L’imprenditore di Calolziocorte: «L’Ue non è credibile nella difesa commerciale. Per il futuro, si guardi alla produttività di New Delhi»
Cresce la preoccupazione tra le imprese italiane per le ricadute dei nuovi dazi annunciati dagli Stati Uniti, in particolare per i comparti più esposti all’export. Le tensioni protezionistiche, che da mesi attraversano il dibattito internazionale, stanno assumendo i contorni di una nuova fase, meno orientata al libero mercato e più segnata da logiche di difesa economica. Lo scenario riguarda anche la provincia di Lecco. Difficoltà Andrea Beri, imprenditore della Ita di Calolziocorte, specializzata nella produzione di fili trafilati di alta qualità, non nasconde le sue perplessità. «Il problema non è solo il dazio in sé – spiega – ma l’incertezza. Il quadro normativo cambia di settimana in settimana, e da qui al primo agosto potremmo assistere a ulteriori aggiustamenti. È difficile pianificare». Le imprese si trovano quindi a gestire una doppia pressione: da un lato i dazi statunitensi che alzano i costi all’ingresso sul mercato americano, dall’altro una competitività europea in affanno, schiacciata tra i giganti dell’Asia e una normativa comunitaria che fatica a tenere il passo. «Quando Trump fu eletto nel primo mandato – ricorda Beri – già si parlava di dazi.
Quella filosofia protezionista non è mai sparita. Ora però si va oltre: la nuova impostazione prevede che nemmeno i prodotti non disponibili sul mercato americano possano essere esclusi dalla tassazione. In passato, almeno, era possibile chiedere un’esenzione per prodotti non realizzati negli Usa. Oggi non più».Per molte aziende questo significa vedersi applicare tariffe anche del 30% su materiali che gli Usa non producono e che, in teoria, non dovrebbero essere soggetti a limitazioni.
Il risultato? «Un aumento dei costi che andrà inevitabilmente a ricadere sul consumatore finale. I nostri clienti americani per ora continuano a ordinare, ma sanno già che dovranno scaricare questo sovrapprezzo sulla filiera. È una forma di autolesionismo economico mascherato da protezione nazionale». Anche sul fronte europeo lo scenario è tutt’altro che rassicurante. Secondo Beri, le istituzioni dell’Ue non sono riuscite a costruire una strategia credibile di difesa commerciale. «Il rischio è che l’Europa diventi il vaso di coccio tra le potenze. I cinesi, ad esempio, impongono dazi del 24% sulle nostre materie prime, ma riescono comunque a esportare in Europa senza ostacoli. Lo stesso vale per diversi paesi nordafricani e asiatici.
A mio avviso, la prossima grande sfida si chiama India: un concorrente in ascesa, con costi bassi e grande capacità produttiva. Se non ci attrezziamo, sarà difficile reggere l’urto».
Politiche internazionali Tra le preoccupazioni principali, anche la fragilità del sistema di regole comunitarie. «Tutti i meccanismi di protezione messi in campo finora – prosegue Beri – dalle politiche del green Deal in poi come il Carbon Border Adjustment Mechanism in poi, sono insufficienti. La verità è che non ci si sta difendendo. E il tempo per farlo si sta esaurendo». Una lettura disillusa, ma lucida, quella dell’imprenditore lecchese. Che vede nel nuovo corso americano non solo un rischio per i rapporti transatlantici, ma un potenziale spartiacque per il futuro del commercio globale. In gioco non c’è solo un aumento percentuale dei dazi, ma la tenuta di intere filiere produttive che, per anni, hanno fatto dell’internazionalizzazione una leva di crescita. Ora quel modello traballa. E la risposta – o l’assenza di risposta – dell’Europa rischia di fare la differenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link