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Zuckerberg chiude il caso: accordo segreto sullo scandalo Cambridge Analytica


Mark Zuckerberg e altri ex alti dirigenti di Facebook hanno raggiunto un accordo extragiudiziale per evitare il processo da 8 miliardi di dollari relativo allo scandalo Cambridge Analytica. L’intesa, che secondo fonti vicine al dossier è stata formalizzata a processo già aperto presso un tribunale di Wilmington, in Delaware, pone fine alla class action intentata nel 2018 da un gruppo di azionisti contro i vertici della società — oggi Meta — accusati di gravi negligenze nella protezione dei dati personali degli utenti.

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La causa ruotava attorno all’utilizzo illecito, da parte della società britannica Cambridge Analytica, dei dati di decine di milioni di utenti Facebook per influenzare l’opinione pubblica durante la campagna elettorale statunitense del 2016. Un episodio che ha segnato indelebilmente la reputazione della piattaforma, già allora al centro di critiche per la gestione opaca delle informazioni personali e per il ruolo nella diffusione della disinformazione politica.

Una class action da miliardi

A intentare l’azione legale erano stati gli stessi azionisti, che chiedevano oltre 8 miliardi di dollari di risarcimento, includendo in questa cifra le sanzioni già pagate da Facebook — tra cui una multa record da 5 miliardi di dollari inflitta dalla Federal Trade Commission nel 2019 — e le ingenti spese legali sostenute per gestire le conseguenze del caso. Al centro del procedimento, non l’azienda Meta in quanto tale, ma undici ex dirigenti e consiglieri di amministrazione, tra cui nomi noti come Sheryl Sandberg, Peter Thiel e Marc Andreessen. Persino Jeffrey Zients, oggi capo dello staff della Casa Bianca, figurava tra gli imputati.

Zuckerberg era accusato anche di insider trading, oltre che di aver sottovalutato e non gestito adeguatamente la crisi. Secondo le ricostruzioni, Facebook era a conoscenza già dal 2015 dell’operato di Cambridge Analytica, ma non ne denunciò l’estensione né alle autorità né agli utenti.

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L’accordo evita a tutti gli imputati l’umiliazione della testimonianza pubblica, eccetto per Zients che aveva già parlato nella prima udienza. L’entità economica della transazione resta riservata, ma la sua portata è tale da spegnere ogni prosecuzione processuale. Meta, pur non formalmente coinvolta nel procedimento, ha scelto di non commentare la vicenda.

Secondo molti osservatori, la chiusura extragiudiziale rappresenta un’occasione mancata per chiarire le responsabilità effettive e per stabilire una giurisprudenza sulla responsabilità dei dirigenti in materia di protezione dati. “Un’occasione persa per la trasparenza pubblica”, ha commentato Jason Kint, direttore dell’associazione Digital Content Next, accusando Meta di aver manipolato la narrazione dello scandalo, trasformandolo da problema sistemico a colpa di “mele marce”.

Una reputazione in discesa

Lo scandalo Cambridge Analytica è solo uno dei numerosi episodi che negli ultimi anni hanno eroso la reputazione di Zuckerberg e della sua creatura. Accuse di favorire la disinformazione elettorale, di incitare all’odio in contesti di conflitto (come nel caso della minoranza Rohingya in Myanmar), e rivelazioni sull’utilizzo massivo dei dati degli utenti da parte di terzi — come emerso dall’inchiesta del New York Times nel 2018 — hanno dipinto un quadro preoccupante di un modello di business fondato sulla sorveglianza.

Con questa intesa, Zuckerberg archivia forse la questione giudiziaria più grave che abbia mai affrontato. Ma il prezzo più alto, secondo molti, continua a pagarlo l’etica pubblica dell’ecosistema digitale.


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