti: +2,4% dal precedente +2,3% ⬆

Disoccupazione:
Italia: +6,5% da precedente +6,1% ⬆
Eurozona: +6,3% da precedente +6,2% ⬆
Inghilterra: +4,6% dal precedente +4,4% ⬆
Stati Uniti: +4,1% dal precedente +4,2% ⬇

Tassi d’interesse:
Eurozona: 2,15%
Stati Uniti: 4,25 – 4,5%
Inghilterra: 4,25%

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PIL: Q1 2025:
Italia: +0,3%
Eurozona: +0,6%
Inghilterra: +0,7%
Stati Uniti: -0,5%

EUR/USD: 1,17756, +0,63% questa settimana, +15,27% da inizio anno 
DXY: 96,906, -0,39% questa settimana, -11,48% da inizio anno 

MERCATI FINANZIARI 

FTSE MIB: 39622,11, -0,30% questa settimana, +15,35% da inizio anno
STOXX 600: 539,05 punti, -0,9% questa settimana, +6% da inizio anno 
DAX: 23787,45,-1% questa settimana, +20,37% da inizio anno 
IBEX: 13973,01,-1,7% questa settimana, +23,16% da inizio anno 
CAC: 7696,28 ,-1,2% questa settimana, +5,85% da inizio anno 
NASDAQ: 20601,10, +1,62% questa settiman, +6,17% da inizio anno 
SP 500: 6279,36, +1,72% questa settimana, +6,37% da inizio anno 
US10Y: 4,35%, +8 punti base questa settimana, -29 punti base da inizio anno 
US02Y: 3,89%, +14,3 punti base questa settimana, -36,2 punti base da inizio anno 
US10Y-US02Y: 0,46%, -6,3 punti base questa settimana, +7,2 punti base da inizio anno
IT10Y: 3,47%, -3 punti base questa settiman, -0,7 punti base da inizio anno 
SPREAD: 88,50 punti base, -1,6 punti base questa settimana, -28,6 punti base da inizio anno 
VIX: 16,37, +0,24% questa settimana, -4,88% da inizio anno

FOCUS DELLA SETTIMANA

Nazionalismo economico e trasformazione dello Stato sociale: il nuovo paradigma trumpiano

La scorsa settimana è stato approvato il “Megabill”, una legge di circa 900 pagine che incarna la visione di nazionalismo economico di Donald Trump: meno Stato sociale, più spesa per difesa e sicurezza interna, e nuovi tagli fiscali. Il tutto rischia di far esplodere un deficit federale, un macigno ormai di lungo termine.

Una riforma fiscale per pochi: il cuore della manovra è l’estensione permanente dei tagli fiscali del 2017, affiancata da nuove deduzioni per lavoratori e famiglie, inclusi incentivi per straordinari e mance, agevolazioni per gli over 65 e un aumento del credito d’imposta per i figli. Le imprese beneficiano della deduzione totale e immediata per investimenti e attività di ricerca. Tuttavia, secondo il Congressional Budget Office (CBO), l’impatto distributivo è fortemente sbilanciato: le famiglie ad alto reddito guadagnerebbero in media 12.000 dollari l’anno, mentre quelle a basso reddito perderebbero circa 1.400 dollari, a causa del ridimensionamento dell’intervento pubblico.

Immigrazione e sicurezza: ritorna il muro, il “Megabill” indirizza 350 miliardi di dollari al rafforzamento delle frontiere, proseguendo la costruzione del muro con il Messico, ampliando i centri di detenzione (fino a 100.000 posti) e assumendo 10.000 agenti ICE, ciascuno con un bonus di firma da 10.000 dollari. L’obiettivo esplicito: un milione di deportazioni all’anno. Introdotte inoltre nuove tasse sui richiedenti asilo.

Welfare sotto attacco: sul fronte sociale, la legge impone requisiti lavorativi più rigidi per accedere a Medicaid e SNAP (ex food stamps), richiedendo almeno 80 ore mensili di attività. Introdotto anche un pagamento da 35 dollari per l’utilizzo dei servizi Medicaid. Il CBO stima che entro il 2034 queste misure potrebbero privare circa 11,8 milioni di cittadini della copertura sanitaria ed escludere 3 milioni di persone dall’assistenza alimentare.

