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Ftth, Nonno (Open Fiber): “Deregulation minerebbe fiducia”


L’Europa rischia di rallentare proprio mentre dovrebbe accelerare. Il Digital Networks Act promette di ridisegnare le regole del settore delle telecomunicazioni ma nella filiera delle Tlc cresce la preoccupazione tra gli operatori di filiera per segnali di deregolamentazione anticipata che potrebbero minare la fiducia degli investitori e ostacolare il completamento delle reti in fibra ottica.

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A lanciare l’allarme è Francesco Nonno, nuovo Presidente del FTTH Council Europe e Direttore Regolamentazione e Affari Europei di Open Fiber. In questa intervista a CorCom, spiega perché è fondamentale che il quadro normativo resti stabile fino al pieno consolidamento del mercato, e ribadisce con forza che le regole si cambiano solo dopo la trasformazione, non prima. Una riflessione lucida sul ruolo della regolazione per guidare gli investimenti, chiudere i divari digitali e garantire all’Europa una connettività ad altissima capacità davvero inclusiva e sostenibile.

Nonno, lei è stato recentemente nominato Presidente di FTTH Council Europe. Quali sono i principali obiettivi dell’associazione?

Faccio una piccola premessa: il FTTH Council Europe è un’associazione un po’ diversa rispetto ad altre associazioni europee di settore perché si configura come un’associazione di filiera. Copre, cioè, tutte le attività che vanno dalla produzione della fibra fino alla vendita al cliente finale. Tra i nostri membri ci sono produttori di fibra, costruttori di macchine per la posa, aziende che realizzano fisicamente le reti, sviluppatori di software per la gestione delle attività di delivery, e ovviamente gli operatori. Contiamo oltre 175 associati da circa 25 Paesi. Essendo l’associazione europea che nel settore delle comunicazioni elettroniche conta più associati, anche di natura industriale, il nostro obiettivo principale non è tanto l’attività di advocacy, ma quello di agire per allargare il mercato della fibra ottica in Europa. Lavoriamo, ad esempio, per ampliare la copertura e l’utilizzo dell’FTTH in Europa e stimolare l’espansione del mercato.

E questo obiettivo come si traduce in azioni concrete?

Nel programma di quest’anno, il tema centrale è il copper switch-off, ossia la dismissione delle reti in rame e la migrazione verso le reti in fibra ottica. Alcuni Paesi europei hanno già completato o stanno gestendo autonomamente questo passaggio. Altri, come Italia, Germania, Irlanda o Belgio, sono ancora indietro, e questo rischia di compromettere la competitività e la disponibilità infrastrutturale in vista degli obiettivi della Digital Decade europea. L’infrastruttura in fibra è un fattore abilitante: se non è completa o non è utilizzata, viene meno uno dei pilastri della strategia digitale europea. Per questo il Council spinge affinché la Commissione Europea non si limiti a indicare una data per la copertura (2030), ma stabilisca anche una deadline per la migrazione e inviti gli Stati membri a pianificare attivamente questa transizione, come avvenne per il passaggio al digitale terrestre.

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Quali sono i benefici concreti del copper switch-off?

Il primo beneficio riguarda la sostenibilità. Una rete FTTH consente risparmi energetici enormi: tra l’80% e il 90% sulle sole reti di accesso, circa il 60% se si includono anche le reti di trasporto. In Italia si parla di oltre un terawattora all’anno di energia risparmiata.

C’è poi un tema di capacità: la fibra è fondamentale non solo per connettere i clienti finali, ma anche per infrastrutture strategiche come le antenne del 5G e per supportare i processi industriali. Il beneficio si estende a tutta l’economia, non solo a chi realizza la fibra.

Nel board abbiamo avviato una riflessione strategica pluriennale: una volta completata la migrazione, il ruolo del Council sarà quello di stimolare l’utilizzo delle infrastrutture in fibra nei vari settori industriali, studiando casi specifici come le smart grid. In parallelo, stiamo analizzando anche l’evoluzione del mondo audiovisivo, come i limiti delle reti via cavo e le potenzialità di transizione verso FTTH.

In questo scenario quali leve può attivare il Council per promuovere la migrazione alla fibra?

Il Council, pur facendo advocacy presso le istituzioni, opera soprattutto come associazione industriale. Il nostro obiettivo è dunque mantenere attivi gli investimenti nel settore che negli ultimi anni hanno subito un rallentamento: i Paesi più avanzati hanno quasi completato la copertura, ma altri – più in ritardo – hanno avuto dinamiche di ritorno sugli investimenti troppo lente.

Per questo sosteniamo l’adozione di una policy europea di copper switch-off, che dia certezza agli investitori su un utilizzo effettivo dell’infrastruttura. Una scelta che ridurrebbe il rischio e la dipendenza dai fondi pubblici. Parallelamente, lavoriamo su best practice e workshop operativi: abbiamo organizzato 4 eventi per condividere le esperienze di chi ha già attuato il passaggio dalla rete in rame.

Quali sono gli ambiti applicativi prioritari di questo passaggio?

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In primo luogo il 5G, dato che nessuna antenna può offrire servizi adeguati senza una dorsale in fibra. Poi c’è il tema della resilienza e sicurezza, soprattutto per infrastrutture critiche sotterranee.

