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Assemblea Abi, il discorso del governatore di Bankitalia Fabio Panetta


Il sistema finanziario internazionale sta attraversando una fase di profondo cambiamento. Il ruolo centrale del dollaro è messo in discussione a causa di instabilità sui mercati, l’Europa ha quindi l’opportunità di rafforzare il proprio sistema finanziario, superando la frammentazione dei mercati dei capitali. E poi la tecnologia come leva strategica per il sistema bancario, con investimenti in digitalizzazione e intelligenza artificiale che migliorano efficienza, inclusione e gestione dei rischi, ma sempre ricordando il ruolo centrale del capitale umano. Ruolo centrale anche per la politica monetaria europea che dovrà mantenere flessibilità e pragmatismo in un contesto globale di incertezza, valorizzando il proprio potenziale grazie all’ausilio del’lintegrazione finanziaria e dell’innovazione. Sono questi i punti principali che il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha esposto nel suo discorso all’annuale assemblea degli associati di Abi, in corso a Milano.

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Finanza e innovazione per il futuro dell’economia

“Per decenni, il sistema finanziario internazionale ha ruotato attorno al dollaro, che ha rappresentato un’àncora per le politiche monetarie di molti paesi, un rifugio per gli investitori nelle fasi di incertezza e la principale valuta di denominazione degli scambi globali di beni e servizi. Negli Stati Uniti, gli afflussi di capitale – alimentati anche da persistenti disavanzi commerciali – hanno generato un rilevante accumulo di passività verso l’estero, accrescendo l’esposizione degli investitori internazionali ai rischi del mercato americano. Negli ultimi anni, due tendenze hanno amplificato questa esposizione. La prima è il forte aumento del valore di borsa delle grandi società tecnologiche statunitensi, che ha ulteriormente sbilanciato i portafogli globali verso il mercato americano. La seconda riguarda il rischio di tasso di interesse sui portafogli in dollari. Dopo la crisi finanziaria globale, un lungo periodo di bassi rendimenti e premi a termine contenuti ha favorito l’emissione di titoli a lunga scadenza, prontamente assorbiti dagli investitori. Ne è derivata una maggiore esposizione al rischio di tasso sulle attività denominate nella valuta americana”.

“Più di recente, l’aumento dell’incertezza globale ha accresciuto la volatilità dei rendimenti. Di conseguenza, l’onere del rischio di tasso è divenuto più gravoso, come segnala l’incremento del premio a termine sui titoli pubblici statunitensi a lunga scadenza. È in questo contesto che si inseriscono gli sviluppi registrati sui mercati finanziari internazionali negli ultimi mesi”.

L’indebolimento del dollaro

“Gli annunci del 2 aprile hanno aperto una fase di negoziati complessi tra gli Stati Uniti e i principali partner commerciali, generando instabilità sui mercati dei capitali. Contestualmente, sono cresciute le preoccupazioni sulla sostenibilità dei conti pubblici americani, sfociate nel declassamento del rating sovrano. Per la prima volta da decenni, il ruolo centrale del dollaro nel sistema finanziario globale è stato messo esplicitamente in discussione. In risposta, gli investitori internazionali hanno iniziato a ridurre l’esposizione al mercato statunitense. Molti di essi hanno rafforzato le coperture contro il rischio di cambio sul dollaro – una scelta che, dal punto di vista economico, equivale a una dismissione parziale di attività denominate nella valuta americana – e hanno contestualmente accorciato la durata finanziaria dei portafogli. I rendimenti dei titoli pubblici statunitensi a lunga scadenza sono aumentati, mentre il dollaro si è indebolito, seguendo una dinamica atipica rispetto ai precedenti episodi di tensione finanziaria”.

“Anche dopo il rientro delle turbolenze, la valuta americana ha continuato a perdere terreno, con un andamento divergente rispetto al differenziale di interesse tra Stati Uniti ed Europa. Secondo nostre stime, oltre la metà del deprezzamento registrato dall’inizio di marzo nei confronti dell’euro è attribuibile a una crescente percezione di rischio associata alla valuta americana”.

