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Corriere ortofrutticolo | L’AVOCADO BIO SICILIANO DI HALEASA PIACE AL NORD EST (E NON SOLO): CRESCONO GLI INVESTITORI PRIVATI


Il core business è l’avocado. Il metodo di coltivazione, basato sull’agricoltura biologica e rigenerativa, è a basso impatto. Ma la vera grande novità sta nell’asset economico. Non un’azienda basata su solidi capitali fondiari familiari, secondo il modello più consolidato in Italia e in Sicilia, ma un’impresa che fa leva sui capitali di investitori esterni al mondo agricolo. Un po’ come accade da anni nella penisola iberica dove l’agricoltura – e in particolare le start up che operano nel primario – sono considerate un investimento con orizzonti di breve-medio periodo alla stessa stregua di altri settori produttivi, dall’industria ai servizi all’economia digitale.

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Proprio in questo consiste la novità di Haleasa, l’impresa agricola nata nel 2022 in territorio di Tusa in provincia di Messina e che porta il nome della valle dominata dall’antica città fondata nel 403 a.C. da Arconide re di Herbita. “È qui, nella valle dell’Haleasa, che abbiamo collocato il quartier generale dell’azienda. Ed è da qui che è partita l’idea di puntare sull’avocado. La scelta è caduta su questa coltura per due motivi. Il primo è dettato dal mercato: in forte ascesa con ritmi di crescita annuali a due cifre, cosa che non si trova in nessun altro tipo di prodotto agricolo. Il secondo è dato dalle modificazioni del clima che, in particolari zone della Sicilia, quelle vicine alla costa e a bassa altitudine, permettono di coltivare con successo alcune specie tipiche dei paesi tropicali”, spiega Francesco Mastrandrea (nella foto), Ceo di Halaesa, e qualche anno fa anche presidente nazionale dei giovani imprenditori di Confagricoltura. L’impianto degli avocadeti è, infatti, stato realizzato in terreni agricoli in precedenza destinati alla viticoltura o alla olivicoltura e che, a seguito dei cambiamenti climatici, sono diventati poco produttivi.

Halaesa è stata pensata come una start-up. Un’impresa per la cui crescita e per gli investimenti non si fa ricorso al credito bancario ma ci si basa sulla raccolta dei capitali investiti dai privati che acquistano quote della società. Società che, una volta raggiunto l’obiettivo produttivo, verrà ceduta a un operatore specializzato del settore.

Forte di una solida preparazione in economia e di un network diffuso costruito negli anni in cui ha frequentato la Bocconi, Mastrandrea insieme ai suoi primi soci, ha saputo usare le leve giuste per convogliare sulla società numerosi investitori privati del Nord-Est dell’Italia. Molti dei quali con l’agricoltura non hanno mai avuto a che fare, ma che nel progetto di Halaesa hanno creduto fin dall’inizio, perchè le idee su cosa e come produrre e come vendere, sono state chiare fin dall’inizio. Non a caso l’accordo di filiera tra aziende produttrici e distributori di avocado proposto da Halaesa si è piazzato tra i primi trenta (ed è stato, pertanto, finanziato) nell’ambito del 5° bando “Contratti di Filiera” del Mipaaf. Un’altro aspetto che pare abbia convinto gli investitori privati è l’attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale. Fin dal primo esercizio, infatti, viene stilato il report di sostenibilità.

Il primo raccolto di avocado è atteso per il prossimo inverno. Sarà prodotto nei primi impianti realizzati nel 2022: 100 ettari che entro il 2030 diventeranno 500, realizzati a Tusa in provincia di Messina, a Noto in provincia di Siracusa e nel Palermitano. Spiega Mastrandrea: “Abbiamo scelto di diversificare le zone di produzione per metterci al riparo da avversità climatiche localizzate. Siamo in fase di acquisizione di nuovi fondi agricoli con caratteristiche pedoclimatiche idonee alla coltura ma che che in ogni caso devono essere dotati di proprie fonti di acqua da destinare all’irrigazione”. L’avocado è, infatti, una specie molto esigente: ha bisogno di acqua di buona qualità e in abbondanza. “Non possiamo permetterci l’alea connessa ai servizi promessi, e troppo spesso non mantenuti, dai consorzi di bonifica che negli anni, per diversi motivi, non hanno potuto distribuire l’acqua secondo turni idonei per le diverse colture. Ecco perché, per l’irrigazione degli avocadeti di Noto ci siamo preoccupati di acquistare alcuni dissalatori con cui trattare le acque prelevate dai pozzi (anche a 150 metri di profondità) che contengono sali in eccesso e rendono la qualità dell’acqua incompatibile con la coltura”. Per sopperire ai costi energetici sia della dissalazione che del sollevamento dell’acqua si fa fronte con un impianto fotovoltaico. Del resto in Sicilia, il sole non manca mai.

Angela Sciortino

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