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Turchia: le partite aperte di Erdoğan


Mentre non si arresta la stretta nei confronti di sindaci ed esponenti del Partito repubblicano del popolo (Chp), l’economia turca subisce i pesanti contraccolpi del clima di tensione e polarizzazione. Al contempo, importanti sviluppi si registrano invece nel processo di dialogo avviato dal governo con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) con ricadute tanto sul piano interno quanto a livello regionale. Il Medio Oriente rimane infatti area prioritaria della politica estera della Turchia soprattutto alla luce del recente conflitto tra Israele e Iran.

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Quadro interno

Dopo l’incarcerazione del popolare sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu lo scorso marzo nell’ambito di un’inchiesta per corruzione che ha investito anche centinaia di funzionari della megalopoli sul Bosforo, in Turchia sono proseguiti detenzioni e arresti di sindaci e di esponenti delle municipalità guidate dal Chp, la principale forza di opposizione. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati, a inizio luglio, i primi cittadini di Antalya, Adana e Adıyaman[1] – rispettivamente Muhittin Böcek, Zeydan Karalar e Abdurrahman Tutdere – anch’essi accusati di corruzione. Qualche giorno prima la stessa sorte era toccata all’ex sindaco di Smirne, Tunc Soyer, e a 137 funzionari comunali per presunta manipolazione degli appalti e frode[2]. Se il leader del Chp Özgür Özel non ha mancato di respingere le accuse sostenendo che si tratti di un’inchiesta politica volta a colpire i membri del suo partito, il governo dal canto suo ha a più riprese sottolineato l’indipendenza della magistratura[3]. In un contesto da tempo caratterizzato da un forte accentramento dei poteri nelle mani del presidente e dal deterioramento del processo democratico, tuttavia, sono in molti a ritenere che l’ondata di arresti ai danni del Chp sia un tentativo per indebolire la formazione che lo scorso anno ha vinto le elezioni amministrative, battendo per la prima volta in vent’anni il Partito giustizia e sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdoğan[4]. Anche in un recente sondaggio di Metropoll, il 57% degli intervistati ritiene che motivazioni politiche sarebbero dietro il caso İmamoğlu[5].

Dall’arresto del sindaco di Istanbul il leader del Chp ha cercato di cavalcare l’ondata di proteste anti-governative, organizzando manifestazioni periodiche a Istanbul e nelle altre città del paese, e allo stesso tempo non ha risparmiato dure critiche all’esecutivo, accusandolo di mettere in atto “un colpo di stato strisciante” ai danni di figure dell’opposizione democraticamente elette[6]. Di fatto, in questi mesi il giro di vite delle autorità ha riguardato non solo esponenti politici ma anche giornalisti, studenti, influencer, fumettisti e più in generale voci considerate critiche nei confronti del governo e del presidente. Ciò non ha fatto altro che accrescere i consensi nei confronti di İmamoğlu[7] che, nonostante l’arresto e l’annullamento della sua laurea (requisito richiesto per potere correre alle presidenziali), rimane il candidato del Chp. Sarebbero infatti oltre 20 milioni le firme raccolte dal partito nel paese a sostegno della sua candidatura. Sebbene il voto sia previsto per il 2028, Özel ha più volte espresso il proprio favore per elezioni anticipate.