Gli effetti sul sistema finanziario europeo

“Segnali recenti indicano che l’Europa sta iniziando a beneficiare della crescente diversificazione valutaria da parte degli investitori internazionali. Negli ultimi mesi sono aumentate sia la raccolta dei fondi esteri specializzati in azioni europee, sia la domanda di attività a basso rischio denominate in euro. Questi movimenti restano tuttavia limitati. È un esito prevedibile nel breve periodo, quando gli aggiustamenti si manifestano più facilmente attraverso i prezzi delle attività finanziarie piuttosto che attraverso i volumi. Una riallocazione su larga scala dei portafogli a livello mondiale è frenata dall’assenza di alternative concrete al sistema finanziario statunitense. La dimensione e la liquidità dei mercati americani – azionari, obbligazionari e dei titoli pubblici – sovrastano quelle delle altre principali piazze finanziarie”.

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“Nel medio termine, tuttavia, questi vincoli potrebbero attenuarsi. Un aumento delle emissioni di titoli da parte di operatori internazionali – sostenuto da una domanda globale più diversificata – potrebbe favorire lo sviluppo di mercati in grado di affiancare quelli statunitensi”.

L’integrazione finanziaria europea

“Un possibile ridimensionamento del ruolo centrale dei mercati statunitensi potrebbe generare tensioni nella fase di transizione, ma aprirebbe nuove opportunità alle economie finora rimaste in secondo piano nel sistema finanziario globale – tra cui l’Europa. Sono opportunità da costruire. Non si realizzeranno da sole. Il limitato sviluppo e la minore articolazione del mercato dei capitali europeo riflettono in parte le caratteristiche strutturali dell’economia reale: la diffusa presenza di piccole e medie imprese, finanziate prevalentemente attraverso il credito bancario; un settore pubblico esteso, che gestisce direttamente molti servizi – sanitari, previdenziali, assicurativi – spesso affidati altrove in misura maggiore al mercato1 ; una bassa propensione al rischio da parte delle famiglie, che tendono a privilegiare forme di risparmio sicure. Questo assetto alimenta una tendenza oramai consolidata: ogni anno, l’area dell’euro investe meno di quanto risparmia (3.200 miliardi di euro a fronte di 3.700 nel 2024;, al contrario degli Stati Uniti (5.900 miliardi contro 4.700), e presenta una posizione patrimoniale netta verso l’estero positiva, pari al 10 per cento del Pil. In altri termini, l’Europa non esporta solo beni, ma anche risparmio – in larga misura verso gli Stati Uniti”.

“Ma sullo sviluppo del mercato dei capitali europeo grava soprattutto un’altra debolezza: la frammentazione del sistema finanziario lungo i confini nazionali. Si tratta di un limite profondo e persistente: oggi il grado di integrazione delle piazze finanziarie europee resta paragonabile a quello – relativamente basso – di vent’anni fa. Non è però un vincolo irreversibile. Politiche mirate, capaci di valorizzare i punti di forza dell’economia europea, possono contribuire in modo decisivo a superarlo, offrendo al continente gli strumenti per trattenere il risparmio che genera, indirizzandolo verso investimenti produttivi”.

Il mercato unico dei capitali europeo

“L’economia europea offre agli investitori tre importanti punti di forza: un capitale umano di alta qualità, un mercato interno di grandi dimensioni e un assetto istituzionale solido, fondato sul rispetto dello Stato di diritto. L’interazione tra questi elementi può sprigionare un potenziale straordinario. Ma perché ciò accada, è essenziale che il mercato unico funzioni appieno”.

