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Sostenibilità aziendale: l’Ue concede due anni di respiro alle grandi imprese sulla rendicontazione ESG


Con un atto delegato adottato l’11 luglio 2025, la Commissione europea ha concesso alle grandi imprese europee due anni di rinvio per alcune delle disclosure ESG più onerose previste dalla direttiva CSRD. L’intervento, pensato per ridurre gli oneri burocratici e promuovere la competitività, si applica alle imprese della prima ondata e anticipa una revisione più ampia degli standard ESRS attesa entro il 2027

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La Commissione europea ha adottato una misura straordinaria destinata a sollevare le grandi imprese da parte degli obblighi più complessi previsti dalla direttiva CSRD sulla rendicontazione di sostenibilità. Si tratta di una quick fix (“soluzione rapida”), un intervento normativo che posticipa al 2027 alcune delle richieste di disclosure più articolate (cioè la pubblicazione obbligatoria di informazioni rilevanti sulle performance di sostenibilità) previste per il biennio 2025-2026.

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Di conseguenza, con questa mossa, Bruxelles intende ridurre gli oneri burocratici immediati, lasciando più tempo alle aziende per adattarsi a un quadro regolatorio in continua evoluzione e a standard che, di fatto, sono ancora in fase di revisione. Un’iniziativa accolta con sollievo da molte imprese europee, che guardano ora al 2027 come orizzonte per una piena conformità ai nuovi requisiti ESG.

Il contesto: competitività, semplificazione e incertezze normative

La decisione arriva in un momento cruciale per l’economia europea, attraversata da pressioni geopolitiche, rincari energetici e una crescente competizione globale. In questo scenario, la Commissione ha avviato un vasto piano di semplificazione normativa. Obiettivo dichiarato: tagliare del 25% gli oneri amministrativi per le imprese entro la metà del 2025.

Come si legge nel regolamento delegato adottato l’11 luglio, il rinvio delle scadenze di rendicontazione si fonda anche su considerazioni di equità e coerenza: le aziende della cosiddetta “prima ondata” – quelle obbligate a rendicontare per la prima volta nel 2025 – si sarebbero trovate a dover produrre dati complessi in un contesto normativo potenzialmente transitorio. Alcune di esse, infatti, potrebbero non rientrare più nel perimetro della CSRD se, come proposto, il limite minimo venisse alzato a oltre 1000 dipendenti.

Inoltre, gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS) – il cuore tecnico della direttiva – sono tuttora soggetti a una revisione sostanziale, con una nuova versione attesa entro il 2027. Richiedere oggi alle imprese dati destinati a cambiare nel giro di due anni, secondo la Commissione, rischierebbe di generare inefficienze e costi inutili.

Cosa prevede la misura

Il regolamento appena adottato prevede un posticipo di due anni per una serie di obblighi informativi ritenuti tra i più gravosi, sia sul piano tecnico che organizzativo. Le imprese della prima ondata potranno quindi omettere – o fornire solo informazioni qualitative – per l’intero triennio 2025-2027, alcune voci centrali della rendicontazione, tra cui:

  • Gli impatti finanziari attesi da rischi e opportunità ESG (climatici, ambientali, sociali);
  • Le informazioni climatiche complesse, come le emissioni Scope 3 e i rischi di transizione (ESRS E1-9);
  • I rischi ambientali specifici, inclusi inquinamento, uso delle risorse e biodiversità (ESRS E2, E3, E4, E5);
  • Le disclosure sui lavoratori lungo la catena del valore, sulle comunità locali e sui consumatori finali (ESRS S2, S3, S4);
  • Diversi elementi della forza lavoro, come la copertura contrattuale nei Paesi extra-SEE, i dati su persone con disabilità, formazione, protezione sociale e salute/sicurezza (ESRS S1, varie sezioni).

In pratica, le imprese avranno tempo fino al bilancio 2027 per adeguarsi pienamente a questi standard.

Superata anche la disparità tra grandi imprese

Uno degli aspetti più apprezzati del provvedimento è l’estensione delle esenzioni anche alle grandi imprese con più di 750 dipendenti, che fino ad oggi erano escluse dalle deroghe riservate ai soggetti di dimensioni inferiori. Con la nuova norma, anche queste aziende potranno beneficiare di un periodo di transizione più lungo.

Non si tratta di un “liberi tutti”. Le imprese che sceglieranno di non rendicontare su determinati standard dovranno comunque dichiarare se quei temi siano stati valutati come “materiali” per il proprio business. Il principio di materialità, infatti, resta il perno della rendicontazione CSRD: le aziende devono spiegare cosa impatta realmente – e in modo significativo – il proprio modello di business e i propri stakeholder.

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Verso un 2027 di (ri)partenza

L’intervento della Commissione si colloca in un quadro più ampio di revisione della direttiva CSRD e degli ESRS, destinati a essere riformulati nei prossimi mesi per renderli più chiari, snelli e applicabili. In parallelo, sono in corso modifiche strutturali che potrebbero ridurre sensibilmente il numero di imprese soggette agli obblighi, escludendo quelle con meno di 1000 dipendenti.

In attesa che la nuova versione degli standard entri in vigore, la “soluzione rapida” approvata oggi consente una pausa di riflessione operativa, utile a prepararsi meglio – con strumenti più coerenti e sostenibili – a una rendicontazione ESG di qualità.

Perché conta per le imprese italiane?

Molte grandi aziende italiane rientrano nella prima ondata della CSRD. Per queste, il rinvio rappresenta un’occasione strategica per rafforzare i propri sistemi interni di raccolta dati ESG, consolidare le analisi di materialità e coordinarsi meglio con i fornitori e le filiere.

L’auspicio, ora, è che questa tregua non venga interpretata come una deroga agli obiettivi della transizione sostenibile, ma come un’occasione per fare meglio, non fare meno.

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