Il clima di tensione e accresciuta polarizzazione interna degli ultimi mesi non giova all’economia del paese e contribuisce a minare la fiducia degli investitori nel programma di stabilizzazione economica che, avviato dal ministro del Tesoro e delle Finanze Mehmet Şimşek nella seconda metà del 2023, sembrava produrre primi risultati. Oltre a una fuoriuscita di capitali esteri dal paese, gli sviluppi politici hanno accresciuto la pressione sulla lira turca. Per sostenere e stabilizzare la moneta nazionale è stato necessario un intervento della Banca centrale che, nei giorni successivi all’arresto di İmamoğlu, ha utilizzato 11,5 miliardi di dollari di riserve di valuta estera[8], saliti nei mesi successivi a circa 50 miliardi di dollari[9]. Una lira debole e un tasso di inflazione che, nonostante il progressivo calo, rimane ancora elevato – a febbraio l’inflazione si è attestata al di sotto del 40%, per la prima volta in quasi due anni, ed è scesa al 35% a giugno[10] – continuano a essere le criticità più evidenti dell’economia turca, causando un aumento del costo della vita e un conseguente diffuso malcontento nel paese. Tra le misure adottate per tamponare la situazione vi è l’aumento del tasso d’interesse dal 42,5% al 46%[11], in controtendenza rispetto ai tagli dei mesi precedenti. Lo scorso dicembre infatti la Banca centrale aveva proceduto a un primo taglio di 250 punti base – portando il tasso di interesse al 47,5% per la prima volta da febbraio 2024 quando era stato aumentato al 50% – in considerazione del progressivo calo dell’inflazione negli ultimi mesi dell’anno. Tuttavia, nonostante il pronto intervento della Banca centrale e le rassicurazioni del ministro delle Finanze, cautela continua a prevalere tra gli investitori internazionali, prudenti nel ritornare sui mercati in considerazione del fatto che gli sviluppi politici interni hanno inevitabilmente contraccolpi sulla moneta turca. Alla notizia dell’indagine avviata il 7 luglio nei confronti di Özel per offesa al presidente e oltraggio a pubblico ufficiale la valuta nazionale è infatti scesa al suo picco più basso da marzo: 40 lire per un dollaro[12]. Una settimana prima il rinvio a settembre dell’udienza che vede imputato il leader del Chp per presunte irregolarità nella sua elezione alla guida del partito nel novembre del 2023 era sembrato invece dare una momentanea boccata di ossigeno ai mercati[13].

Al di là delle incertezze economiche e delle tensioni politiche, sul piano interno prosegue il processo di pace con il Pkk[14] che a metà maggio ha dichiarato la fine della lotta armata contro lo stato turco. La storica decisione giunge a circa tre mesi dall’appello del suo storico leader e fondatore Abdullah Öcalan (in prigione dal 1999) a deporre le armi e a sciogliersi e a pochi giorni dal congresso del gruppo[15]. Se da parte del governo turco la cosiddetta “iniziativa senza terrore”[16] per la soluzione dell’annosa questione curda dovrebbe estendersi anche i gruppi curdi affiliati al Pkk nella regione, da parte curda l’obiettivo sarebbe quello di ottenere maggiori diritti, l’amnistia per i suoi membri e la liberazione di Öcalan. A ulteriore riprova della svolta intrapresa, nella sua prima apparizione video da quando è stato incarcerato, Öcalan ha ribadito che la fase della lotta armata durata quarant’anni è finita e “deve ora essere sostituita da una fase di politica democratica e di legalità”, aggiungendo inoltre che il filo-curdo Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem) dovrebbe lavorare insieme agli altri partiti per fare avanzare il processo di pace[17]. Di fronte a questo storico cambiamento, frutto di un lavoro negoziale di circa un anno in cui il Dem ha svolto un ruolo di primo piano, appare evidente anche l’impegno del governo turco nel promuovere un effettivo processo di riconciliazione politica con la minoranza curda. A dimostrazione di ciò, a luglio si è svolto un secondo incontro, dopo quello di aprile, tra Erdoğan ed esponenti del partito curdo, terza forza politica in seno all’Assemblea nazionale. Se non sembra esserci ancora una chiara roadmap, vi sarebbe un interesse di entrambe le parti a emendare l’attuale Costituzione. Mentre i curdi puntano al riconoscimento di diritti più ampi nel quadro costituzionale turco, il presidente dal canto suo potrebbe mirare, tra le altre cose, all’abolizione del limite dei due mandati che gli consentirebbe di correre alle prossime elezioni.