“Dall’avvio del progetto europeo sono stati compiuti progressi significativi. Tuttavia, il disegno resta incompiuto. I quattro pilastri del mercato unico – beni, servizi, lavoro e capitali – sono interdipendenti e devono operare in modo integrato. Oggi concentro l’attenzione sul pilastro finanziario, ma è evidente che solo un’integrazione piena lungo tutte le dimensioni potrà generare benefici concreti per cittadini e imprese5 . La Commissione europea – seguendo l’impulso dei Rapporti Letta e Draghi – ha rilanciato l’Unione del mercato dei capitali (Umc), un progetto avviato nel 2015, i cui progressi finora non hanno soddisfatto le attese. L’Umc è un’iniziativa ambiziosa, che richiede interventi su più fronti: armonizzazione delle norme societarie, fallimentari e fiscali; uniformità degli obblighi informativi e contabili; rafforzamento della supervisione centralizzata dei mercati. Per renderla pienamente operativa, tuttavia, serve un passo ulteriore: l’introduzione di un titolo pubblico europeo. Un benchmark comune privo di rischio offrirebbe un collaterale sicuro e accettato ovunque nell’Unione e permetterebbe di sviluppare comparti strategici, come quelli delle obbligazioni societarie e dei derivati. Migliorerebbe l’efficienza delle controparti centrali, la liquidità degli scambi di titoli e delle transazioni interbancarie, e favorirebbe la diversificazione dei portafogli, riducendo la concentrazione dei rischi. Ma i vantaggi dell’Umc vanno ben oltre la dimensione finanziaria”.

“Secondo stime condotte in Banca d’Italia, un mercato dei capitali integrato e fondato su un titolo comune privo di rischio potrebbe ridurre di mezzo punto percentuale il costo del finanziamento per le imprese, stimolando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro l’anno. Già solo questo, a regime, si tradurrebbe in un incremento del Pil europeo dell’1,5%. I benefici potrebbero essere ancora più ampi. Un mercato dei capitali europeo ampio e articolato faciliterebbe il finanziamento delle iniziative imprenditoriali più dinamiche, ad alto rischio e alto valore aggiunto. Sosterrebbe l’innovazione e la competitività dell’economia. Attrarrebbe capitali esteri, rafforzando il ruolo internazionale dell’euro”.

“Vorrebbe dire creare lavoro di qualità, più produttivo e meglio retribuito. Secondo nostre stime, in uno scenario di questo tipo l’impatto complessivo sul Pil potrebbe essere pari a oltre tre volte quello generato dal solo aumento degli investimenti”.

Banche e tecnologia

“La tecnologia è oggi una leva strategica decisiva per il settore bancario. Consente di migliorare l’efficienza operativa, rafforzare l’analisi e la gestione dei rischi, elevare la qualità dei servizi. Ma soprattutto, contribuisce a consolidare i rapporti con la clientela – da sempre uno dei punti di forza delle banche”.

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Gli investimenti in tecnologia e la digitalizzazione dei servizi bancari

“Negli ultimi dieci anni, gli investimenti in tecnologia delle banche italiane sono cresciuti di circa 2 punti percentuali in rapporto ai costi. Ancora più rapido è stato l’incremento della spesa nei progetti a maggior contenuto innovativo”.

“L’aumento delle risorse dedicate all’innovazione si è tradotto in risultati concreti. Gli intermediari che hanno investito di più sono anche quelli che hanno ridotto in misura maggiore il rapporto tra costi e ricavi. I benefici si riflettono sulla clientela. Attualmente, tre italiani su quattro dispongono dell’home banking, con risparmi significativi di tempo e di costi. Nel 2023 i conti correnti online risultavano in media il 70% più economici rispetto a quelli tradizionali. L’offerta digitale ha reso i servizi bancari più accessibili. Nonostante la forte riduzione degli sportelli, in corso da oltre quindici anni, è aumentata la quota di famiglie con almeno un conto corrente. L’innovazione ha favorito l’inclusione di nuovi segmenti di clientela, come i giovani, che prediligono modalità di interazione a distanza. Questa trasformazione, pur ricca di benefici, può comportare alcune criticità per le fasce di popolazione con minori competenze finanziarie o meno avvezze all’uso della tecnologia. Inoltre per alcuni servizi – come il finanziamento delle piccole imprese o l’accesso al contante – la ridotta presenza sul territorio può rappresentare un limite. La Banca d’Italia collabora con il ministero dell’Economia e delle finanze, l’Associazione bancaria italiana e Poste Italiane per assicurare un accesso equo e diffuso ai servizi finanziari. Per avere successo, le iniziative che verranno adottate dovranno fondarsi su un impegno concreto da parte del sistema bancario”.