Freno alla transizione ecologica: la legge revoca gran parte dei crediti fiscali per le energie rinnovabili e anticipa la fine degli incentivi per i veicoli elettrici, puntando invece a sostenere il carbone metallurgico.

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Il nodo del disavanzo pubblico: secondo le stime ufficiali, il pacchetto potrebbe aumentare il deficit federale di 3.300 miliardi di dollari entro il 2034. I repubblicani contestano i calcoli, sostenendo che si tratti in larga parte di estensioni di misure esistenti. Tuttavia, diversi osservatori indipendenti denunciano l’uso di tecniche contabili opache e discutibili.

Ritorno al Mercantilismo? Una nuova dottrina commerciale: sul piano internazionale, il Megabill si accompagna a un’offensiva protezionistica. A partire dal 9 luglio, infatti, gli Stati Uniti imporranno dazi unilaterali fino al 70% su alcune categorie di importazioni, promuovendo accordi bilaterali al posto delle intese multilaterali. Intese sono già state siglate con Regno Unito e Vietnam, mentre con la Cina è in vigore una tregua provvisoria. Le reazioni dei mercati sono state immediate, con forti cali nelle borse asiatiche ed europee e un indebolimento del dollaro.

Le incognite elettorali: se da un lato il Megabill rafforza la leadership trumpiana all’interno del Partito Repubblicano, dall’altro apre una frattura potenziale con l’elettorato popolare e rurale, storicamente più vulnerabile ai tagli al welfare. In vista delle elezioni di midterm del 2026, il pacchetto potrebbe rivelarsi un boomerang elettorale.

Per concludere, il “Megabill” rappresenta molto più di una legge di bilancio: è la manifestazione concreta di una nuova dottrina trumpiana, fondata su riduzione dello Stato sociale, protezionismo commerciale e una forte impronta ideologica. Il suo impatto potrebbe ridefinire l’architettura economica e politica degli Stati Uniti per l’intero prossimo decennio.
 

Trump vs Powell: una prova per l’indipendenza monetaria

Le ultime dichiarazioni del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, confermano un’impostazione orientata alla massima flessibilità operativa, in risposta alla crescente incertezza del contesto economico e politico. Intervenuto martedì scorso durante un panel istituzionale, Powell ha lasciato intendere che l’istituto centrale potrebbe rivedere le tempistiche e i criteri per eventuali tagli dei tassi, soprattutto se l’impatto effettivo dei nuovi dazi annunciati da Trump dovesse rivelarsi più contenuto del previsto.

Sul fronte dell’inflazione, l’indice “core” – che esclude alimentari ed energia – è salito al 2,7% a maggio, mantenendosi sopra il target del 2%. Questo dato, cruciale nella definizione della politica monetaria, rafforza la cautela della Fed. Tuttavia, Trump continua a invocare una politica monetaria espansiva, sostenendo che un taglio dei tassi aiuterebbe a contenere la spesa per interessi sul debito pubblico. Una posizione che, però, entra in contrasto con il doppio mandato della banca centrale: stabilità dei prezzi e piena occupazione.

Nel dibattito analitico si fa strada un’ipotesi alternativa: un eventuale ciclo di allentamento monetario non sarebbe guidato da segnali di disinflazione, ma piuttosto dagli effetti negativi dei dazi sull’economia reale, minori investimenti, compressione dei margini, rallentamento occupazionale, con possibili ricadute recessive.

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Il primo semestre del 2025 aveva mostrato i segnali classici di una crisi di fiducia, borse in calo, rendimenti in salita, dollaro debole. Ma la narrativa si è rovesciata. I mercati azionari statunitensi hanno toccato nuovi massimi, alimentati dalle attese (finora speculative) di una svolta “dovish” della Fed. Queste attese sono state in buona parte forzate dalle pressioni pubbliche di Trump, nonostante l’assenza di veri segnali di rallentamento macro. Le stesse previsioni della Federal Reserve indicano infatti un rischio di stagflazione, con inflazione elevata e crescita contenuta.

