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Dazi USA e Dollaro debole frenano l’economia italiana: a rischio export, consumi e investimenti


L’incertezza generata dai dazi USA e la svalutazione del dollaro minacciano la crescita italiana, con un impatto potenziale di quasi 30 miliardi di euro sul PIL tra il 2025 e il 2026. Nonostante il quadro a tinte fosche, le imprese italiane reagiscono aumentando gli investimenti all’estero, in una corsa per diversificare i mercati.

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Uno scenario complesso, dominato dall’incertezza, si profila per l’economia italiana. Le analisi incrociate del Centro Studi Confindustria (CSC) e della società di consulenza EY Parthenon dipingono un quadro in cui l’annunciato inasprimento dei dazi americani e la debolezza del dollaro erodono la fiducia, ponendo un freno a esportazioni, consumi e investimenti. Secondo le stime di EY, la conferma di tariffe al 30% a partire dal 1° agosto potrebbe ridurre il PIL cumulato di circa l’1,4%, azzerando di fatto la crescita prevista e causando un impatto negativo di quasi 30 miliardi di euro. Anche con tariffe più contenute al 20%, la contrazione rispetto alle attese di crescita sarebbe dello 0,9%.

BUONA CRESCITA DELLE ACQUISIZIONI DI AZIENDE ESTERE

In questo contesto, le imprese italiane mostrano una notevole capacità di reazione: la seconda edizione dell’EY Parthenon Bulletin rileva una crescita del 17% nelle acquisizioni di aziende estere da parte di realtà italiane nei primi sei mesi del 2025, con 143 operazioni annunciate contro le 122 dello stesso periodo del 2024. Il valore di queste transazioni è quasi raddoppiato, passando da 7,1 a 13,5 miliardi di euro, con il settore industriale a fare da traino.

LA MINACCIA DEI DAZI E L’INCERTEZZA GLOBALE

La politica commerciale statunitense rappresenta la principale fonte di preoccupazione. Secondo il CSC, i dazi sui prodotti UE, già al 10% dal 5 aprile, potrebbero salire al 30% dal 1° agosto se non si raggiungerà un accordo. A questi si sommano tariffe già elevate su autoveicoli (25%), acciaio e alluminio (25% da marzo, 50% da giugno). L’incertezza della politica economica USA ha raggiunto i massimi storici, superando i picchi della pandemia, e ha contribuito a una forte svalutazione del dollaro sull’euro, sceso a una media di 1,17 a luglio, con un +13,3% da gennaio.

L’impatto di dazi permanenti al 30% sarebbe devastante per le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti, che secondo le stime del CSC potrebbero più che dimezzarsi (-58%), con una perdita di circa 38 miliardi di euro. Questo colpirebbe il 6,0% dell’export totale e, considerando l’indotto, il 4,0% della produzione manifatturiera. L’effetto complessivo sul PIL italiano nel 2027 sarebbe una riduzione dello 0,8% rispetto a uno scenario senza dazi.

L’IMPATTO SUI SETTORI DELL’ECONOMIA ITALIANA

Export: Già prima della minaccia dei dazi, l’export italiano mostrava segni di debolezza. Nel secondo trimestre, le vendite di beni sono calate del 3,6% in valore rispetto al primo, con una flessione più marcata verso i mercati extra-UE (-5,7%). Si aggrava inoltre il deficit commerciale con la Cina. Le vendite verso gli USA avevano tenuto in aprile-maggio (+0,4%), dopo un’accelerazione nel primo trimestre dovuta a un effetto di anticipo degli ordini (frontloading). Tuttavia, un’indagine della Banca d’Italia rivela che l’80% delle imprese con principale mercato di destinazione gli USA prevede una riduzione dell’export a partire dal secondo trimestre.

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Industria e Servizi: L’industria italiana appare stagnante nel secondo trimestre, con la produzione tornata a scendere a maggio (-0,7%). L’indice PMI manifatturiero è sceso ulteriormente in area recessiva (48,4 a giugno). Anche i servizi, pur rimanendo in espansione, mostrano un rallentamento, con l’indice HCOB-PMI sceso a 52,1 a giugno.

