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innovazione in Europa. L’Italia è in ritardo, ma può ancora colmare il divario « LMF Lamiafinanza


Negli ultimi cinque anni, l’Unione Europea ha registrato un progresso costante in materia di innovazione, con un incremento complessivo delle performance del 12,6%. Tuttavia, tra il 2024 e il 2025 si è verificata una lieve battuta d’arresto, con una contrazione dello 0,4%, a conferma di un contesto competitivo sempre più instabile e disomogeneo.

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Secondo l’European Innovation Scoreboard 2025, pubblicato dalla Commissione europea, l’Italia si colloca nella categoria degli “innovatori moderati“, con un punteggio pari al 93% della media UE. Una posizione intermedia, il 14° posto tra i 27 Stati membri, che riflette una crescita rispetto al passato (+15,4% dal 2018, +3,4% rispetto al 2024), ma anche le persistenti difficoltà strutturali del sistema italiano della ricerca e sviluppo.

Un Paese con eccellenze, ma ancora troppo isolate

L’Italia mostra punti di forza consolidati in ambiti ad alta intensità creativa, come la registrazione di design industriale, dove si conferma leader a livello europeo. Ottimi anche i risultati nella produttività delle risorse e nell’innovazione generata dalle PMI, che costituiscono la spina dorsale del tessuto economico nazionale. Questi elementi dimostrano la vivacità di segmenti imprenditoriali capaci di generare valore attraverso creatività e know-how.

Tuttavia, queste eccellenze convivono con debolezze profonde. L’Italia figura ancora tra gli ultimi Paesi europei per digitalizzazione, accesso alla banda larga (25° posto) e competenze ICT. Un ritardo che incide negativamente sulla competitività delle imprese, soprattutto in settori dove l’adozione tecnologica è determinante. Non meno preoccupante è il dato relativo al livello di istruzione terziaria: il nostro Paese sfiora il record negativo: è purtroppo secondo in Europa per numero di cittadini con formazione superiore insufficiente.

Investimenti e capitale umano: il doppio gap da colmare

A pesare sul quadro complessivo è anche la flessione degli investimenti privati in innovazione, scesi del 14,4% dal 2018, segno di una fiducia ancora limitata nella capacità del sistema produttivo di generare ritorni su progetti ad alto contenuto tecnologico. In parallelo, il deficit di capitale umano qualificato continua a rappresentare uno dei principali freni alla crescita. Senza una forza lavoro adeguatamente formata – soprattutto nei settori STEM – risulta difficile colmare il divario con le economie più avanzate d’Europa.

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Il confronto europeo e la sfida della convergenza

Paesi come Svezia e Danimarca, ai vertici dell’indice EIS, rappresentano modelli virtuosi in cui innovazione, istruzione, digitalizzazione e investimenti pubblici e privati si integrano in un ecosistema favorevole allo sviluppo. Anche realtà emergenti come la Croazia, che ha migliorato le sue performance del 19,4% rispetto al 2018, dimostrano che il progresso è possibile con politiche mirate.

In questo contesto, l’Italia rischia di rimanere in una posizione statica, salvo un deciso cambio di passo. È necessario investire strategicamente in formazione tecnica avanzata, trasformazione digitale, ricerca applicata e partenariati pubblico-privati. Senza una visione di lungo periodo e interventi strutturali, il rischio è quello di assistere a un ulteriore ampliamento del divario con le economie più dinamiche d’Europa.



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