L’ingiustizia dei prezzi del cacao
Negli ultimi anni il prezzo del cacao ha raggiunto livelli record, spinto da una crescente domanda nei mercati occidentali, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, dove il consumo di cioccolato gourmet e prodotti di alta gamma continua ad aumentare. Tuttavia, dietro l’euforia da mercato rialzista si nasconde una realtà drammatica: i piccoli agricoltori dell’Africa occidentale, soprattutto in Ghana e Costa d’Avorio, che insieme producono oltre il 60% del cacao mondiale, non stanno beneficiando di questi rincari.
Il paradosso è evidente: mentre il cacao supera i 3.000 dollari a tonnellata, la maggior parte dei produttori resta sotto la soglia di povertà. Colpa di un sistema di filiera sbilanciato, dove gli utili si concentrano tra trader, aziende multinazionali e rivenditori europei, lasciando ai contadini solo le briciole. L’Unione Europea, pur essendo uno dei principali importatori mondiali di cacao, fatica ancora a trasformare la propria centralità commerciale in una leadership etica efficace.
Dove finiscono i guadagni
Gli agricoltori africani devono affrontare costi di produzione crescenti, infrastrutture carenti, cambiamenti climatici sempre più estremi e un sistema di intermediazione che erode ulteriormente i profitti. La filiera è lunga e opaca: dal villaggio africano alle vetrine delle cioccolaterie europee, il valore aggiunto si concentra soprattutto nelle fasi successive alla coltivazione.
Le economie di Ghana e Costa d’Avorio, fortemente dipendenti dalle esportazioni di cacao, vedono in questo mercato un’occasione cruciale di sviluppo. Ma l’attuale distribuzione della ricchezza nega questa possibilità a milioni di agricoltori. Senza accesso diretto ai mercati, senza cooperazione commerciale equa, e con una posizione contrattuale debole, i coltivatori restano vulnerabili a ogni oscillazione dei prezzi e a ogni decisione presa lontano dai loro campi.
L’Europa al centro del dibattito
Nel 2024, l’Unione Europea ha approvato una direttiva sulla “due diligence ambientale e sociale”, che obbliga le aziende europee a controllare l’origine sostenibile delle materie prime importate, cacao compreso. Un primo passo importante, ma ancora insufficiente. Le grandi multinazionali con sede in Europa continuano a dominare il mercato e a dettare le condizioni di acquisto, spesso senza garantire un compenso equo ai produttori.
Le richieste di certificazioni sostenibili, come il Fairtrade o il Rainforest Alliance, sono in crescita tra i consumatori europei, ma solo una frazione del cacao importato gode effettivamente di queste etichette. Inoltre, molti piccoli produttori non riescono a ottenere le certificazioni a causa dei costi elevati e della burocrazia, restando così esclusi da un mercato potenzialmente più redditizio.
Ostacoli strutturali e soluzioni possibili
Le difficoltà non sono solo economiche. Il cambiamento climatico minaccia seriamente le coltivazioni, riducendo rese e qualità. L’accesso a tecnologie moderne, formazione, credito e strumenti di gestione del rischio resta limitato. In molte aree, mancano cooperative solide in grado di tutelare i piccoli agricoltori e di negoziare condizioni migliori.
Sul piano internazionale, le barriere commerciali, le normative sanitarie e l’eccessiva frammentazione logistica ostacolano l’accesso diretto ai mercati europei. Anche il commercio digitale, che potrebbe rappresentare un’opportunità, è fuori portata per la maggioranza dei produttori africani.
Le strategie più promettenti includono:
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la creazione di consorzi agricoli in grado di garantire un maggiore potere contrattuale;
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il sostegno pubblico (anche europeo) a investimenti infrastrutturali e programmi di formazione;
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l’adozione di modelli di commercio equo che eliminino gli intermediari predatori;
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una maggiore pressione politica da parte dell’UE sulle imprese importatrici affinché rispettino standard sociali e ambientali reali, non solo di facciata.
Una responsabilità anche europea
Se l’Europa vuole davvero farsi promotrice di un commercio globale più giusto, non può limitarsi a etichette e buone intenzioni. Deve spingere per meccanismi di remunerazione trasparente, legare gli incentivi alle pratiche sostenibili effettive e incoraggiare la creazione di filiere più corte e inclusive. In gioco non c’è solo la reputazione del settore alimentare europeo, ma anche la possibilità concreta di trasformare il cacao da simbolo di sfruttamento coloniale a leva di sviluppo sostenibile.
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