Investimenti e Consumi: L’alta incertezza penalizza pesantemente gli investimenti. Gli indicatori segnalano un peggioramento delle condizioni per investire e, nonostante un leggero recupero a giugno, la fiducia delle imprese rimane su valori bassi. Anche i consumi frenano: nel primo trimestre, a fronte di una crescita del reddito reale dello 0,9%, i consumi sono aumentati solo dello 0,2%. La causa è un aumento della propensione al risparmio dettata dall’incertezza, con la fiducia delle famiglie scesa ulteriormente a giugno e le immatricolazioni di auto in crollo (-17,4% annuo).

LUCI E OMBRE DAL CONTESTO INTERNAZIONALE ED EUROPEO

Mentre l’economia italiana vacilla, segnali contrastanti arrivano dal resto del mondo. Notizie positive includono il parziale rientro del prezzo del petrolio (71 $/barile a luglio) e un’inflazione contenuta (+1,7% a giugno in Italia), che potrebbe spingere la BCE a un ulteriore taglio dei tassi.
Tuttavia, l’Eurozona è in difficoltà, con la produzione industriale in calo in Francia a maggio (-0,5%) e gli indici PMI che segnalano debolezza sia per la Germania sia per la Francia. La Spagna rappresenta un’eccezione, mostrando segnali di espansione.

Oltreoceano, gli Stati Uniti hanno registrato una crescita della produzione industriale superiore alle attese a giugno, nonostante una revisione al ribasso del PIL del primo trimestre. In Cina, il PIL del secondo trimestre segna un +5,2%, trainato dalla manifattura, ma le vendite al dettaglio rallentano, segnalando una persistente volatilità dei consumi.

M&A E PRIVATIZZAZIONI: LE STRATEGIE DI REAZIONE

Sul fronte interno, il mercato delle fusioni e acquisizioni (M&A) mostra dinamiche complesse. Nei primi sei mesi del 2025, in Italia sono state annunciate circa 600 acquisizioni, con un aumento del 6% nel numero di operazioni rispetto al 2024. Tuttavia, il valore complessivo si è dimezzato (18,7 miliardi di euro), a causa della riduzione dei mega-deal. Il Private Equity continua a essere un motore del mercato, rappresentando il 41% degli acquirenti, sottolinea EY.

Per attrarre capitali e stimolare la crescita, si guarda con interesse al programma di privatizzazioni, con l’obiettivo di raccogliere circa 20 miliardi di euro entro il 2026 tramite cessioni di quote di minoranza di società pubbliche e partenariati pubblico-privato, in particolare nei settori delle infrastrutture come porti, aeroporti e reti di trasporto. Questo, insieme alla necessità di potenziare il mercato unico europeo e diversificare geograficamente gli scambi, rappresenta una delle leve strategiche per affrontare le sfide di un panorama globale sempre più incerto.

RINNOVATO SLANCIO DELLE PRIVATIZZAZIONI

Lo sviluppo dell’agenda infrastrutturale italiana è centrale per la strategia economica del Paese, con gli investimenti pubblici che fungono da catalizzatore per la crescita a lungo termine. Tuttavia, per aumentare l’impatto e diversificare le fonti di finanziamento, è importante coinvolgere il capitale privato, una leva che non è ancora stata pienamente sfruttata. Questo coinvolgimento dovrebbe avere due obiettivi principali: da un lato, mobilitare il capitale privato per integrare la spesa pubblica, attraverso privatizzazioni mirate e partnership strategiche lungo la catena del valore delle infrastrutture; dall’altro, aumentare le entrate da indirizzare verso investimenti o alla gestione del debito. Nuovi modelli di partenariato pubblico privato, che possano consentire al settore pubblico di mantenere controllo e governo delle infrastrutture, possono anche migliorare l’efficienza, la sostenibilità e la competitività globale delle infrastrutture italiane, anche introducendo modelli di remunerazione degli investimenti (RAB) che premiano livello dei servizi ed investimenti.

E per gli investitori, questo rappresenta una forte opportunità per sostenere la transizione dell’Italia verso un’economia moderna ed efficiente, allineando capitale, riforme strutturali e obiettivi nazionali a lungo termine. Le privatizzazioni, dunque, possono tornare al centro della strategia economica italiana non come soluzione d’emergenza, ma come leva strutturale per attrarre capitale, rafforzare le infrastrutture, migliorare il livello dei servizi ed al contempo ridurre la pressione sul bilancio statale, seppur nel rispetto del mantenimento del controllo pubblico di infrastrutture critiche, ha concluso l’analisi di EY.

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