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Cripto come nel ’29: l’euforia prima del crollo?


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Economisti, investitori e politici avvertono: la liberalizzazione selvaggia delle criptovalute rischia di innescare una nuova crisi sistemica. “Un déjà vu della bolla del 1929”, avverte Krugman. Minsky e Galbraith tornano attuali.

 (Foto: Il Premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, alla prestigiosa Princeton University) 

 Un’esplosione di entusiasmo, ma il sistema scricchiola

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Negli ultimi anni le criptovalute hanno vissuto una crescita esplosiva, sostenuta da narrazioni di emancipazione finanziaria, disintermediazione bancaria e libertà monetaria. Dopo i timori iniziali, molti governi – Stati Uniti in testa – hanno avviato un processo di liberalizzazione che ha spalancato le porte a grandi flussi di capitale e a un’integrazione sempre più profonda con i mercati finanziari tradizionali. Ma proprio qui, secondo numerosi esperti, risiederebbe il pericolo più grande.

“Se permetti ai cripto-asset di diventare parte del sistema bancario globale senza regole stringenti, stai ricreando le condizioni esatte che portarono al crollo del 1929”, ha affermato il Premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman.

“Stiamo letteralmente costruendo banche ombra su blockchain incontrollate, e ci stiamo illudendo che siano stabili.”

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A fare eco a Krugman è Jim Chalmers, ex consigliere del Tesoro australiano, che ha paragonato la crescente esposizione ai cripto-asset a quella che precedette il collasso dei mutui subprime nel 2008:

“Se le stablecoin e i token digitali dovessero essere integrati nei bilanci bancari o nei portafogli dei fondi pensione, rischiamo un contagio devastante. Saremo fortunati a evitare un collasso sistemico.”

Secondo Chalmers, la corsa alla deregulation guidata da lobby tecnologiche e operatori finanziari senza scrupoli sta oscurando le vere vulnerabilità del sistema: mancanza di trasparenza, leva finanziaria estrema e assenza di un prestatore di ultima istanza. È la ricetta, dice, per una recessione di proporzioni storiche.

L’effetto Minsky e l’euforia pericolosa

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Molti economisti stanno rileggendo la crisi delle criptovalute attraverso le lenti della teoria dell’instabilità finanziaria di Hyman Minsky, secondo cui i periodi di stabilità alimentano una pericolosa euforia che spinge gli operatori a prendersi rischi sempre maggiori. Il punto critico – il cosiddetto Minsky moment – arriva quando il sistema non è più in grado di sostenere il proprio indebitamento e crolla su sé stesso.

“Non è un caso che la crisi del 1929, quella del 2008 e l’attuale boom cripto abbiano tutti gli stessi ingredienti: euforia irrazionale, leva finanziaria opaca, asset illiquidi e fiducia cieca in nuovi strumenti finanziari”, osserva il macroeconomista francese Jean-Michel Naulot.

Il parallelismo con il 1929 non è solo retorico. Allora furono le azioni delle società ferroviarie e industriali a salire alle stelle, oggi sono i token, gli NFT, le piattaforme DeFi. E anche oggi – come allora – la regolazione fatica a tenere il passo con l’innovazione, mentre i piccoli investitori vengono spinti verso rischi che non comprendono pienamente.

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Larry Fink: “Attenzione al mix di debito e cripto”

Un monito arriva anche dal CEO di BlackRock, Larry Fink, che ha parlato apertamente del rischio di “triplice instabilità”: alta inflazione, debito pubblico fuori controllo e bolla degli asset digitali.

“Se i mercati tradizionali iniziano a perdere fiducia nei meccanismi di garanzia, e i capitali si riversano in cripto in cerca di rendimenti o protezione, rischiamo una distorsione pericolosa. Le cripto non sono rifugio: sono acceleratori di crisi.”

Fink non è un nemico delle criptovalute: il suo fondo gestisce ETF su Bitcoin e Ethereum. Ma il suo messaggio è chiaro: serve un quadro regolatorio severo e globale, altrimenti “la prossima recessione sarà alimentata anche da queste nuove fragilità”.

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La bolla delle illusioni

A preoccupare gli osservatori è anche la narrativa utopistica che circonda l’universo cripto: quella secondo cui la blockchain risolverebbe ogni problema, dallo strapotere delle banche centrali alla povertà globale. Un’illusione che ricorda le parole di John Kenneth Galbraith sul 1929:

“Le bolle finanziarie prosperano sulle promesse di ricchezza senza lavoro e di progresso senza dolore. Ma la realtà arriva sempre.”

Lo stesso Robert Shiller ha definito Bitcoin “la più grande bolla della nostra epoca”, alimentata da una narrazione più che da fondamentali economici.

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“C’è una tendenza psicologica, quasi religiosa, che porta le persone a credere in qualcosa solo perché tutti sembrano crederci. È accaduto con i tulipani, con le dot-com, accade oggi con le criptovalute.”

Paul Singer: “Rischio sistemico anche per il dollaro”

Il miliardario Paul Singer ha recentemente lanciato un avvertimento ancora più netto: se la crescita incontrollata delle criptovalute continuerà, il sistema finanziario tradizionale – incluso il dominio del dollaro – potrebbe subirne le conseguenze.

“Se le cripto diventano riserve globali alternative, scavalcando le banche centrali e la disciplina fiscale, ci troveremo in un sistema anarchico, privo di freni. E quel giorno, la crisi sarà già cominciata.”

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Un futuro già scritto?

Tutto ciò non significa che le criptovalute siano destinate a fallire. Ma l’attuale traiettoria di liberalizzazione cieca, senza vigilanza, senza trasparenza e senza responsabilità, rischia di condurre l’economia globale verso un precipizio. Un precipizio che – proprio come nel 1929 – arriverà all’improvviso, dopo mesi di euforia e negazione.

Le autorità monetarie sono avvisate. I mercati, forse, no.



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