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Tommaso Foti: «Trattativa fino alla fine. Poi con gli Stati Uniti bisognerà aprire un confronto globale»


di
Virginia Piccolillo

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Il ministro: l’Unione ha seguito la nostra strada

«Niente colpi di testa. Niente frenesie. Serve sano realismo. È il momento della trattativa e non delle reazioni inconsulte». Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e per il Pnrr, di Fratelli d’Italia, lo dice chiaro: «Noi siamo per la trattativa fino alla fine. E l’Unione europea ci ha seguito su questa linea».

E se dovesse mettersi male?
«L’Europa non è impreparata. Ha già individuato gli strumenti. È chiaro che il problema dazi non è solo una questione di percentuali».




















































Bensì?
«Trump e gli Usa hanno un bisogno dell’Europa a supporto della strategia nel Pacifico. L’alleanza è importantissima e il suo rafforzamento è fondamentale per sostenere valori e cultura occidentali. Occorre aprire un confronto globale con gli Stati Uniti, strategico, di carattere politico e culturale».

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Per le opposizioni quella di Giorgia Meloni è una strategia fallimentare.
«Le opposizioni hanno sempre detto che dei dazi doveva occuparsene l’Ue. E che Giorgia Meloni si sarebbe dovuta guardar bene dal farlo. E ora ripetono come un disco rotto che dovrebbe occuparsene. Ma, oltre che irresponsabili, dimostrano di essere in malafede e anti italiani».

Non è un’accusa un troppo dura?
«No, perché così indeboliscono l’Italia. Non c’è alcun altro Stato in Europa nel quale l’opposizione fa la stessa cosa. Questo dovrebbe essere il momento di essere tutti solidali. La capacità diplomatica è quella del confronto, non di chi la spara più grossa».

Schlein dice che Meloni è stata troppo arrendevole. Non è così?
«Se Schlein e Conte ritengono più importante la guerra commerciale per i loro sogni di vanagloria lo dicano».

Il ministro leghista dell’economia Giorgetti dice che non sarebbero sostenibili dazi oltre il 10%. Cosa ne pensa?
«Quando si fa una trattativa penso che non si possano preconizzare gli scenari. Di certo i dazi al 30% non sono una misura che può essere accettata. E quindi se dovesse essere tenuta questa percentuale la trattativa fatalmente fallirebbe. Ma questo è lo scenario peggiore».

E cosa succederebbe secondo lei?
«Si aprirebbe una guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Cosa che avrebbe effetti negativi non solo per l’Europa ma anche per gli Stati Uniti. E soprattutto ci sarebbe molto di più del danno economico».

Ovvero?
«Ci sarebbe una divaricazione politica notevole. Perché la spaccatura è di tutta evidenza che si riverbererebbe anche sull’unità dell’Occidente. Che è un’unità politica, culturale, sociale, oltreché economica. E vedo molti nipotini dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche che mostrano interesse a spaccare l’Occidente».

L’Ue è unita?
«Siamo tutti allineati sul no alla guerra commerciale. E nell’intenzione di trattare fino alla fine. Che poi è la posizione che ha tenuto, fin dall’inizio, la presidente del Consiglio italiana. Proprio perché la strada maestra è quella della responsabilità e del confronto e non quella dello sfasciacarrozze».

Con Trump non si dovrebbe andare alla trattativa con la pistola sul tavolo?
«Non ci si siede al tavolo delle trattative con le pistole ma con le idee. La risposta solida e compatta di cui sta dando prova l’Ue è garanzia anche rispetto ai mercati. E poi potrebbe aiutare nelle trattative una fortissima sburocratizzazione. L’ha detto anche Draghi: l’Europa si è autoimposta costi che devono essere drasticamente ridotti».

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In una vicenda tanto complessa, lei rimane ottimista?
«Per natura non sono tra i pessimisti: persone che si autoflagellano senza concludere nulla. Quando le partite sono complesse a maggior ragione occorre evitare passi estremi che ti portino alla rottura. Le trattative possono certamente anche saltare. Ma servono anche a scongiurare scenari peggiori. Il momento di trattare non può essere ridotto alle tecnicalità. E non si possono circoscrivere i problemi del rapporto Usa-Ue alla definizione di percentuali. Che inoltre, se eccessive, possono solo agevolare il distacco tra i paesi aderenti all’Ue e soprattutto con gli Stati Uniti».

Se la trattativa fallisse?
«L’Ue ha una strategia chiara. Arriva pronta. Sono già stati ipotizzati interventi a più livelli. Chi non cammina sulle nuvole si è reso conto del primo pacchetto di controdazi già varato, che doveva già entrare in vigore, ma che l’Ue ha rinviato a dopo il primo agosto per evitare che il principio di azione e reazione porti a una deflagrazione, cioè il contrario di una trattativa verso un punto di equilibro equo e condiviso. Eventualmente c’è già un secondo pacchetto di misure. E ci sarebbero strumenti di natura eccezionale che l’Ue potrebbe sfoderare. Ma non penso sia questo il momento di andare nei dettagli perché la volontà precisa è quella di arrivare a un accordo a testa alta».

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