Fattori competitivi per la trasformazione tecnologica

“La rivoluzione tecnologica sta ora entrando in una nuova fase, più rapida e profonda, trainata dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei big data. In questo contesto, tre fattori sono decisivi per la competitività degli intermediari: il livello degli investimenti, l’ambito di utilizzo della tecnologia e le scelte di esternalizzazione”.

Il livello degli investimenti

“Secondo la nostra indagine FinTech, quattro quinti degli intermediari dispongono di strategie per la trasformazione digitale. L’intensità degli investimenti varia con la scala operativa. Le banche grandi, grazie a maggiori risorse finanziarie e strutture organizzative più robuste, possono attuare progetti tecnologici articolati, difficilmente replicabili dagli operatori più piccoli. Fanno eccezione alcune realtà minori con modelli di attività orientati all’innovazione. Ma nel complesso il rapporto tra investimenti in tecnologia e totale attivo tende ad aumentare con la dimensione dell’intermediario”.

L’ambito di utilizzo della tecnologia

“Quanto all’impiego delle tecnologie, la maggior parte degli intermediari – indipendentemente dalla dimensione – adotta già soluzioni avanzate nei processi interni: dalla verifica della conformità normativa alla prevenzione delle frodi, fino all’assistenza della clientela. Le evidenze raccolte presso le banche indicano che in questi ambiti l’uso dei modelli di intelligenza artificiale è diffuso e destinato a crescere. Lo spartiacque competitivo è però rappresentato dall’uso dell’intelligenza artificiale e dei big data per le attività tipicamente bancarie, in primo luogo per la concessione del credito – un terreno oggi presidiato dalle banche più grandi. Le nuove tecnologie consentono di elaborare una mole di informazioni più ampia e variegata rispetto ai modelli tradizionali, migliorando la valutazione del rischio di credito e la capacità di cogliere tempestivamente segnali di deterioramento. Sapere integrare questi strumenti nei processi decisionali sarà determinante per la competitività. Secondo nostre analisi, l’intelligenza artificiale può ampliare l’accesso al credito per imprese meritevoli ma con una storia creditizia limitata o informazioni frammentate. Inoltre, le banche che fanno un uso esteso di queste tecnologie tendono a sostenere più attivamente le realtà imprenditoriali più dinamiche”.

“Questi strumenti non devono tuttavia essere impiegati in modo automatico. Sono tecnologie complesse, che richiedono una valutazione su orizzonti temporali lunghi e attraverso diverse fasi del ciclo economico. La loro integrazione nei processi decisionali esige una profonda comprensione da parte degli intermediari per evitare effetti distorsivi, in particolare nell’accesso al credito da parte delle famiglie. Sono aspetti presi in considerazione nel regolamento europeo sull’intelligenza artificiale”.

La strategia di esternalizzazione

“Per sviluppare e distribuire soluzioni innovative, le banche maggiori affiancano la collaborazione con partner esterni ad attività interne di ricerca e sviluppo. Quelle più piccole, invece, si affidano in prevalenza all’esternalizzazione. Queste scelte riflettono meccanismi noti: gli investimenti in tecnologia comportano costi fissi elevati, che solo strutture di maggiore dimensione possono sostenere con continuità. Per le banche minori l’esternalizzazione è quindi una via per innovare, ma nel tempo può generare dipendenza da fornitori esterni”.

