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Bergami (Bmc Air Filters): «Siamo in piena tempesta, la peggiore che abbia mai vissuto, i dazi di Trump provocherebbero disastri»


di
Alessandra Testa

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Gaetano Bergami, 73 anni, è il titolare della Bmc Air Filters, impresa che ha fondato 52 anni fa a Medicina (Bologna) e che progetta e sviluppa filtri e sistemi di aspirazione per i motori a scoppio del settore automotive, racing, da strada e in materiali compositi

Io speriamo che me la cavo. «Siamo in piena tempesta, la peggiore che abbia mai vissuto, e immaginare il futuro è come giocare una schedina». Gaetano Bergami, 73 anni, è il titolare della Bmc Air Filters, impresa conosciuta in tutto il mondo che ha fondato 52 anni fa sul territorio del comune bolognese di Medicina e che progetta e sviluppa filtri e sistemi di aspirazione per i motori a scoppio del settore automotive, racing, da strada e in materiali compositi. Self made man con in tasca una laurea in giurisprudenza, Bergami non è ancora pronto per passare il testimone alle due figlie trentenni, Anna e Sofia, che già lavorano in azienda.
«Un capitano non abbandona il timone durante l’uragano — assicura —, prima dobbiamo capire come pianificare i prossimi anni. Ma tra il passaggio all’elettrico nel 2035 imposto dall’Europa con il green deal, la finanziarizzazione sempre più spinta, una politica industriale nazionale che aspettiamo da almeno 20 anni e i dazi annunciati dal presidente statunitense Donald Trump possiamo solo iniziare a individuare nuovi mercati in cui penetrare».

Come è posizionata la Bmc a livello internazionale?
«Fondata nel 1973, attualmente conta filiali in India e Cina e 92 distributori in tutto il mondo. L’85% del nostro mercato riguarda l’automotive, il restante il settore aeronautico civile. I dipendenti, che operano tutti nella sede di Medicina, sono una novantina. Il nostro fatturato annuo globale è di oltre 20 milioni di euro annui».




















































Chi sono i vostri clienti?
«Faremmo prima a indicare le aziende di cui non siamo fornitori. Fra reparti corse e produzione di massa, serviamo tutto il gotha dell’auto e delle due ruote».

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Il momento per l’automotive è nero. Quali sono le maggiori criticità che impattano sulla vostra attività?
«Come Bmc scontiamo due tipologie di problemi. Da una parte i grossi costruttori stanno riducendo i volumi, dall’altra i clienti primari stanno attenti ai prezzi come non mai».
 
Che calo di fatturato stima per il 2025?
«Visto il calo degli ordini che sta scontando tutto il settore, ma che per noi è ancora marginale, temiamo una diminuzione del fatturato intorno al 20%».

Mancavano solo i dazi americani…
«In un contesto generalizzato di recessione europea dell’automotive, i dazi al 30%, che non credo arriveranno veramente a tale percentuale poiché auspico venga trovato un accordo prima di agosto, provocherebbero un mezzo disastro. Per ora, continuiamo ad esportare negli Stati Uniti con le stesse quantità di sempre. I dazi vengono assorbiti dai nostri distributori, che al momento non hanno smesso di acquistare i nostri prodotti. I clienti non hanno segnalato problematiche. Evidentemente, i tassi non sono così elevati da ridurre le vendite».

Che peso ha il mercato statunitense per Bmc?
«Il 4%».

Ha già in cascina ordini per i prossimi mesi?
«I nostri ordini sono mensili. Capiremo cosa succederà a fine agosto, alla ripartenza della produzione».

Sta continuando a investire?
«Siamo alla finestra, c’è troppa incertezza».

Quali sono gli altri paesi esteri in cui Bmc commercializza?
«Stiamo iniziando ad aumentare i nostri volumi nei mercati asiatici, dove il passaggio all’elettrico non è imposto per legge come in Europa. Per sopperire ad eventuali cali nei mercati storici, sarebbe bene guardare anche ai paesi dove ci sono maggiori possibilità di sviluppo come quelli africani, considerato anche il piano Mattei lanciato dal governo».

Quali strategie sta mettendo in campo per tutelare produzione e posti di lavoro?
«Voglio essere ottimista. Non seminerò il panico né prenderò provvedimenti ai danni del personale se non ne sarò costretto. In un momento come questo, sarebbero necessari investimenti in digitalizzazione, robotica e intelligenza artificiale come prevedevano le versioni originarie dei piani nazionali di Industria 4.0 e 5.0. Oggi, invece è tutto incentrato sulla sostenibilità e sull’impronta ecologica. E per le imprese il modello non è più affrontabile».

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21 luglio 2025

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