La Commissione europea ha presentato a febbraio il pacchetto Omnibus I, che con l’obiettivo di semplificare gli obblighi burocratici delle aziende europee, ha introdotto una serie di modifiche a tre pilastri del quadro normativo europeo per la finanza sostenibile: la Corporate Sustainability Reporting Directive (Csrd), la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (Csddd), e il Regolamento sulla Tassonomia.
Già a ridosso dell’iniziativa di Bruxelles c’è stato chi, come il direttore scientifico di ASviS Enrico Giovannini, ha sottolineato i rischi insiti in questa operazione di «semplificazione». Rischi che ora, in vista del confronto in sede europea proprio sul pacchetto di riforma delle norme di finanza sostenibile, lanciano Legacoop, la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola Media Impresa (CNA) e ECCO, il think tank italiano per il clima. Chiarezza, coerenza e semplicità, scrivono in una nota congiunta, sono essenziali, ma senza ridurre l’ambizione degli obiettivi ambientali e sociali affinché le Pmi possano partecipare pienamente alla transizione ecologica.
Secondo un’analisi che hanno realizzato le tre organizzazioni, l’esenzione o la riduzione degli obblighi sui temi della sostenibilità non garantirebbe l’inclusione delle Pmi nel percorso di transizione. Al contrario, un quadro normativo stabile, accompagnato da adeguate politiche di sviluppo aziendale e professionale, permetterebbe alle imprese di sviluppare le competenze necessarie per competere nei mercati internazionali.
«Esiste una correlazione sempre più stretta tra rendicontazione e accesso al credito – spiega Beatrice Moro, senior policy advisor di ECCO – se le Pmi non sono messe nelle condizioni di misurare e comunicare i propri impatti ambientali e sociali, rischiano di essere escluse dai canali di finanziamento e dalle catene del valore. L’Europa non deve allentare gli obblighi, ma facilitare l’adozione di strumenti chiari e coerenti».
Partendo da un recente studio ISTAT, le tre organizzazioni sottolineano che la sostenibilità non riduce la competitività. «Al contrario, le imprese italiane con un profilo ambientale medio o alto, soprattutto in connessione all’utilizzo di fonti rinnovabili e all’efficientamento energetico, generano maggiore valore aggiunto rispetto a quelle che non hanno intrapreso un percorso di transizione». Tuttavia, ribadiscono, «le modifiche introdotte nel pacchetto Omnibus rischiano di compromettere l’efficacia di questo sistema».
Nell’analisi, le tre organizzazioni evidenziano che un approccio puramente orientato alla semplificazione rischia di diventare una barriera per l’accesso delle PMI alle opportunità della transizione, considerando che queste rappresentano oltre il 50% del PIL europeo e il 63% delle emissioni delle imprese. Direttive chiave come la Csrd, la Csddd e la Tassonomia UE hanno introdotto obblighi fondamentali per riorientare i flussi finanziari e promuovere una transizione sostenibile. L’obiettivo ora è renderle applicabili anche alle imprese di dimensioni più contenute.
«Per consentire alle cooperative e alle PMI di applicare efficacemente la Direttiva UE sulla responsabilità delle imprese per la sostenibilità, è necessario un quadro normativo armonizzato, proporzionato e coerente con le loro esigenze – dichiara Simone Gamberini, presidente di Legacoop – non servono esenzioni, ma strumenti concreti per supportare le imprese in questo percorso, garantendo stabilità normativa a lungo termine per pianificare investimenti e strategie. Solo così sarà possibile creare un’economia inclusiva, competitiva e resiliente».
Cinque sono le raccomandazioni che, secondo Legacoop, CNA e ECCO, il Pacchetto Omnibus dovrebbe recepire per rafforzare la capacità delle PMI di pianificare e finanziare la propria transizione:
- Standard di rendicontazione proporzionati e scalabili, in base alla dimensione aziendale;
- Standard settoriali e applicazione della doppia materialità, per garantire che le imprese si concentrino su informazioni davvero rilevanti e utili;
- Due diligence basata sul rischio, per evitare carichi burocratici inutili e focalizzare gli sforzi dove più necessari;
- Implementazione di piani di transizione solidi e credibili, come strumento strategico per orientare le decisioni d’investimento e la programmazione aziendale;
- Supporto operativo concreto da parte di grandi imprese, sistema finanziario e istituzioni pubbliche, attraverso formazione, strumenti digitali, incentivi e politiche di premialità.
«CNA riconosce il valore economico e sociale della transizione green – dice Dario Costantini, presidente di CNA – nonostante il dibattito sul Green Deal Europeo, questo rimane una delle strategie comunitarie più rilevanti per le imprese. La transizione green non può avvenire senza il coinvolgimento delle micro e piccole imprese. È fondamentale adottare un approccio strategico e meno burocratico nelle politiche green per garantire che le piccole imprese svolgano un ruolo centrale in questa sfida».
Scrivono le tre organizzazioni: «Si auspica che i prossimi passi in materia di regolamentazione e supporto alle Pmi siano caratterizzati da un impegno condiviso e concreto da parte di tutte le parti interessate. È fondamentale che le istituzioni europee, nazionali e regionali mettano a disposizione strumenti, risorse e politiche di costruzione delle competenze volte a semplificare e rendere proporzionati gli obblighi di rendicontazione, garantendo un equilibrio tra trasparenza, sostenibilità ambientale ed economica delle imprese di tutte le dimensioni».
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