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La nuova identità digitale in Cina: una svolta radicale nella sorveglianza


Il governo cinese si prepara a introdurre, a partire dal 15 luglio 2025, un sistema nazionale di identità digitale, pensato per sostituire le attuali forme di registrazione online, oggi gestite da piattaforme private.

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Il nuovo schema prevede che gli utenti acquisiscano una digital ID attraverso un’applicazione gestita dalla polizia, previa trasmissione di dati biometrici e informazioni personali.

Il sistema, inizialmente volontario, potrebbe diventare obbligatorio, rappresentando una svolta radicale nelle modalità di gestione dell’identificazione digitale, della sorveglianza e dell’economia dei dati in Cina.

Come nasce la nuova identità digitale in Cina

Il progetto si colloca in una traiettoria di lungo periodo, avviata già nel 1984 con l’introduzione delle carte d’identità nazionali cartacee per i cittadini sopra i 16 anni.

Con oltre 1,1 miliardi di utenti online, la Cina intende ora accentrare il controllo sulla verifica delle identità digitali, storicamente affidata ai grandi attori del web.

Il passaggio della gestione all’apparato statale, in particolare al Ministero della Pubblica Sicurezza, consente di disintermediare il rapporto tra cittadino e piattaforme, creando un’identità digitale unificata, spendibile su più servizi e piattaforme, ma visibile solo alle autorità.

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A partire dal 2024 è iniziata una fase pilota, che ha visto l’adesione di circa 6 milioni di utenti. Nonostante la registrazione sia ancora su base volontaria, media statali e funzionari pubblici hanno avviato una campagna per promuoverne l’adozione, enfatizzandone i vantaggi in termini di sicurezza e protezione delle informazioni personali.

In questo contesto, la digital ID viene proposta come risposta alla proliferazione di truffe online, spam telefonico e utilizzo illecito dei dati da parte di reti criminali specializzate in frodi informatiche.

I rischi di controllo dell’informazione

La nuova architettura modifica in profondità l’equilibrio tra soggetti pubblici e privati nell’ecosistema digitale.

Le aziende, che attualmente gestiscono l’identificazione tramite procedure di real-name registration, perderanno visibilità sui dati degli utenti, che saranno sostituiti da token digitali anonimizzati.

Le piattaforme continueranno a esercitare funzioni di moderazione e controllo dei contenuti, ma non potranno accedere alle identità reali, che resteranno esclusiva competenza delle autorità.

Tale modifica si inserisce in un sistema multilivello di controllo dell’informazione già ampiamente strutturato. Attualmente, ogni utente deve registrarsi con il proprio nome per poter commentare, giocare online o effettuare acquisti digitali.

Questo sistema di outsourcing della sorveglianza alle imprese consente allo Stato di mantenere un controllo indiretto ma efficace sul comportamento digitale.

Nel 2024 le forze dell’ordine hanno dichiarato di aver sanzionato 47.000 cittadini per la diffusione di contenuti definiti “rumorosi” o destabilizzanti, grazie anche alla collaborazione attiva delle piattaforme.

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L’adozione della digital ID consente di automatizzare e centralizzare questa funzione, con potenziali implicazioni sia sul piano delle libertà individuali sia su quello dell’economia dei dati.

In futuro, le autorità potranno disporre di una mappatura completa dei servizi digitali utilizzati da ciascun individuo, incluse abitudini di consumo, app consultate e tempi di connessione.

Pur trattandosi di informazioni che già oggi potrebbero essere raccolte tramite richieste mirate a fornitori e operatori, l’infrastruttura di identità digitale ne faciliterebbe la raccolta e l’elaborazione sistemica.

L’impatto sull’economia dei dati

Dal punto di vista economico, il sistema si inserisce in un piano più ampio di valorizzazione del dato come fattore produttivo strategico, accanto a capitale, lavoro e terra.

Negli ultimi anni, diverse città cinesi hanno istituito borse dati (data exchanges) dove informazioni raccolte da enti pubblici, imprese statali e soggetti privati possono essere scambiate e monetizzate.

