E così, mentre la cosiddetta separazione delle carriere si mette in moto, a Milano si gira un remake di un grande successo: “Mani Pulite”. Come trent’anni fa il bersaglio era la “Milano da bere” di Bettino Craxi, oggi è la città dei grattacieli, di Piazza Gae Aulenti, dell’Expo.
Esattamente dieci anni fa, la procura di Milano, guidata da Edmondo Bruti Liberati, nome storico della magistratura associata e dell’Associazione Nazionale Magistrati, si divise profondamente sulla politica giudiziaria nei confronti dell’allora manager dell’Expo Beppe Sala, oggi sindaco.
Era in ballo l’avvenire di Milano, tornata la capitale morale del Paese, il suo volto nuovo, il grande cambiamento che l’avrebbe resa la città italiana più simile all’Europa. Uno dei sostituti lamentava che Bruti Liberati (autore anche di una fondamentale storia della magistratura italiana) avesse deciso di assumere una politica giudiziaria fin troppo timida e indulgente sul progetto dell’Expo, e più in generale sul nuovo modello di sviluppo di Milano.
Come si scrisse su questo giornale nel 2020, «Bruti Liberati seguì la sua politica di moderazione al prezzo di un duro contrasto con settori della sua procura sfociati in una serie di esposti, in un altro procedimento, col sostituto Alfredo Robledo che nel libro “Palazzo di Ingiustizia” scritto con Riccardo Iacona, uno dei grandi cantori del giustizialismo, lo accusò apertamente di condotte al limite e anche oltre il lecito per coprire, come si usa dire, “interessi occulti”».
La famosa teoria per cui per eleggere un capo dell’ufficio giudiziario si poteva uscire dalla sala per soddisfare un bisogno igienico fu formulata in questo contesto. Ne scaturì comunque, oltre al libro, un processo a carico di Beppe Sala che si concluse con una condanna a sei mesi per falso sulla data di nomina di una commissione di controllo, pena alleviata dal riconoscimento dei motivi di «particolare valore sociale». Non intaccò minimamente il suo successo politico, che lo portò a essere eletto sindaco e possibile nuovo leader della sinistra.
Aveva peccato, ma per fini superiori e necessari: lo sviluppo di Milano, la Milano di oggi, bella, scintillante, fashion week, the place to be, il modello da seguire anche per la Roma ciabattona che si risveglia.
Ma è un modello che non piace a tutti, quello dei grattacieli, del bosco verticale (non a caso il suo ideatore è pure indagato), ma anche dell’esclusione, degli affitti impossibili, che respingono media borghesia e studenti, che vuole abbattere San Siro e costruirci un quartiere residenziale tra l’indignazione dei comitati di zona.
Il punto è molto semplice: con circolari e regolamenti, il Comune ha concesso licenze edilizie di ristrutturazione che hanno comportato l’edificazione di imponenti complessi immobiliari. Come esito, i prezzi degli immobili sono saliti del sessanta per cento e si sono create vertiginose ricchezze imprenditoriali per nuovi protagonisti.
Sì, lo sfondo, richiama un po’ quella “Milano da bere”, e come allora la politica nazionale è già intervenuta con una proposta di legge “Salva Milano” addirittura con efficacia retroattiva, che tutelerebbe l’autonomia del Comune in materia.
Le proteste dei cittadini e le indagini penali hanno imposto un rallentamento all’iter politico: il progetto di legge approvato a larga maggioranza alla Camera è prudenzialmente fermo al Senato, Sala ha fatto marcia indietro, ma le indagini sono andate avanti.
Magari non sono più i tempi in cui un sindaco di Milano sottoponeva trepidante la lista degli assessori al procuratore Francesco Saverio Borrelli per averne il placet, ma la procura di Milano ha ancora un certo fascino. Come non pensare alla stagione delle leggi “salva ladri” e di quelle “ad personam”, e anche “ad perdonam”?
Resta nitidamente impressa l’immagine del grande Giovanni Conso, ministro della Giustizia del governo Ciampi (che abisso di governo e di ministri quelli di oggi), giurista insigne e probo, costretto a balbettare giustificazioni davanti alle proteste di Piercamillo Davigo e Antonio Di Pietro. Vinsero loro.
Le coincidenze della vita hanno intrecciato l’iniziativa della procura milanese e l’avvio della sofferta stagione del referendum sulla separazione delle carriere. Inevitabilmente, anche a causa della nuova inchiesta, esso diverrà un’ordalia sulla magistratura. Riuscirà la magistratura a far dimenticare gli strascichi del caso Palamara, il vero detonatore della riforma dell’ordinamento giudiziario? È lecito dubitarne. Purtroppo la magistratura nulla ha fatto per autoriformarsi, e pagherà l’errore purtroppo a favore di una classe politica assai peggiore di quella dei Giuliano Amato e dei Carlo Azeglio Ciampi. Quasi mai nel cinema i remake riescono: l’unica eccezione sono i film dell’orrore, perché i trucchi del cinema nel frattempo si sono perfezionati.
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