Relazioni esterne

La guerra dei 12 giorni tra Israele e Iran ha destato profonde preoccupazioni nel governo di Ankara. Se da un lato il presidente Erdoğan ha duramente criticato Tel Aviv per l’attacco “non provocato” alla Repubblica islamica, dall’altro un indebolimento dell’influenza iraniana sulla regione mediorientale incontra anche il favore turco. Emblematico di questo indebolimento è il caso della Siria dove la Turchia, a partire dalla caduta del regime di Bashar al-Assad lo scorso dicembre, ha rafforzato la propria posizione proprio a scapito dell’Iran, storico alleato di Damasco, che ha subito i contraccolpi del ridimensionamento da parte israeliana del suo sistema di difesa avanzata rappresentato dai cosiddetti proxies. Tuttavia, per quanto possa averne tratto vantaggio, la Turchia – così come altri attori regionali quali le monarchie del Golfo – guarda con timore alla ridefinizione degli equilibri mediorientali da parte di Israele, a un ruolo dominante di Tel Aviv nonché agli effetti destabilizzanti della sua azione sull’intera area. Di fatto, dal 7 ottobre in poi Turchia e Israele, che lo scorso anno hanno interrotto le relazioni economiche ma non quelle diplomatiche, si sono trovate in contrasto su più fronti: innanzitutto nel conflitto a Gaza, con Erdoğan che fin da subito è stato tra le voci più critiche nei confronti della conduzione della guerra da parte del governo israeliano e della catastrofe umanitaria che affligge la popolazione della Striscia; in secondo luogo in Siria[18], dove i due paesi hanno evitato uno scontro diretto grazie anche alla mediazione dell’Azerbaigian, da aprile impegnato a facilitare colloqui tra i due paesi per costituire un meccanismo di coordinamento e prevenzione degli incidenti[19]. Qui il timore turco è anche quello di un sostegno israeliano alle forze curde, in particolare alle Forze democratico siriano (Sdf), che invece Ankara vorrebbe vedere integrate nelle istituzioni della nuova Siria. Non da ultimo, c’è il fronte iraniano. Innanzitutto la Turchia, tra i paesi con il più alto numero di rifugiati al mondo, intende evitare che una destabilizzazione interna e/o un collasso del regime iraniano possano produrre un nuovo imponente flusso di profughi verso il suo territorio. Ma è anche preoccupata per la minaccia alla propria sicurezza territoriale in caso di attacchi transfrontalieri da parte di gruppi affiliati al Pkk presenti in Iran, come il Partito per una vita libera in Kurdistan (Pjak), che non ha ancora risposto all’appello al disarmo lanciato a febbraio Öcalan.

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Ciò spiega l’attivismo diplomatico di Ankara nel cercare di mediare tra Iran e Stati Uniti. Nei suoi colloqui telefonici con gli omologhi Donald Trump e Masoud Pezeshkian il presidente Erdoğan ha anche proposto di ospitare a Istanbul le delegazioni diplomatiche dei due paesi. Se l’incontro di fatto non si è svolto per l’impossibilità di raggiungere l’ayatollah Ali Khamenei per avere il suo benestare, la crisi ha messo in evidenza la svolta positiva nelle relazioni bilaterali da quando Trump si è insediato alla Casa Bianca e ciò grazie anche a una affinità di vedute tra le due leadership. Di fronte agli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani, Ankara si è limitata a esprimere profonda preoccupazione, ma non parole di condanna come nel caso israeliano. Dal canto suo, la Turchia condivide l’interesse ad arrestare lo sviluppo del programma nucleare iraniano, ma rimane contraria a ulteriori interventi militari da parte statunitense, o israeliana, che possano destabilizzare il regime iraniano e con esso l’intera regione. Nuovo terreno di convergenza sembra invece essere la Siria, dove Ankara e Washington hanno avviato una cooperazione per favorire la stabilità e la sicurezza del paese[20] dopo anni di frizioni. In questo quadro, la Turchia ha accolto con grande favore la decisione di Trump di mettere fine al regime di sanzioni nei confronti di Damasco nonché la nomina dell’ambasciatore americano ad Ankara, Thomas J. Barrack, come inviato speciale per la Siria. Anche il progressivo ritiro delle truppe statunitensi[21] stanziate dal 2014 nel nord-est del paese contro lo Stato islamico (IS) risponde agli interessi della Turchia, che per anni ha criticato il sostegno statunitense alle forze curdo-siriane, considerate da Ankara terroriste per i loro legami col Pkk. Contestualmente al ritiro militare Washington starebbe esercitando pressioni sulle Sdf perché implementino l’accordo firmato mesi fa per la loro integrazione nel nuovo governo siriano[22], direzione verso cui anche Ankara preme da mesi. È noto infatti come, dalla prospettiva turca, la costituzione di un’autonomia curda in Siria costituisca una minaccia alla propria sicurezza nazionale.