A Shenzhen, per esempio, è già possibile acquistare dati sul consumo energetico dei cittadini a partire dalle reti elettriche. La prospettiva è quella di istituire un mercato nazionale dei dati regolato, con meccanismi di tracciabilità e interoperabilità tra enti.

Identità digitale come elemento abilitante del mercato dei dati in Cina

In questo contesto, l’identità digitale agisce come elemento abilitante. Centralizzare l’identificazione consente infatti di associare ogni flusso di dati a un’identità verificata, rendendo più efficiente sia la profilazione statistica sia l’addestramento di algoritmi intelligenti.

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Alcuni osservatori evidenziano come questa infrastruttura possa offrire un vantaggio competitivo alle aziende cinesi nel campo dell’intelligenza artificiale, compensando la limitazione all’accesso a chip avanzati di progettazione statunitense.

L’abbondanza di dati ad alta qualità e la possibilità di associarli in modo strutturato ad identità digitali permettono di affinare modelli predittivi e tecnologie come il riconoscimento facciale, settore in cui la Cina detiene già una posizione di leadership.

Le criticità

Non mancano tuttavia elementi critici. Alcuni accademici e attivisti hanno espresso perplessità circa la portata del controllo statale. La professoressa Lao Dongyan, docente alla Tsinghua University, ha definito il sistema una “manovra ingannevole” in un post successivamente rimosso dalla piattaforma Weibo, seguita dalla sospensione temporanea del suo account.

Questi episodi alimentano il dibattito sulla sostenibilità di un’infrastruttura così invasiva dal punto di vista informativo, in un contesto in cui la fiducia nelle istituzioni che gestiscono i dati è ancora limitata.

Nel 2022, infatti, un attacco informatico ha colpito una banca dati della polizia di Shanghai, esponendo oltre un miliardo di record personali.

La violazione, secondo quanto emerso successivamente, è stata resa possibile da configurazioni errate e assenza di adeguate misure di sicurezza. Questo caso ha evidenziato la fragilità delle strutture esistenti e sollevato interrogativi sulla capacità dello Stato di gestire in sicurezza una piattaforma digitale così vasta e pervasiva.

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L’identità digitale come leva per il
controllo centrale in Cina

Il tema si intreccia inoltre con una trasformazione profonda nella distribuzione del potere informativo all’interno dell’ecosistema cinese.

Il passaggio da una governance “delegata” – in cui le imprese raccolgono e gestiscono i dati sotto sorveglianza – a una gestione diretta da parte dello Stato, ridefinisce anche i rapporti tra autorità pubbliche e grandi conglomerati tecnologici.

Già nel 2021, il caso Ant Group ha segnato una cesura: l’azienda è stata costretta a condividere i propri dati creditizi con la banca centrale cinese. L’anno successivo, Didi è stata multata per 8 miliardi di yuan e costretta a delistarsi dal NYSE per presunte violazioni delle normative sulla sicurezza dei dati.

L’identità digitale, in questo quadro, rappresenta una leva per consolidare ulteriormente il controllo centrale, redistribuendo il potere informativo tra imprese e governo.

Sebbene l’obiettivo dichiarato sia la protezione del cittadino e la prevenzione degli abusi, la concentrazione di dati sensibili in un’unica infrastruttura accessibile alle forze dell’ordine solleva interrogativi su possibili derive nell’uso delle informazioni personali.

Nel confronto internazionale, la strategia cinese si distingue nettamente da quanto adottato in altri Paesi.

Sistemi di identità digitale esistono anche in democrazie consolidate come Regno Unito e Australia, ma sono limitati all’accesso a servizi pubblici e non sono gestiti dalle forze di polizia.

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L’ambizione cinese va oltre l’efficienza amministrativa, puntando a integrare l’identità digitale in ogni attività online, con potenziali conseguenze sul controllo sociale, sulla libertà d’espressione e sull’evoluzione stessa della sfera pubblica digitale.

Prospettive future

L’introduzione della digital ID in Cina si configura come un esperimento sistemico che va oltre la semplificazione dell’autenticazione online.

Si tratta di una ridefinizione della relazione tra individuo, Stato e tecnologia, in cui l’identità non è più solo un dato amministrativo, ma diventa una chiave di accesso – e potenzialmente di controllo – all’intera vita digitale del cittadino.



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