Dazi, deficit e politica monetaria: le sfide macro dei prossimi mesi. Il punto di Marco Piersimoni, Co-Head Euro Multi Asset di Pictet Asset Management
I temi rilevanti per i mercati finanziari restano influenzati dalle iniziative di politica economica e commerciale degli Stati Uniti.
A poche ore dalla festività dell’Independence Day del 4 luglio è stato approvato il pacchetto fiscale noto come “Big Beautiful Bill”. Per quanto riguarda le tasse sul reddito, alcune manovre sono favorevoli alle fasce di reddito più elevate, mentre per i redditi più bassi è stata prevista la detassazione di straordinari e mance. Per le imprese, invece, sono previste agevolazioni finalizzate a stimolare gli investimenti tramite gli ammortamenti accelerati. Contemporaneamente, sono state ridotte alcune voci di spesa, in particolare quelle relative alla sanità e alla transizione energetica, ereditate queste dalla precedente amministrazione.
Dal punto di vista dei conti pubblici, la manovra non migliora il deficit statunitense. Secondo le stime del Congressional Budget Office, il disavanzo aumenterà di oltre 3.000 miliardi di dollari in dieci anni, circa 300 miliardi all’anno, mantenendo il deficit in una zona fortemente espansiva e vicino al 7% del Pil.
Secondo le intenzioni dell’amministrazione, l’impatto di questa manovra dovrebbe essere compensato dai dazi commerciali. Gli Stati Uniti importano beni per circa 3.000 miliardi di dollari all’anno: un dazio medio del 10% potrebbe generare entrate per 300 miliardi, compensando così l’espansione fiscale. Finora sono stati firmati accordi solo con alcuni partner commerciali, tra cui Regno Unito e Vietnam, mentre i negoziati con l’Unione Europea sono ancora in corso. Secondo alcune stime, il livello complessivo dei dazi potrebbe raggiungere il 15%, il livello più alto dagli anni ’30.
Resta cruciale capire chi sosterrà il costo di questi dazi, se gli esportatori esteri, le imprese americane o i consumatori. La risposta influirà in modo determinante sull’efficacia economica e finanziaria della manovra. L’effetto dei dazi potrebbe infatti rivelarsi stagflattivo, con le imprese che cercheranno di trasferire l’aumento dei costi ai consumatori, che a loro volta ridurranno la spesa privata. I mesi estivi saranno decisivi per valutare l’intensità di questo meccanismo di trasmissione.
In questo contesto di incertezza, la Federal Reserve continua a ribadire di non avere fretta di proseguire con l’allentamento monetario, anche alla luce di una dinamica macroeconomica ancora favorevole, come dimostrato dai dati sul mercato del lavoro pubblicati lo scorso 3 luglio. Ad oggi, non ci si aspetta un taglio dei tassi nella riunione di fine mese, nonostante le pressioni politiche esercitate da Trump sulla banca centrale.
Recentemente, all’interno del FOMC sono state espresse posizioni più accomodanti da parte di alcuni membri che aspirano a succedere a Powell nei prossimi mesi. Resta da capire se prevarrà questa linea o se continuerà a dominare l’approccio attendista. Attualmente, il mercato stima un taglio di 50 punti base entro la fine del 2025, in linea con le proiezioni della Fed pubblicate a giugno.
Sul fronte della Bce, continuano le dichiarazioni da parte dei membri più hawkish, convinti che il ciclo di tagli sia sostanzialmente concluso, come lasciato intendere anche dalla stessa Christine Lagarde nella riunione del mese scorso. I mercati, tuttavia, si aspettano ancora un taglio da 25 punti base. Le prospettive di crescita dell’eurozona dipenderanno anche dall’implementazione della politica fiscale tedesca; oltre agli investimenti in difesa e infrastrutture, infatti, è atteso un taglio delle imposte per le imprese. I prossimi mesi ci diranno quanto di queste misure verrà effettivamente implementato.
I mercati azionari ed obbligazionari, in particolare quelli americani, hanno assorbito rapidamente le recenti tensioni geopolitiche e hanno beneficiato della pausa sui dazi e dell’approvazione rapida del programma fiscale. Sia il mercato azionario che quello obbligazionario statunitense hanno recuperato completamente le perdite seguite al Liberation Day.
Rimane invece marcata la debolezza del dollaro. Gli investitori esteri non stanno liquidando le loro posizioni negli Stati Uniti, ma si stanno attivamente coprendo dal rischio di cambio. Questo trend potrebbe proseguire, ma dopo un deprezzamento superiore al 10% in pochi mesi, non si esclude una pausa.
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