In questo contesto, il deprezzamento del dollaro si rivela funzionale alla strategia dell’amministrazione Trump: rilanciare l’export per riequilibrare il deficit commerciale, puntando su accordi bilaterali più favorevoli agli interessi statunitensi.

In sintesi la dialettica tra indipendenza della Federal Reserve e interferenza politica dell’esecutivo entra in una fase critica. La tenuta di questo equilibrio sarà decisiva per la stabilità dell’economia e della democrazia  degli Stati Uniti nei prossimi mesi, tra pressioni elettorali, rischio di stagflazione e la gestione di una politica commerciale sempre più aggressiva.
 

Wait and Hope or Just Wait? Il lavoro tiene, la Fed aspetta

Il report sull’occupazione statunitense di giugno, pubblicato il 3 luglio, ha sorpreso positivamente i mercati: 147.000 nuovi posti di lavoro, ben oltre le attese di 110.000. Tuttavia, la crescita occupazionale è trainata quasi esclusivamente dal settore pubblico e sanitario, mentre il manifatturiero registra la seconda contrazione consecutiva, segnale di debolezza legata alle nuove politiche commerciali restrittive.

Il tasso di disoccupazione scende al 4,1%, ma il calo è in parte dovuto a una diminuzione della partecipazione alla forza lavoro (62,3%, minimo dal 2022), in particolare tra i lavoratori immigrati, colpiti dagli effetti indiretti delle recenti politiche migratorie e deportazioni.

In questo contesto, la Federal Reserve resta prudente. Sebbene il presidente Powell abbia aperto alla possibilità di un taglio dei tassi nella seconda metà del 2025, la decisione dipenderà da un eventuale peggioramento dell’inflazione o dei dati reali. L’attuale resilienza occupazionale consente alla banca centrale di monitorare senza fretta l’impatto cumulativo dei dazi e delle restrizioni migratorie.

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Sul piano analitico, l’attenzione della Fed si concentra sempre più sul tasso di disoccupazione, piuttosto che sulla sola crescita occupazionale. Le strozzature dal lato dell’offerta, dovute alla contrazione della forza lavoro potenziale, potrebbero frenare l’occupazione anche in presenza di domanda stabile. In questo scenario, il rischio è quello di sottovalutare segnali di rallentamento ciclico mascherati da una forza lavoro ridotta.
 

La BCE alza bandiera bianca, mentre Trump rilancia lo scontro

Nel mese di giugno, l’inflazione nell’eurozona ha raggiunto il 2%, centrando esattamente il target della Banca Centrale Europea. Il lieve aumento rispetto all’1,9% di maggio segnala una stabilizzazione del quadro inflazionistico, anche se la BCE mantiene alta l’attenzione, soprattutto sul dato “core” e sui rischi esterni.

Dopo otto tagli consecutivi dei tassi a partire da giugno 2023, la Banca centrale europea sembra ora orientata a una pausa nella riunione di luglio, con nuovi interventi posticipati verosimilmente al 2025. A condizionare le scelte sono le crescenti tensioni geopolitiche, in particolare legate alla possibile fine della moratoria sui dazi USA voluta da Trump.

Nel caso in cui non si raggiungesse un accordo bilaterale, l’introduzione di dazi del 25% su auto e del 50% su metalli rappresenterebbe, secondo gli analisti, uno shock significativo per l’economia europea, già in rallentamento. Oltre al rischio diretto sull’export, la deviazione verso l’Europa di beni asiatici a basso costo potrebbe avere effetti disinflazionistici, comprimendo ulteriormente i prezzi interni.

In questo scenario, la BCE adotta una posizione attendista, mantenendo la prudenza fino a quando il contesto globale non offrirà segnali più chiari. Le decisioni future sui tassi dipenderanno non solo dall’inflazione interna, ma anche dall’evoluzione delle politiche commerciali globali e dai relativi impatti sul ciclo economico dell’area euro.
 

