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Vuoi davvero fare impresa sostenibile? Allora scegli bene i tuoi fornitori


La sostenibilità aziendale inizia dalla filiera. Valutare i fornitori in ottica ESG è cruciale per rispettare le norme UE e costruire filiere più resilienti e giuste

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Non basta usare carta riciclata o installare pannelli solari per definirsi un’azienda sostenibile. La sfida si gioca anche dietro le quinte, nella rete di fornitori da cui dipendono materiali, servizi e reputazione.

Per chi fa impresa oggi, valutare la propria catena di fornitura secondo criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) non è più un’opzione. Con le nuove normative europee – in primis il Green Deal e la direttiva CSRD – sarà obbligatorio rendicontare anche le performance di chi sta a monte del processo produttivo.

Eppure, come sottolinea l’approfondimento curato da PERTEC pubblicato il 9 luglio 2025, questo obbligo può diventare una leva strategica. “Quando parliamo di transizione ESG, le filiere di fornitura rappresentano l’anello debole della catena e un’area di miglioramento da privilegiare”, si legge nell’articolo.

Perché tutto parte dai fornitori

Se un fornitore ricorre all’energia fossile, sfrutta il lavoro precario o non segue procedure trasparenti, anche l’azienda che lo ingaggia ne porta la responsabilità indiretta. Per questo le imprese che scelgono fornitori ESG-ready ottengono diversi vantaggi:

  • riducono il rischio reputazionale e operativo,
  • migliorano il controllo e la qualità dei dati interni,
  • attraggono investimenti sostenibili e accedono a finanziamenti agevolati.

Anche per i fornitori, far parte di una filiera che adotta criteri ESG è un’opportunità: significa acquisire nuove competenze, diventare più competitivi e contribuire a un sistema produttivo più giusto.

I criteri per valutare la sostenibilità

Ma come si valuta un fornitore in chiave ESG? Secondo Silvia Ferrari e Umberto Perati di PERTEC, serve metodo, trasparenza e capacità di misurare. I parametri principali sono tre:

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  • Ambiente: uso efficiente delle risorse, gestione dei rifiuti, certificazioni ambientali (come ISO 14001).
  • Sociale: sicurezza sul lavoro, parità di genere, formazione, attenzione al territorio.
  • Governance: codici etici, tracciabilità, modelli contro la corruzione, trasparenza decisionale.

Non si tratta di un semplice “bollino verde”. È un processo che richiede coinvolgimento continuo e coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si fa, lungo tutta la catena.

Senza dati, niente ESG

Uno dei problemi principali resta la raccolta di dati affidabili. Soprattutto in filiere ampie o internazionali, monitorare le performance ESG dei fornitori è complesso. Ma la tecnologia può aiutare.

Digitalizzare la valutazione ESG consente di raccogliere informazioni in tempo reale, confrontarle e tracciarle. Inoltre, strumenti evoluti permettono di trasformare i dati in strategie concrete, facilitando il dialogo tra impresa e fornitori. È anche un modo per non perdere terreno rispetto a competitor già attrezzati.

Un cambio di cultura, prima ancora che di strumenti

La vera svolta, però, è culturale. Non basta chiedere ai fornitori un questionario da compilare una tantum. Serve considerarli partner strategici, da coinvolgere in un percorso di miglioramento condiviso.

Agire sulla supply chain significa intervenire dove l’impatto è maggiore – e dove i margini di miglioramento sono più visibili. È anche un modo per includere realtà più piccole, meno strutturate, ma spesso cruciali per l’economia locale.

Chi saprà affrontare la transizione ESG con una visione ampia, strumenti digitali adeguati e attenzione reale alla filiera, non solo rispetterà le norme, ma costruirà un’impresa più resiliente, giusta e capace di durare nel tempo.

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