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I rischi dell’innovazione tecnologica

“Le nuove tecnologie offrono opportunità significative, ma comportano rischi che, se non gestiti con attenzione, possono renderle inefficaci o persino dannose. In Italia, come in altri paesi, il numero e la gravità degli incidenti operativi e cibernetici sono in aumento. L’intelligenza artificiale rende le minacce cibernetiche – comprese le frodi – più sofisticate. Il quantum computing, a sua volta, potrebbe in prospettiva compromettere l’efficacia dei sistemi crittografici su cui si fonda la sicurezza delle transazioni finanziarie e dei pagamenti, oltre che la protezione delle attività dematerializzate; già oggi si registrano furti di dati crittografati, sottratti con l’intento di decifrarli quando la tecnologia lo consentirà. Per contrastare questi rischi, la Vigilanza ha intensificato i controlli sia sugli intermediari, sia sui loro fornitori. In particolare, ha sollecitato le banche a rafforzare la gestione dei rischi specifici connessi con le esternalizzazioni. Un passaggio decisivo è ora rappresentato dall’attuazione del regolamento Dora, che disciplina la resilienza operativa digitale del settore finanziario. Il nuovo quadro normativo richiede agli operatori una piena conoscenza della propria filiera produttiva e l’adozione di misure efficaci per prevenire e gestire gli incidenti”.

“Le evidenze derivanti dall’attività di vigilanza rivelano carenze diffuse: scarso coinvolgimento degli organi sociali, inventari informatici incompleti, controlli insufficienti sugli accessi a dati sensibili. Le stesse banche confermano queste criticità: circa il 40% di esse prevede di riuscire a garantire la conformità a Dora solo da settembre. Le aree più problematiche riguardano la gestione dei rischi informatici e di quelli derivanti dai fornitori esterni”.

La politica monetaria nell’area euro

“Nell’ultimo anno, l’inflazione nell’area dell’euro è tornata in linea con l’obiettivo del 2%. Ciò ha consentito al Consiglio direttivo della Bce di ridurre il tasso di riferimento otto volte, portandolo al 2%. La questione centrale è ora se l’attuale livello dei tassi sia adeguato a mantenere l’inflazione in prossimità dell’obiettivo, evitando scostamenti persistenti in entrambe le direzioni. Il ripristino della stabilità dei prezzi e la disponibilità di un ampio spazio di manovra collocano il Consiglio in una posizione favorevole per valutare attentamente le sue prossime mosse. Le più recenti proiezioni dell’Eurosistema indicano una discesa dell’inflazione all’1,4% all’inizio del 2026, seguita da un ritorno al 2 nell’anno successivo. Si tratta di uno scenario soggetto a forti incertezze, in un contesto globale instabile e in rapida evoluzione. Le proiezioni si basano su ipotesi relative ai prezzi dell’energia e al tasso di cambio euro-dollaro – due variabili notoriamente volatili – che gli sviluppi delle ultime settimane hanno già superato. L’incertezza geopolitica in Medio Oriente ha spinto il prezzo del petrolio oltre i livelli ipotizzati; al tempo stesso, l’euro si è apprezzato ben più del previsto rispetto al dollaro”.

“Una ulteriore, significativa fonte di incertezza riguarda i dazi che saranno effettivamente applicati dagli Stati Uniti. Le proiezioni assumono il mantenimento delle misure oggi in vigore, che sottrarrebbero mezzo punto percentuale alla crescita nell’area dell’euro tra il 2025 e il 2027, con effetti contenuti sull’inflazione. Dazi più elevati e un’incertezza prolungata sulle politiche commerciali determinerebbero effetti ben peggiori sulla crescita e potrebbero influenzare le dinamiche inflazionistiche. Un marcato calo della domanda di prodotti europei da parte degli Stati Uniti e il riorientamento delle merci cinesi sui nostri mercati eserciterebbero pressioni al ribasso sui prezzi. In scenari estremi, tuttavia, l’inasprimento delle barriere doganali potrebbe frammentare le filiere produttive globali, aumentando i costi di produzione e alimentando l’inflazione. In questo contesto, il Consiglio direttivo ha confermato l’intenzione di mantenere un approccio agile e pragmatico, decidendo di volta in volta sulla base delle informazioni disponibili e del loro impatto sulle prospettive di inflazione. Se i rischi al ribasso sulla crescita dovessero rafforzare le tendenze disinflazionistiche, sarà opportuno proseguire nell’allentamento monetario. Queste valutazioni rispecchiano i principi riaffermati nella recente revisione della strategia di politica monetaria: la simmetria dell’obiettivo di inflazione, l’orientamento di medio periodo e il ruolo centrale dei tassi di interesse tra gli strumenti disponibili”.

