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AI in azienda, gli errori che frenano l’innovazione e creano delusioni


Nonostante gli investimenti crescenti e un entusiasmo ancora acceso, l’intelligenza artificiale nelle imprese fatica spesso a generare valore reale. I motivi? Una lunga serie di errori ricorrenti, che vanno da approcci ingenui alla mancanza di una cultura del dato, fino all’assenza di competenze interne e strategie di cambiamento. A spiegarli è Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante, che invita le aziende a un approccio più consapevole e strategico all’adozione dell’AI.

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“L’intelligenza artificiale non è un add-on, ma uno strumento che va integrato all’interno di una strategia di business più ampia”, sottolinea D’Agata. “Richiede un’analisi accurata, una chiara definizione degli obiettivi e una visione integrata tra tecnologia, processi e persone”.

I sette errori più comuni nell’adozione dell’AI

1. Approccio “plug-and-play”

Molte aziende credono erroneamente che l’AI possa essere “installata” e subito funzionante. Questo tipo di visione ignora la complessità dei processi organizzativi, la necessità di un’architettura dati coerente e l’integrazione nei flussi operativi. L’illusione del plug-and-play si traduce spesso in aspettative irrealistiche e delusioni.

2. Mancanza di obiettivi chiari e misurabili

“Spesso si parte per ‘sperimentare l’AI’ in modo generico, senza metriche di successo o indicatori chiave di performance”, afferma D’Agata. “Ogni iniziativa dovrebbe partire da una domanda semplice: quale processo e KPI vogliamo migliorare?”.

3. Pochi dati, di bassa qualità o mal gestiti

L’AI è alimentata dai dati, e se questi sono disorganizzati, frammentati in silos, obsoleti o non rappresentativi, i risultati saranno inevitabilmente deludenti. Senza una solida strategia di data governance, è impossibile generare modelli affidabili ed equi.

4. Sopravvalutazione delle capacità dell’AI

Attribuire all’AI capacità “miracolose” è un errore diffuso. L’AI non risolve automaticamente ogni problema, e non può sostituire completamente l’intelligenza umana. “I risultati migliori si ottengono attraverso modelli ibridi, in cui l’AI affianca le persone, potenziandone le capacità ma non sostituendole” spiega D’Agata.

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5. Trattare l’AI come un progetto “una tantum”

L’intelligenza artificiale non è un progetto da chiudere una volta completato. È un sistema dinamico, che richiede manutenzione, monitoraggio, aggiornamenti e ottimizzazione continua. L’assenza di cicli iterativi porta all’obsolescenza delle soluzioni e alla loro inefficacia nel tempo.

6. Assenza di competenze interne

Affidarsi totalmente a fornitori esterni senza sviluppare competenze interne è un altro limite diffuso. L’azienda deve costruire, anche gradualmente, un team capace di comprendere, supervisionare e guidare le iniziative di AI. Solo così potrà mantenere il controllo sul valore prodotto.

7. Sottovalutazione del change management

L’AI non è solo tecnologia: è cambiamento culturale. Senza coinvolgimento delle persone, formazione continua e una comunicazione trasparente sui benefici, l’adozione rischia di generare resistenze. “Molti progetti falliscono non per limiti tecnici, ma per resistenza culturale o per mancanza di formazione interna”, ricorda D’Agata.

Conclusione: realismo, visione, competenze

Il fallimento di molti progetti AI non è tecnologico, ma organizzativo. Serve un cambiamento di mentalità che riconosca la portata trasformativa dell’AI, ma anche i suoi limiti. È necessario passare da una logica di adozione opportunistica a una visione strategica, fondata su dati di qualità, obiettivi chiari, cultura aziendale inclusiva e capacità interne robuste.

Solo così l’intelligenza artificiale potrà diventare davvero uno strumento di innovazione e vantaggio competitivo.



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