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Siamo senza crescita né «declino» ma così non va bene


L’Italia sta crescendo più delle attese: +0,3% nel primo trimestre del 2025, con la possibilità di superare lo 0,6% entro fine anno. Un segnale positivo, certo, ma che va letto nel contesto europeo. La Spagna, ad esempio, corre più veloce (+0,6%), mentre Germania e Francia arrancano (+0,2% e +0,1%). Alcuni Paesi, come l’Ungheria, sono addirittura in recessione (-0,2%). L’Italia sembra dunque in una posizione intermedia, né brillante né in difficoltà estrema. Eppure, non possiamo considerarci al sicuro: la crescita resta debole, troppo debole per correggere le storture strutturali che frenano il nostro sistema economico e sociale.

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In questo quadro già complesso, lo scenario geopolitico internazionale alimenta ulteriori incertezze. I conflitti in corso, dal Medio Oriente all’Ucraina, la crisi energetica ancora irrisolta, le tensioni commerciali e l’altalena dei dazi stanno ridisegnando le regole del gioco per le imprese italiane ed europee. Operare in questo contesto significa confrontarsi con margini di rischio sempre più ampi, instabilità nei costi e difficoltà di pianificazione a medio termine. Anche per questo, le scelte che compiamo oggi — in materia di sviluppo, infrastrutture, lavoro — devono essere ancora più lucide, coraggiose e strategiche. È in questo contesto che si inserisce la seconda edizione delle Giornate del Mezzogiorno che la Camera di Commercio di Bari promuoverà a settembre, durante Fiera del Levante. Non solo un momento di confronto, ma un’occasione per riportare al centro del dibattito i nodi irrisolti dello sviluppo nel Sud e stimolare risposte concrete.

Un esempio evidente è il mercato del lavoro, che mostra segnali ambigui. L’occupazione cresce ma in settori a bassa produttività mentre l’industria continua a non crescere. Per dirla con gli economisti, sono stati creati tanti posti di lavoro che non sviluppano ricchezza, come dimostra anche il mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre, su oltre mezzo milione di nuovi occupati, la stragrande maggioranza (542mila) ha più di 50 anni. Nella fascia 25-34 anni, invece, si registrano 23mila occupati in meno e un numero identico di inattivi in più. Tra le donne, a febbraio 2025 si contano 28mila occupate in meno rispetto all’anno precedente, a fronte di 12mila uomini in più. Un mercato del lavoro, pertanto, che esclude e invecchia, lasciando ai margini proprio quelle energie — giovani e donne — di cui avrebbe più bisogno.

A questo si aggiunge una nuova impennata nella richiesta di cassa integrazione (+30,2% nel primo trimestre dell’anno), soprattutto nei settori in transizione – metalmeccanico, tessile, moda – che riflettono la fragilità di un sistema industriale, non ancora adeguatamente riconvertito rispetto alle sfide della transizione ecologica e digitale. Una dinamica che viviamo quotidianamente anche in Puglia, nel confronto diretto con le imprese, siano esse del manifatturiero, del commercio, dell’agroalimentare o attive nei settori dell’innovazione digitale, dei servizi avanzati e della conoscenza.

Di fronte a questi scenari, le Camere di commercio non sono semplici osservatori, ma enti pubblici che concretamente e quotidianamente esercitano competenze anche in materia di formazione, orientamento al lavoro e sostegno alla creazione d’impresa. Vogliamo rafforzare sempre più, a livello territoriale, il nostro ruolo di raccordo tra le esigenze del sistema produttivo e le politiche pubbliche per lo sviluppo. Nelle Giornate del Mezzogiorno, con ospiti autorevoli, entreremo nel merito dei nodi irrisolti per cercare di comprendere come uscire dalla zona grigia in cui ci troviamo, senza né crescita piena né declino conclamato.

Parleremo di politiche industriali, di strumenti efficaci per valorizzare il risparmio privato – tra i più solidi d’Europa – che, così come tanti nostri giovani, finisce troppo spesso per alimentare lo sviluppo di altri Paesi anziché del nostro, e di investimenti pubblici ben programmati: PNRR, fondi di coesione, ZES. Non c’è spazio per scorciatoie: serve onestà, sacrificio, visione. Il turismo è fondamentale, ma non può sostituire l’industria. Servono anche settori ad alta produttività, buoni salari, stabilità. L’Italia deve costruire oggi le condizioni per un futuro solido. E per farlo deve partire dal Sud, dai suoi talenti spesso inascoltati o trascurati, dalla sua energia – non solo metaforica – e dalla voglia di restare, investire, costruire. Il nostro sviluppo è il nostro futuro. Nessuno lo farà al posto nostro.

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