Sul piano industriale, invece, citerei le smart grid, come quelle su cui lavora Enel, i data center distribuiti, che richiedono connettività ridondata e il fiber sensing ossia l’uso della fibra per raccogliere segnali ambientali, utili per rilevare frane, terremoti, stabilità di ponti. Da segnalare anche i trasporti e agricoltura intelligente, dove la fibra consente il monitoraggio e la gestione real-time. Il Council si impegna a diffondere casi di successo a livello europeo.

Come si inserisce tutto questo nei grandi obiettivi Ue su digitalizzazione, sostenibilità e coesione?

Siamo pienamente allineati con i target di Bruxelles. In primo luogo perché la fibra contribuisce – lo abbiamo detto prima – ad aumentare il “tasso” di sostenibilità sia direttamente sia indirettamente, favorendo attività a distanza e migliorando l’efficienza nei settori verticali. Abbiamo un dialogo continuo con Commissione, Parlamento e Consiglio d’Europa e avviato una discussione per includere la fibra nella tassonomia europea per gli investimenti sostenibili. Questo favorirebbe l’accesso a capitali privati e accelererebbe la copertura.

La Commissione europea sta lavorando al Digital Networks Act. Come valutate questa iniziative?

Siamo preoccupati per i segnali di deregolamentazione prematura contenuti nella Call for Evidence sul Digital Networks Act che rischia di minare la fiducia degli investitori, che hanno scommesso su un quadro normativo pro-competitivo. Se guardiamo alle intenzioni di fondo della Commissione europea, sembrano orientate verso una deregolamentazione degli incumbent che non appare giustificata da evidenze concrete. Le proposte in discussione paiono rispondere più agli interessi di una specifica categoria di operatori – proprio gli incumbent – piuttosto che a una strategia condivisa per stimolare nuovi investimenti.

Quindi la Commissione crede che in questo modo si otterranno più investimenti?

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Al momento non ci sono dati o analisi che supportino questa ipotesi. Che gli incumbent lo chiedano, è legittimo – lo capisco bene, avendo io stesso lavorato in team che per anni hanno avanzato richieste di deregolamentazione. Ma è importante ricordare che, con l’attuale quadro regolamentare, sono già stati realizzati investimenti enormi, prevalentemente da parte di operatori entrati nel mercato in molti casi dopo il 2010. La maggior parte degli incumbent ha investito nel FTTH con convinzione ed ha migrato o sta migrando la propria customer base. Solo in alcuni mercati gli incumbent investono in FTTH solo come reazione all’investimento di nuovi entranti e cercano di rallentare la migrazione da rame a fibra. E allora viene da chiedersi: quale sarebbe il senso di deregolamentare proprio chi continua a rimanere aggrappato alle vecchie reti in rame?

La posizione del FTTH Council Europe è chiara: un’eventuale deregolamentazione, sempre ammesso che ci siano le condizioni per attuarla, dovrebbe arrivare solo dopo aver completato la migrazione al full-fiber e aver chiuso definitivamente il capitolo del rame.

Perché è importante aver completato la migrazione?

Perché quel mondo è nato in un contesto monopolistico: in tutta Europa le reti in rame sono state realizzate da aziende statali, in regime di monopolio. Alcune di queste imprese sono state privatizzate, altre no, ma l’infrastruttura originaria resta comunque figlia di un assetto non concorrenziale. Ecco perché intervenire ora con un allentamento delle regole, prima che il mercato sia effettivamente aperto e competitivo, rischia di riportarci indietro, non avanti.

Coesione territoriale e diritto alla connessione: come superare i divari digitali ancora esistenti? E quali strumenti e collaborazioni ritiene fondamentali per garantire un accesso equo e capillare alla fibra ottica su tutto il territorio europeo?

In Europa esiste il concetto di servizio universale, che garantisce un accesso minimo alle comunicazioni. In passato riguardava la fonia, oggi deve evolvere verso un accesso a connessioni ad altissima capacità, almeno 1 Gbps. Paesi come Francia e Spagna hanno già avviato politiche pubbliche importanti. In Italia, gli interventi pubblici (piani BUL e PNRR) hanno l’obiettivo di raggiungere il 100% della popolazione, con investimenti sia pubblici che privati. Le consultazioni annuali previste dall’articolo 22 del Codice delle comunicazioni devono essere rese più efficaci, responsabilizzando gli operatori che dichiarano coperture. L’importante è garantire un accesso equo su tutto il territorio, anche con tecnologie diverse, come il Fixed Wireless Access, purché rispettino standard di qualità.

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Come Regulatory Affairs di Open Fiber e ora presidente del FTTH Council, quale ruolo vede per l’Italia in questa trasformazione infrastrutturale?

L’Italia ha avuto un ruolo pionieristico con Fastweb, poi con Metroweb e oggi con Open Fiber. Abbiamo un duopolio allargato con tanti piccoli operatori complementari. Il nostro Paese deve credere nella propria capacità di completare la copertura e usare la sua posizione per influenzare positivamente Bruxelles. Il Dipartimento per la transizione digitale è molto attivo e il cambio di vertici in Asstel è un segnale positivo. L’Italia ha tutto per tornare a giocare un ruolo guida nelle telecomunicazioni europee, a condizione che il settore lavori in modo più coeso.



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