Lavoro, redditi e prezzi: l’Italia inizia il 2025 con segnali misti ma incoraggianti

L’Italia apre la prima metà del 2025 con indicatori macroeconomici complessivamente positivi, nonostante alcune persistenti incertezze. Secondo i dati preliminari Istat, a maggio gli occupati hanno raggiunto 24,3 milioni, il massimo storico dal 2004. Rispetto ai livelli pre-pandemia, si tratta di un incremento di 1,3 milioni di unità, guidato dai contratti a tempo indeterminato (+388.000 su base annua) e dagli autonomi, mentre calano i lavoratori a termine, segnalando una possibile stabilizzazione contrattuale.

Il tasso di occupazione sale al 62,9%, anch’esso record, ma a sorpresa aumenta anche la disoccupazione, al 6,5% (+0,4 punti). Questo dato riflette un aumento dell’offerta di lavoro, con più persone attive e in cerca di impiego. Il tasso di inattività scende infatti al 32,6%. Resta alta la disoccupazione giovanile, che risale al 21,6%.

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Sul piano dei redditi, le famiglie italiane risultano più solide: nel primo trimestre 2025 il potere d’acquisto cresce dello 0,9%, proseguendo un trend positivo iniziato nel 2023. Cresce anche la propensione al risparmio, segno sia di prudenza che di un contesto economico più favorevole. La pressione fiscale sale al 37,3%, in gran parte per via dell’aumento del gettito sui fondi pensione.

L’inflazione si mantiene moderata: a giugno si attesta all’1,7% annuo, in lieve rialzo rispetto all’1,6% di maggio. I prezzi degli alimentari (+3,5%) e del carrello della spesa (+3,1%) trainano la crescita, mentre l’energia regolamentata rallenta e contribuisce a contenere la pressione generale. L’inflazione di fondo sale al 2,1%, segnalando una certa persistenza delle pressioni interne sui prezzi.

L’Italia si muove verso un quadro macroeconomico più solido, con un mercato del lavoro attivo, redditi in recupero e inflazione sotto controllo. Le prossime rilevazioni saranno fondamentali per capire se questa traiettoria potrà consolidarsi in una ripresa strutturale, o se le incognite esterne – commerciali, fiscali o geopolitiche – ne freneranno il potenziale.

 

PROSPETTIVE 

Nel secondo semestre del 2025, lo scenario macroeconomico globale resta esposto a tensioni sistemiche di rilievo, generate dall’intreccio tra fattori geopolitici, instabilità commerciale e una crescente divergenza tra le principali politiche monetarie.

Negli Stati Uniti, la Federal Reserve mantiene un approccio data-dependent, volto a preservare margini di flessibilità in un contesto dai segnali contrastanti: da un lato, un mercato del lavoro ancora solido; dall’altro, un possibile raffreddamento dell’inflazione che potrebbe riaprire lo spazio per interventi espansivi. Tuttavia, il consolidamento fiscale e l’inasprimento tariffario promosso dall’amministrazione Trump complicano il quadro, incidendo sia sul commercio internazionale che sulla fiducia degli operatori.

In Europa, il contesto è pressoché opposto. La Banca Centrale Europea si trova a gestire una situazione in cui il rischio dominante è quello di una stagnazione prolungata. Il rafforzamento dell’euro, la debolezza del credito e le pressioni disinflazionistiche esterne stanno erodendo lo spazio di manovra per la politica economica. In questo scenario, un ulteriore taglio dei tassi nel corso del 2025 appare sempre più probabile, soprattutto se le tensioni commerciali globali dovessero tradursi in un indebolimento dell’export europeo e in una maggiore concorrenza asiatica a basso costo sul mercato interno.

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Per quanto riguarda l’Italia, i dati del primo semestre descrivono un quadro relativamente favorevole, sostenuto dal rafforzamento del mercato del lavoro, dall’aumento del potere d’acquisto e da un’inflazione contenuta. Tuttavia, la sostenibilità di questa traiettoria dipenderà in larga misura dall’evoluzione del contesto esterno: la stabilità dell’eurozona, l’orientamento della BCE e la capacità del governo di stimolare la domanda interna senza mettere a rischio gli equilibri di bilancio.

In questo contesto, sarà cruciale un coordinamento efficace tra politica fiscale e politica monetaria. Solo così si potrà evitare un ritorno a dinamiche recessive e trasformare la ripresa congiunturale in una crescita strutturalmente solida.



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