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Fra Pd e Confindustria un accenno di disgelo


L’ex ministro Orlando: «Rischio declino, serve un patto fra stato, imprese e lavoro. La sfida non è il riarmo». Arriva Orsini, ma Schlein è già andata via. Parlerà con Landini

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Dal palco di “Le rotte del futuro”, evento convocato da Andrea Orlando negli Studios di via Tiburtina a Roma – scenografia post industriale, un grande schermo per i collegamenti da remoto, qualche poltrona e un arredamento di fasci di luce blu – Elly Schlein vuole portare subito un saluto.

Farà le conclusioni della due giorni – una decina di panel con ambasciatori professori, imprenditori e studiosi, cinque workshop e dirigenti delle mille sfumature di Pd – ma intanto vuole dimostrare ai detrattori, dentro e fuori il partito, che lei non è una tutta e solo diritti civili e sociali, che anche quando si discute di «reindustrializzazione dell’Italia e dell’Europa» è a suo agio.

«Le principali preoccupazioni delle imprese in questo momento sono la minaccia dei dazi che va sventata sostenendo con forza il negoziato dell’Ue e il costo dell’energia», attacca, «in Italia abbiamo le bollette più care d’Europa». Chiede lo scorporo del prezzo del gas da quello dell’energia: «Meloni trovi il coraggio per intaccare un sistema che fa maturare extraprofitti a un pugno di società energetiche a discapito di tutte le altre industrie, imprese e famiglie italiane».

Nel pomeriggio dal palco le risponde il presidente della Confindustria, Emanuele Orsini. In questi giorni non ha risparmiato critiche al governo, ma qui usa il bilancino: non è contrario allo scorporo, ma chiede di ragionare sull’energia nucleare.

Sui dazi è preoccupato, ma pragmatico. Quando arriveranno, sa già cosa farà: «Chiederò compensazioni». Soldi pubblici. Applausi di cortesia.

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Prove di dialogo

Del resto è un primo esperimento di dialogo fra due mondi paralleli, quello di Schlein e quello dell’impresa. Il responsabile economico del Pd, Antonio Misiani, lo nega: «Con Orsini ci siamo incontrati altre volte». Resta che il dialogo è indispensabile per una leader nata nei movimenti che oggi aspira a diventare premier. Peccato che quando quando arriva Orsini, lei sia già andata via.

«Aveva un impegno, ma ci siamo sentiti al telefono», la giustifica con cortesia il presidente. L’11 luglio ci sarà, e ci sarà anche il suo compagno di referendum, il segretario Cgil Maurizio Landini.

Regista delle «rotte del futuro», leggasi anche «la rotta del Pd verso il ritorno a palazzo Chigi», è l’ex ministro Orlando. Che dopo aver corso in Liguria ed essersi dimesso da deputato (ora è consigliere regionale), ha accettato di guidare il Forum industria del partito e ha viaggiato per 2.500 chilometri fra aziende, eccellenze, crisi, assemblee di lavoratori. E steso un «Libro verde», prima bozza di un «Piano nazionale per l’industria».

Tra le proposte, «lo sviluppo di Invitalia e di Cassa depositi e prestiti e una nuova Agenzia per la ricerca applicata, un soggetto di coordinamento della presenza pubblica nelle imprese partecipate», elenca il ricercatore Simone Oggionni.

La trappola della destra

Al fondo c’è, per Orlando, «l’idea che serva una nuova programmazione fondata su un patto tra Stato e imprese e lavoro». Senza la quale non si governano le transizioni ecologiche e digitali. Serve «capire per cambiare con la forza di una collettività organizzata. Altrimenti anche l’encomiabile intento di tornare nei luoghi del lavoro e nelle periferie rischia di apparire come un cambio di quinta scenografico».

In Europa si muove poco, la relazione Draghi è rimasta sulla carta, e così si finisce «nella trappola della destra, che da un lato destruttura le politiche europee e impedisce all’Unione di esercitare un ruolo nelle politiche industriali, facendo crescere il rischio di una colonizzazione produttiva, dall’altro addossa all’Europa le proprie inadeguatezza». E «la risposta al rischio dì deindustrializzazione del nostro continente non può essere una politica di riarmo», stoccata a Ursula von der Leyen. Ma la sfida è a Meloni «su un piano per l’industria, non per il riarmo».

Sul tema va in scena un duetto fra due ex ministri, Lorenzo Guerini e Peppe Provenzano. Il presidente del Copasir: «La difesa europea è un’esigenza ineludibile perché parlare di autonomia strategica europea senza parlare di difesa europea significa fare un ragionamento monco». Ma no al Piano di riarmo, replica il responsabile Esteri del Pd: «Favorisce il riarmo tedesco. In questo modo non si segue un percorso per una vera difesa europea», cosa invece «che ci serve e serve alla nostra industria».

Quanto al governo, non ha una politica industriale e partecipa al picconamento di quel poco di iniziative europee, come il Green deal (in questo in linea con Orsini).

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La produzione industriale ha il segno meno da 28 mesi e il piano Industria 5.0 non funziona. Orsini conferma. Ma la deindustrializzazione «non è un destino ineluttabile», conclude Misiani, «siamo la principale forza di opposizione, ma vogliamo tornare al governo del paese. Per farlo, serve una piattaforma credibile».

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