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Industria, lavori, transizione: la scommessa sul futuro produttivo


Un’idea di politica industriale che il Partito Democratico sta provando a rimettere al centro. Anche a Siena

C’è un’iniziativa del Partito Democratico che sta passando un po’ sotto silenzio. Si tratta del tentativo di costruire un’agenda industriale per il Paese, una strategia di lungo periodo, strutturale, che rimetta lo Stato e il lavoro al centro delle trasformazioni economiche in corso.

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Attorno al “Libro Verde” sulle politiche industriali il PD prova a uscire dalla logica emergenziale per proporre un vero quadro strategico.

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L’idea è che non si possa affrontare la transizione ecologica, quella digitale e la crisi sociale senza un ruolo attivo delle istituzioni nella definizione di che tipo di industria vogliamo, di quali produzioni sostenere, di quali filiere proteggere.

È una visione, che riporta il discorso sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza in un campo esplicitamente politico. E che prende le distanze da due scorciatoie pericolose: il riarmo come strumento indiretto di rilancio industriale e il ritorno acritico al nucleare.

Il PD dice con nettezza che non sarà la spesa militare a garantire la crescita sostenibile dell’Italia. E lo fa in controtendenza rispetto a parte del quadro europeo e a buona parte della destra italiana. Al tempo stesso, il partito non si chiude in una posizione ideologica sul tema del nucleare: lo considera non risolutivo né realistico nel breve termine, ma tiene aperto uno spazio di discussione sulle tecnologie del futuro. È una posizione di cautela, fondata sulla priorità assoluta di investire nelle rinnovabili, nella rete elettrica, nell’efficienza energetica e nella ricerca pubblica. Ma anche una presa d’atto che ogni transizione richiede tempo, consenso sociale, e un serio confronto scientifico.

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Ciò che emerge con forza è l’idea che una politica industriale progressista debba tenere insieme produzione e diritti. Il sostegno pubblico non è un regalo alle imprese, ma un patto condizionato: accesso a risorse solo se si garantiscono salari dignitosi, contrattazione, investimenti in innovazione, responsabilità ambientale.

È in questa chiave che si guarda alla possibilità di rilocalizzare produzioni strategiche — sanità, microelettronica, materiali critici — per evitare le fragilità evidenziate dalla pandemia e dalla crisi energetica post 2022.

Ma non lo si fa in chiave nazionalistica o protezionista, bensì dentro una strategia europea. Il PD si muove all’interno del gruppo dei Socialisti e Democratici, contribuendo al progetto di una politica industriale comune che metta al centro il Green Deal, la coesione territoriale e la difesa dei lavoratori nelle transizioni produttive.

Il nodo, è come rendere tutto questo più visibile, più concreto, più comprensibile. Come evitare che resti sulla carta o dentro seminari poco partecipati. Come tradurre questa cornice nazionale ed europea in politiche locali capaci di incidere davvero. Perché il rischio è che, al netto dei documenti, le imprese restino sole, i lavoratori senza garanzie, i territori marginalizzati.

In questo senso, Siena e la sua provincia offrono un caso emblematico e allo stesso tempo unico.

Il tessuto industriale locale ha caratteristiche ibride: da un lato settori tradizionali di qualità come l’agroalimentare e la meccanica di precisione, dall’altro un’eccellenza consolidata nelle scienze della vita. Un potenziale che non è ancora diventato sistema. Il rischio è che resti confinato in isole di eccellenza autoreferenziali, senza generare quel valore diffuso di cui ha bisogno un territorio che soffre il declino demografico, l’invecchiamento e la marginalizzazione infrastrutturale.

Per rendere concreta la politica industriale in questo territorio, servono scelte precise e localizzate.

Alcune idee cominciano a maturare. E avranno bisogno di visione politica e supporto istituzionale.

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Primo asse: Tls deve evolversi, creando una piattaforma di post-incubazione, per liberare spazi per nuove start-up, e trattenere sul territorio le imprese già nate in seno alla fondazione.

Non si tratta cioè solo di sostenere Tls, ma di riconoscerla come snodo strategico per una nuova politica industriale regionale. L’obiettivo non è solo l’innovazione, ma l’industrializzazione sostenibile e la creazione di nuova imprenditorialità.

Secondo asse: costruire un ecosistema produttivo che leghi scienze della vita, salute, alimentazione e agricoltura. Un’alleanza tra medicina predittiva, nutraceutica, filiere biologiche e precision farming che possa aprire prospettive inedite anche per il mondo agricolo senese, in cerca di nuovi modelli. Ci sono esperienze da che mostrano quanto l’ibridazione tra ricerca, natura e impresa possa generare occupazione di qualità, differenziazione produttiva e sostenibilità.

Ma la leva più potente — e più fragile — è il capitale umano universitario. Siena ha una risorsa che molti territori non hanno: migliaia di studenti e studentesse altamente formati che ogni anno transitano dalla città. Eppure la maggior parte se ne va. Trattenerli significa ripensare il diritto allo studio, le politiche abitative, la rigenerazione urbana, forse anche immaginare strumenti nuovi in ambito intercomunale e attraverso la Fondazione Mps.
Chi studia e lavora deve poter vivere a Siena: altrimenti la città si svuota, e con essa il tessuto economico e sociale. È una sfida cruciale, che chiede interventi coordinati, strutturali, e probabilmente un cambio di mentalità su cosa vuol dire “investire in sviluppo”.

Infine, c’è la questione infrastrutturale, a cui dare priorità: Il raddoppio della ferrovia Siena–Poggibonsi. Non è una questione tecnica: è un atto politico. La moderna rete ferroviaria si ferma oggi a Poggibonsi, mentre Siena resta l’unico capoluogo toscano raggiunto ancora da un binario unico. Raddoppiare quella tratta — in connessione con l’intervento già previsto tra Empoli e Granaiolo — significa riaprire Siena all’area metropolitana fiorentina, a Pisa, al corridoio AV verso nord. Significa connettere la città con le aree più dinamiche della regione e del Paese. Non significa dimenticare il sud ma semplicemente prendere atto che la vera integrazione produttiva e logistica per Siena passa da nord.

Perché tutto questo diventi realtà, non basta elencare progetti. Serve una regia politica e classe dirigente che sappia tenere insieme il quadro strategico nazionale con le urgenze e le potenzialità locali. La politica industriale non è un affare da tecnici o da convegni, ma una leva decisiva per ridare senso al futuro delle comunità. Convegni e tecnici sono utili se servono a fare scelte, costruire alleanze, aprire cantieri veri. Anche — e forse soprattutto — partendo da qui. Da Siena.



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