Gli sviluppi in Medio Oriente – dall’Iran alla Siria – sono stati al centro dei colloqui tra Erdoğan e Trump nel primo bilaterale tenutosi ai margini del summit della Nato all’Aja a fine giugno. Tra le questioni portate all’attenzione del presidente americano dal suo omologo turco c’è stato anche il programma di sviluppo degli F-35, da cui la Turchia è stata esclusa nel 2019 (durante il primo mandato di Trump) in seguito all’acquisto del sistema di difesa missilistico russo S-400. Da successive dichiarazioni dall’ambasciatore Barrack, non è esclusa la possibilità che il Congresso americano riveda la questione, che potrebbe trovare una soluzione entro la fine dell’anno[23]. Il potenziamento della propria industria della difesa è una priorità della Turchia, che sta puntando anche allo sviluppo di un sistema di difesa missilistico, il cosiddetto “Scudo d’acciaio”, che dovrebbe essere operativo dopo il 2030. Questo dovrebbe consentire ad Ankara di incrementare al 5% la spesa per la difesa entro il 2035, come stabilito dagli stati membri dell’Alleanza Atlantica al vertice di giugno. Nel 2024, secondo le statistiche del governo turco, il budget stimato della Turchia per la difesa e la sicurezza ammonterebbe a circa 45 miliardi di dollari, pari a circa il 3,4% del prodotto interno lordo (Pil)[24].

La cooperazione in materia di difesa è stata anche al centro della visita del presidente turco in Italia a fine aprile, in occasione della quale sono stati firmati undici accordi di cooperazione bilaterale in ambiti diversi. A spiccare tra tutti è senz’altro l’intesa tra la società italiana Leonardo e la turca Baykar per la produzione di droni nei due paesi[25]. Già in precedenza Baykar aveva acquisito Piaggio Aerospace, mettendo un importante tassello nella cooperazione nel settore della difesa tra Italia e Turchia. Indubbiamente, gli sviluppi geopolitici nell’Europa orientale, nel Mar Nero e nel più ampio Mediterraneo hanno contribuito a rafforzare il ruolo della Turchia come partner nell’industria della difesa, settore che presenta un forte potenziale di crescita. Resta tuttavia da vedere come questo partenariato bilaterale possa evolvere in una più ampia dimensione europea. Se da un lato la Turchia è considerata un alleato Nato di valore, con un ruolo chiave nelle dinamiche di sicurezza in aree strategicamente importanti per l’Europa – dai Balcani al Mar Nero fino al Medio Oriente – dall’altro, integrare Ankara in un quadro europeo di sicurezza e difesa è un compito di non facile realizzazione. L’interesse turco a giocare un ruolo nel sistema di sicurezza europeo non esclude il suo desiderio di far parte di piattaforme di cooperazione con i paesi del cosiddetto “Sud globale”, come i Brics, a dimostrazione di una politica di diversificazione delle partnership di lunga data. Se Ankara non ha ancora accettato l’offerta dei Brics di diventare “paese partner” in alternativa alla membership, verso cui lo scorso anno aveva manifestato interesse, il ministro degli Esteri turco Akan Fidan non ha fatto mancare la sua presenza al diciassettesimo summit del gruppo tenutosi il 6 e 7 luglio a Rio de Janeiro[26]. È stata questa l’occasione per ribadire la visione turca dell’ordine globale sintetizzata nel mantra di Erdoğan “il mondo è più grande di cinque”. Un mondo in cui la Turchia negli anni ha cercato, con non poche difficoltà, di ritagliarsi uno spazio più ampio.


