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Emergenza violenze e suicidi in carcere: l’allarme dell’Associazione Antigone


Si riaccende l’attenzione sulle condizioni del carcere italiano, sulla gestione delle persone con fragilità psichiche e sull’efficacia dei controlli interni per arginare vioenze e suicidi: l’allarme dell’Associazione Antigone.

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La riflessione parte da un recente caso di cronaca. Mercoledì scorso, il Tribunale di Venezia ha ospitato la prima udienza preliminare per un caso che riapre con forza il dibattito sulla tutela dei diritti fondamentali all’interno delle carceri italiane. Sotto accusa ci sono quattro agenti della polizia penitenziaria e un medico in servizio presso la Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, chiamati a rispondere di reati gravissimi: violenze su un giovane detenuto con fragilità psichiche e falsificazione degli atti per coprire quanto accaduto.

Secondo l’accusa, nel febbraio 2024 il 23enne sarebbe stato brutalmente aggredito all’interno della struttura. Le versioni fornite dagli agenti nei rapporti di servizio si discosterebbero in modo rilevante da quanto documentato dalle immagini di videosorveglianza e da numerose testimonianze.

A peggiorare il quadro, il ruolo del medico penitenziario, che il giorno seguente avrebbe certificato lo stato di buona salute del giovane, autorizzandone il trasferimento in un altro istituto. Ma una volta giunto nella nuova sede detentiva, il ragazzo fu trasportato d’urgenza in ospedale, dove fu sottoposto a un intervento chirurgico per una grave emorragia causata dalla frattura della milza. Mesi dopo, nel novembre dello stesso anno, si è tolto la vita in cella.

Emergenza violenze e suicidi in carcere: l’allarme dell’Associazione Antigone

Dietro a questa tragica vicenda si cela una crisi strutturale del sistema penitenziario italiano, che sempre più spesso si traduce in episodi di abusi, trascuratezza e violazione dei diritti umani. Il caso di Venezia non è purtroppo isolato. Nel solo 2024, il numero di suicidi nelle carceri ha raggiunto livelli allarmanti: decine di detenuti si sono tolti la vita, spesso in condizioni di isolamento, disagio psichico e abbandono terapeutico. Secondo i dati delle principali associazioni per i diritti dei detenuti, si tratta di una vera e propria emergenza che chiama in causa la responsabilità delle istituzioni e l’efficacia dei meccanismi di prevenzione e tutela.

Il tema delle violenze nelle carceri italiane, emerso con particolare forza negli ultimi anni — basti pensare ai noti casi di Santa Maria Capua Vetere o di Torino — continua a essere affrontato in modo episodico, spesso solo dopo che le tragedie si sono già consumate. L’assenza di controlli esterni efficaci, la carenza cronica di personale specializzato, l’insufficienza dei servizi psichiatrici interni e un sistema penale che non riesce a garantire alternative credibili alla detenzione per le persone più vulnerabili, contribuiscono a mantenere un clima carcerario spesso opaco e potenzialmente pericoloso.

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Gli abusi dietro le sbarre

“Quando si verificano abusi dietro le sbarre, è indispensabile fare piena luce. Ma quando il risultato finale è un suicidio, allora la necessità di giustizia si trasforma in un’urgenza civile,” ha dichiarato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, associazione da anni in prima linea nella difesa dei diritti dei detenuti. Proprio Antigone, insieme alla madre del giovane, si è costituita parte civile nel processo, sottolineando come la gravità dei fatti vada oltre il singolo episodio: colpisce l’intera credibilità del sistema penitenziario.

Il 4 aprile 2024 l’associazione aveva presentato un esposto alla Procura, dopo aver ricevuto una segnalazione dal Garante comunale per i diritti dei detenuti di Verona. A quel documento, che conteneva informazioni circostanziate sui presunti maltrattamenti, ha fatto seguito anche la denuncia dell’avvocato del ragazzo. Un lavoro tempestivo che ha contribuito a far emergere un quadro inquietante, ancora oggi oggetto di indagine.

Quali scenari futuri su questa vicenda e sul futuro degli istituti detentivi

L’udienza è stata rinviata al prossimo 26 settembre. In quella data, il giudice deciderà se accogliere la richiesta di incidente probatorio avanzata dalle difese, che vorrebbero acquisire una perizia medico-legale per chiarire lo stato di salute del giovane al momento del trasferimento. Si valuteranno inoltre le posizioni di chi non ha optato per riti alternativi. Il medico, per ora, ha chiesto il giudizio abbreviato.

Oltre alla verità processuale, ciò che emerge con forza è l’urgenza di un ripensamento profondo del carcere: non come luogo di vendetta sociale, ma come spazio in cui deve essere garantita la dignità della persona, qualunque sia il reato commesso. Il silenzio attorno a queste vicende, altrimenti, rischia di trasformarsi in complicità.



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