“L’esperienza dell’ultimo decennio – segnato prima da una fase prolungata di inflazione molto bassa e poi da shock inflazionistici di forte entità – ha evidenziato la necessità di reagire con decisione a deviazioni persistenti dall’obiettivo, in entrambe le direzioni, e di mantenere ben ancorate le aspettative. Ha inoltre confermato l’importanza di affiancare allo scenario di base l’analisi dei rischi e delle incertezze che lo circondano, anche attraverso l’elaborazione di scenari alternativi. Nel confermare il ruolo centrale dei tassi di interesse, il Consiglio ha ribadito l’importanza di mantenere disponibile l’intero insieme degli strumenti già impiegati in passato: acquisti di titoli pubblici e privati, operazioni di rifinanziamento a lungo termine, tassi negativi, indicazioni prospettiche sull’orientamento della politica monetaria (forward guidance). Si tratta di strumenti da utilizzare con discernimento, ma che possono rivelarsi essenziali quando i tassi ufficiali si avvicinano al limite inferiore o emergono disfunzioni nella trasmissione della politica monetaria. La revisione della strategia è stata infine l’occasione per riflettere sugli effetti economici dei fenomeni che stanno trasformando il mondo produttivo: le tensioni geopolitiche, la frammentazione commerciale, l’accelerazione dell’innovazione – in particolare nel campo dell’intelligenza artificiale”.

“Questi fattori potrebbero aumentare la frequenza e l’intensità degli shock sull’inflazione. Affrontarli richiederà analisi tempestive, decisioni rapide e una comunicazione efficace, fondata anche sull’uso di scenari alternativi e analisi di sensitività”.

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Conclusioni

“Il sistema finanziario internazionale sta attraversando una fase di profondo cambiamento. In un contesto in cui cresce l’incertezza sul ruolo degli Stati Uniti nell’economia mondiale, gli investitori sono alla ricerca di alternative al dollaro e ai mercati americani, avviando – seppur gradualmente – un parziale riorientamento dei portafogli globali. Questo scenario apre nuove opportunità per l’Europa. Opportunità che potranno essere colte solo rilanciando con determinazione il progetto di integrazione, completando il mercato unico e adottando politiche comuni per l’innovazione, la produttività, la crescita. A tal fine è essenziale rafforzare l’architettura finanziaria dell’Unione, creando le condizioni per attrarre e trattenere capitali. Significa superare l’attuale frammentazione del sistema finanziario, completare l’Unione dei mercati dei capitali e offrire agli investitori un titolo comune privo di rischio. È una sfida istituzionale e politica, ma anche l’occasione per ridurre la dipendenza da circuiti esterni e valorizzare il potenziale dell’economia europea. Il nuovo mondo finanziario che si va delineando sarà più incerto, più volatile, più competitivo. In questo contesto, le banche dovranno fare sempre più affidamento sulla tecnologia per restare efficienti, redditizie e vicine alla clientela. L’intelligenza artificiale, l’uso strategico dei dati, la sicurezza informatica saranno fattori determinanti per competere con successo. Queste tendenze stanno comportando un significativo aumento dei rischi operativi, che richiede attenzione da parte degli intermediari e delle autorità”.

“In un ambiente sempre più tecnologico il capitale umano rimane centrale: per affrontare efficacemente il cambiamento, le banche dovranno investire sulle persone, accrescendone le competenze e puntando su di esse per guidare l’innovazione. Nei prossimi mesi la politica monetaria dovrà restare improntata a flessibilità e pragmatismo. Il ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2% segna un progresso significativo, ma il quadro resta esposto a molteplici rischi. In questo contesto, sarà fondamentale continuare a valutare di volta in volta le prospettive e i rischi per la stabilità dei prezzi. In un mondo che cambia, l’Europa ha le risorse per svolgere un ruolo da protagonista. A condizione di agire con determinazione, visione e spirito di coesione”.



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