[1]Graft allegations haunt Türkiye’s CHP with mayor’s arrest”, Daily Sabah, 6 luglio 2025.

[2] N. Martin, “Turkey arrests 3 mayors in crackdown on opposition”, DW, 5 luglio 2025.

[3] A. MacDonald, “Three more opposition mayors arrested in Turkey”, Middle East Eye, 5 luglio 2025.

[4] J.P. Rathbone, “Turkey to probe opposition leader for insulting Recep Tayyip Erdoğan”, Financial Times, 7 luglio 2025.

[5] O. Sencar, (X, @ozersencar1), “If İmamoğlu had not been a presidential candidate…”. 3 maggio 2025.

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[6] U. Yilmaz e T. Ozsoy, “Turkey Ramps Up Opposition Probes, Keeping Markets on Edge”,  Bloomberg, 7 luglio 2025.

[7] B. Altayli e J. Spicer, “Turkish support firms for jailed mayor Imamoglu vs Erdogan, polls show”, Reuters, 6 maggio 2025.

[8] A. Samson, “Turkey spends record $12bn defending lira after Erdoğan rival’s arrest”, Financial Times, 21 marzo 2025.

[9] B. Akman e T. Ozsoy, “Turkish Central Bank Chief Defends Interventions to Bolster Lira”, Bloomberg,  8 maggio 2025.

[10] Turkish Statistical Institute, Consumer Price Index, June 2025, giugno 2025.

[11] J.P. Rathbone, “Turkey’s central bank raises interest rate to 46%”, Financial Times,17 aprile 2025.

[12] U. Yilmaz e T. Ozsoy, “Turkey Ramps Up Opposition Probes, Keeping Markets on Edge”, cit.

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[13] F. Kozok, B. Akman e T. Ozsoy, “Turkish Markets Rally After Key Opposition Case Adjourned”, 30 giugno 2025.

[14] Si veda V. Talbot, “Turchia: Erdoğan alla prova delle piazze”, in Focus Mediterraneo allargato n. 10 n.s., ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, aprile 2025.

[15] A. Zaman, “PKK ends 40-year war against Turkey, vows to pursue Kurdish rights”, Al-Monitor, 12 maggio 2025.

[16]Terror-free Türkiye: An initiative to end PKK violence”, Daily Sabah, 10 gennaio 2025. Su questa questione si veda V. Talbot, “Turchia: la partita curda”, inFocus Mediterraneo allargato n. 9 n.s., ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, gennaio 2025.

[17]Jailed PKK leader Ocalan says armed struggle with Turkey is over”, Reuters, 9 luglio 2025.

[18] Si veda V. Talbot, “Turchia: Erdoğan alla prova delle piazze”, cit.

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[19]Azerbaijan engages in quiet diplomacy between Turkey, Israel”, Turkish Minute, 3 giugno 2025.

[20] U.S. Department of State, Joint Statement on the U.S.-Türkiye Syria Working Group, 20 maggio 2025.

[21] J. Davison e O. Qereman, “Exclusive: US pulls out of two more bases in Syria, worrying Kurdish forces”, Reuters, 18 giugno 2025.

[22] A. Zaman, “US envoy Barrack pushes deal between Syria’s Sharaa, Kurdish commander Kobane”, Al-Monitor, 9 luglio 2025.

[23] E. Ekin, “US ambassador to Turkey says F-35 issue to be resolved ‘by year-end’”, Al-Monitor, 30 giugno 2025.

[24] B. Kayaoglu, “Turkey’s defense industry eyes $200B opportunity from NATO’s 5% push”, 6 luglio 2025.

[25]Cosa si è deciso nell’incontro tra Meloni ed Erdogan a Roma”, Il Post, 30 aprile 2025.

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[26]Türkiye says will remain ‘closely’ interested in BRICS”, Daily Sabah, 8 luglio 2025.



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