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L’importanza della reputazione di un Paese e il valore strategico del Made in Italy, parla Zoppas


(Articolo di Alessandro Caruso pubblicato su L’Economista, inserto de Il Riformista)
In un’economia sempre più interconnessa e competitiva, la reputazione internazionale di uno Stato può rappresentare un vantaggio strategico determinante nelle relazioni commerciali globali. ICE, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, è in prima linea nel rafforzare l’immagine dell’Italia e nell’accompagnare le imprese sui mercati esteri. Matteo Zoppas, presidente di ICE, sottolinea quanto la reputazione del Paese, unita alla forza del marchio Made in Italy, sia oggi più che mai un asset economico: «Si tratta di un asset che, in linea con gli obiettivi del ministero degli Affari esteri, può cubare fino a 700 mld di euro».

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Presidente Zoppas, quanto conta oggi la reputazione di uno Stato nell’ambito delle relazioni economiche internazionali?

«La reputazione di uno Stato è un lubrificante fondamentale negli ingranaggi delle relazioni internazionali. Non parliamo solo di rapporti B2C, ma soprattutto di rapporti B2B e tra governi. Quando siamo all’estero per promuovere il business italiano, il primo elemento che conta è proprio la percezione che gli interlocutori hanno del nostro Paese. E oggi l’Italia gode di un momento favorevole: lo spread è ai minimi storici, gli investimenti esteri diretti sono in crescita, e l’economia nazionale mostra segnali positivi, anche rispetto ad altri Paesi europei in difficoltà. Le principali agenzie di rating stanno migliorando il giudizio sull’Italia, e questo ha effetti positivi su tutta la nostra diplomazia economica. Stiamo andando nella direzione giusta: dal 2019 al 2022 abbiamo registrato una crescita dell’export di circa il 30%. Oggi l’obiettivo, fissato dal Maeci, è raggiungere i 700 miliardi di euro, partendo dai 623 miliardi registrati nel 2024. Quando parliamo di reputazione, parliamo anche di brand awareness e brand reputation del Made in Italy: due leve sempre più potenti, che stanno dimostrando solidità anche in un contesto globale complesso, con costi dell’energia e dei trasporti aumentati».

In un mondo sempre più competitivo, quali sono le principali sfide che l’Italia deve affrontare per mantenere alto il proprio soft power?

«La grande sfida oggi è non perdere il treno dell’innovazione. Molte aziende italiane stanno già adottando l’intelligenza artificiale e lavorano con tecnologie avanzate, anche in settori come l’automazione, la robotica e persino i reattori nucleari di nuova generazione. L’IA si sta applicando trasversalmente in tutti i comparti produttivi e sta aumentando la competitività delle imprese. Ma dobbiamo accelerare: siamo avanti, ma siamo lenti, e il rischio di essere superati è reale. La burocrazia è uno degli ostacoli principali su cui stiamo lavorando, ma servono riforme strutturali per rendere il nostro sistema più agile. Abbiamo una reputazione consolidata, ma serve visione per mantenerla e farla evolvere».

Il Made in Italy è sinonimo di eccellenza. Come viene percepito oggi all’estero, e quali settori ne sono il motore principale?

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«Il Made in Italy continua a essere apprezzato nel mondo come garanzia di qualità, creatività e attenzione al dettaglio. Nel 2024 abbiamo chiuso con un export pari a 623,5 miliardi di euro, in linea con l’anno precedente. Tra i settori trainanti troviamo sicuramente l’agroalimentare, che punta a superare i 70 miliardi di euro, la moda con circa 88 miliardi, la meccanica e l’automazione industriale, la chimica, il packaging, il tessile, e l’arredo. Tuttavia, ci sono anche settori in sofferenza, come una parte del lusso e l’automotive, mentre l’aerospaziale mostra segnali di fermento. In generale, il marchio Made in Italy resta una leva fondamentale, ma deve essere costantemente supportato da innovazione e visione strategica».

Con l’evoluzione del contesto geopolitico ed economico globale, quali strategie sta adottando ICE per rafforzare la presenza del Made in Italy sui mercati internazionali?

«I numeri ci dicono che mercati come gli Stati Uniti non stanno ancora registrando battute d’arresto, ma c’è grande attenzione sul tema dei dazi. È importante chiarire che le ripercussioni reali dei dazi si vedono solo dopo alcuni mesi: nel breve periodo si tende a condividere i costi lungo la filiera per salvaguardare i margini, ma nel medio-lungo termine questo indebolisce la “value chain”. Se l’importatore non ha più convenienza a spingere il prodotto italiano, a rimetterci sono soprattutto le PMI. Per questo l’ICE, insieme al MAECI, sta lavorando su strategie di diversificazione: abbiamo individuato 14 Paesi target, tra cui Sudafrica, Giappone e l’area dei Balcani, su cui concentrare sforzi e risorse per compensare eventuali criticità».

In che modo il Made in Italy potrà superare l’eventuale crisi legata ai dazi?

«Quando si alza una barriera commerciale, bisogna rispondere con agilità. Gli imprenditori lo sanno bene: si cercano soluzioni alternative, nuove linee di prodotto, o mercati meno esposti. ICE fa lo stesso. Lavoriamo per non perdere terreno in mercati maturi come gli USA, ma allo stesso tempo investiamo per guadagnare spazio altrove. In Asia, in Africa e nei Balcani ci sono opportunità ancora inesplorate che possono assorbire parte della nostra offerta. Il nostro compito è creare le condizioni perché le imprese possano adattarsi e continuare a crescere».

Il vino è uno dei principali ambasciatori del Made in Italy nel mondo. Quali sono le iniziative ICE per sostenerne l’export?

«Il vino è un simbolo del nostro saper fare, e ICE è impegnata su diversi fronti per promuoverlo. Collaboriamo con Vinitaly in numerosi eventi internazionali, dall’Europa orientale all’Asia, fino a iniziative recenti in Kazakistan. Ma la grande novità è Vinitaly Chicago, in programma per ottobre: un evento che colma un vuoto nel mercato americano, dove non c’era un’iniziativa autunnale di riferimento. Puntiamo molto sulle grandi catene di ristorazione e alberghiere, che negli Stati Uniti hanno una capacità di diffusione enorme. A Chicago porteremo circa 300 aziende italiane: sarà un’occasione importante per incontrare operatori che difficilmente si sposterebbero in Europa ad aprile».

L’Expo è una vetrina fondamentale per il nation branding. Che ruolo sta avendo l’Ice nella partecipazione italiana all’Expo Osaka 2025?

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«All’Expo Osaka 2025 Ice sta avendo un ruolo di supporto strategico al Commissario Generale. Vogliamo valorizzare il Made in Italy non solo attraverso prodotti, ma anche attraverso esperienze e idee innovative. Abbiamo promosso la nostra enogastronomia, anche proponendo abbinamenti con la cucina asiatica, ma abbiamo parlato anche di bike economy e sostenibilità. L’Expo è un’occasione per costruire relazioni e fare sistema. Continueremo a promuovere momenti di convivialità che possono diventare anche leve di diplomazia economica, culturale e commerciale».







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