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Starlink in Africa, il progetto per connettere il continente


L’episodio non è stato unico, lo stesso sembra essere successo in altri quattro paesi. La strategia sarebbe quella di utilizzare l’autorizzazione di Starlink come prova dell’impegno a mantenere buone relazioni con gli Stati Uniti, sul cui sfondo rimane l’ombra dei tagli agli aiuti umanitari legati da decenni a programmi come Usaid. In uno di questi paesi, l’ambasciata americana avrebbe fatto pressione per l’approvazione nonostante questo andasse contro le regole imposte ai concorrenti. In pratica, si tratterebbe di una via preferenziale.

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Kristofer Harrison, un funzionario di alto livello del Dipartimento di Stato durante l’amministrazione di George W. Bush, è arrivato a dichiarare che “se una cosa del genere fosse stata fatta da un altro paese, la definiremmo sicuramente corruzione”.

Il Next Billion

Gli evidenti conflitti di interesse tra gli affari di Musk e le politiche del governo americano non sono state però gestite come aveva inizialmente dichiarato Trump. La mancata risoluzione di questa situazione ha portato la Casa Bianca a reiterare che Musk non aveva nulla a che fare con gli affari discussi in Africa e che il presidente non tollera conflitti d’interesse. La realtà però sembra essere palesemente un’altra.

La pressione su Starlink arriva ad un momento cruciale per la compagnia, che vede avvicinarsi la concorrenza europea, cinese e anche statunitense, in particolare quella di Amazon Project Kuiper. Più in generale questa accelerazione va situata nel solco decennale della corsa al Next Billion, il prossimo miliardo di persone che accederanno a internet nei paesi in via di sviluppo. Dopo i fallimenti di Google Loon, i palloni aerostatici capaci di connettere il terreno sottostante, e Facebook Aquila, i droni della compagnia che oggi chiamiamo Meta, la corsa a connettere i paesi più poveri è continuata anche in questo decennio.

Dominare il mercato africano della connettività, che per quanto povero è quello con la maggiore crescita demografica, rappresenta per l’America e le sue compagnie tech un’opportunità di business e di soft power la cui importanza diventerà sempre più evidente nei prossimi anni.

Da quando Trump è stato eletto, è stato concesso a Starlink di operare dentro i confini di quattro paesi in Africa: Lesotho, Somalia, Guinea-Bissau, Repubblica Democratica del Congo e Chad. Al momento, Starlink è attivo in 15 dei 54 paesi dell’Africa, ma ha incontrato la resistenza di stati come il Camerun e la Namibia, che sostengono che stesse operando in modo illegale. Tra questi c’era anche il Sudafrica, finito di recente al centro delle accuse di Musk riguardo forme di razzismo nei confronti della popolazione bianca.

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L’elefante nella stanza

Portando il nostro sguardo oltre l’elefante nella stanza dell’enorme conflitto d’interessi, sul quale le recenti frizioni tra l’imprenditore sudafricano e Trump avranno certamente delle ripercussioni, è diventato impossibile ignorare come il legame a doppio filo tra governo americano e giganti del digitale stia sconfinando in nuove forme di egemonia tecnologica. In particolare in un continente storicamente afflitto da guerre e violenze, monopolizzare l’accesso a internet via satellite può creare una dipendenza tecnologica cruciale per l’esito di un conflitto e dello sviluppo di un paese. Come dimostrato dall’episodio del 2022, quando Starlink fu disattivato per impedire un attacco ucraino in Crimea, la decisione di un uomo solo può cambiare l’esito di una battaglia. Ed è lecito pensare che lo stesso possa accadere rispetto a molte altre questioni.



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