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i numeri e le prospettive di un fenomeno globale


Il numero di persone costrette alla fuga ha raggiunto un nuovo record. Lo rivela il rapporto annuale Global trends 2024, elaborato dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) e pubblicato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato del 20 giugno. Oltre 120 milioni di persone nel mondo risultano sfollate forzatamente a causa di guerre, violenze, persecuzioni o gravi violazioni dei diritti umani. È il 12esimo anno consecutivo in cui questa cifra cresce. Si tratta di un aumento di 7 milioni di persone, pari al 6%, rispetto alla fine del 2023.

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Il dato comprende rifugiati internazionali (circa 43 milioni), sfollati interni (68,3 milioni), ma anche richiedenti asilo e apolidi. Secondo l’Unhcr, questa escalation non è solo il risultato di nuovi conflitti, ma anche della persistenza di crisi irrisolte, dell’impatto crescente del cambiamento climatico e del fallimento delle azioni di prevenzione e risoluzione pacifica.

I rifugiati

Stando ai dati, nel 2024 la popolazione globale di rifugiati è diminuita dell’1%, attestandosi sui 42,7 milioni. Questa cifra include 36,8 milioni di rifugiati sotto il mandato dell’Unhcr, nonché 5,9 milioni di rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’Unrwa (l’agenzia Onu di sostegno alla Palestina).  È calato il numero di rifugiati afghani e siriani, mentre è aumentato il numero di venezuelani (oltre 370mila) e di altre persone bisognose di protezione internazionale (quasi 6 milioni), facendo segnare un +2% rispetto all’anno precedente.

Il 67% dei rifugiati viene ospitato nei Paesi limitrofi.

Gli sfollati interni

La maggior parte delle persone costrette a fuggire molto spesso non attraversa un confine internazionale, ma rimane all’interno del proprio Paese. Conosciuti appunto come sfollati interni, o Internal displaced people (Idp), rappresentano il 60% di tutti gli sfollati forzati.

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Alla fine del 2024, 73,5 milioni di persone risultavano ancora sfollate a causa di conflitti e violenze, ovvero un 9% in più rispetto al 2023. Si stima che con 11,6 milioni di persone sfollate all’interno dei propri confini (+2,5 milioni rispetto al 2023), la crisi in Sudan rimanga, sotto questo profilo, la più grande mai registrata.

Ma nel periodo preso in considerazione, sono stati segnalati altri 20,1 milioni di nuovi sfollati interni, di cui oltre il 60% nella Repubblica democratica del Congo, ad Haiti, in Myanmar, in Sudan e in Ucraina.

I richiedenti asilo

Alla fine del 2024, 8,4 milioni di richiedenti asilo erano in attesa di una decisione sulle loro domande individuali, il numero più alto mai registrato, con un aumento del 22% rispetto ai 6,9 milioni dell’anno precedente. Il numero di domande di asilo pendenti è aumentato per otto anni consecutivi dal 2016.

Durante l’anno, almeno 4,8 milioni di persone hanno chiesto protezione internazionale, di cui oltre un terzo proveniva da due soli Paesi: Ucraina (quasi 880mila) e Sudan (oltre 872mila).

Le soluzioni durature

Il Rapporto sottolinea come le soluzioni durature – quali il ritorno volontario, l’integrazione locale o il reinsediamento – restino numericamente troppo limitate rispetto al numero complessivo di sfollati. La durata media degli esili si è allungata e molte persone restano in esilio per decenni, spesso in condizioni di precarietà e insicurezza.

Nel 2024 le soluzioni per i rifugiati e gli sfollati interni sono aumentate, con il numero di rimpatri più alto registrato in oltre due decenni (1,6 milioni). Tuttavia, alla base di queste tendenze positive, ci sono preoccupazioni circa i rischi intrinseci per la protezione delle persone e la sostenibilità a lungo termine di queste iniziative.

Inoltre, nell’ultimo anno, il 92% degli 1,6 milioni di rifugiati rimpatriati ha riguardato solo quattro Paesi: Afghanistan, Siria, Sud Sudan e Ucraina. Molti di questi sono tornati in condizioni avverse e sono arrivati ​​in situazioni di estrema fragilità.

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Lo scorso anno si è registrato anche il numero più alto di rifugiati reinsediati in Paesi terzi da oltre 40 anni (quasi 189mila). Inoltre, quasi 88.900 rifugiati hanno ottenuto la cittadinanza del Paese ospitante o la residenza permanente nel 2024.

Oltre 8,2 milioni di sfollati interni sono tornati nelle loro aree di origine nel 2024, il secondo numero più alto mai registrato. Tuttavia, in assenza di pace e stabilità nel loro Paese, molti sfollati interni rimangono intrappolati in cicli di rimpatri seguiti da nuovi spostamenti e in conflitti che si protraggono sempre di più. Molti di questi rimpatri potrebbero quindi non essere sostenibili.

Un altro dato significativo riguarda la distribuzione dell’accoglienza: il 75% dei rifugiati vive in Paesi a basso o medio reddito, spesso confinanti con le zone di conflitto, che affrontano sfide economiche e sociali considerevoli. Questi dati rendono evidente come l’accesso alla protezione internazionale resti diseguale e fortemente condizionato da fattori geopolitici, con politiche sempre più restrittive adottate da molti Stati ad alto reddito.

Il taglio dei finanziamenti e le prospettive future

L’Unhcr invita a non limitarsi a leggere i dati come una somma di emergenze isolate, ma a riconoscere un problema sistemico globale che richiede risposte coordinate, solidarietà internazionale e impegni concreti per la pace. L’Alto commissariato nel documento denuncia come i forti tagli ai finanziamenti che l’Agenzia sta subendo impediranno di garantire sufficienti aiuti alimentari e altri servizi di protezione di base per gli sfollati. Inoltre, senza risorse a disposizione, anche le iniziative di ritorno nei Paesi di origine saranno sempre più critiche e impraticabili.

Affinché il numero di sfollati si riduca, sono necessari progressi significativi sulle cause profonde: porre fine a conflitti, disprezzo dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario, altre forme di violenza e persecuzione, mettendo al centro la pace.

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