La Commissione europea, nella sua proposta per il Quadro finanziario pluriennale (Qfp) 2028-2034, ha stabilito il bilancio settennale dell’Ue a 1.763 miliardi di euro (a prezzi costanti 2025). Tra i capitoli più originali e senz’altro controversi delle proposte presentate c’è quello delle risorse proprie, tema che torna ogni 7 anni, e ogni 7 anni rimane al di sotto delle aspettative: come si sa, lo striminzito bilancio comunitario dipende in parte prevalente dai contributi dei singoli Stati membri, che si azzuffano regolarmente su chi deve dare di più o di meno e perché.
Quest’anno la Commissione europea ha presentato cinque nuove risorse comuni, corredata ognuna di calcoli di gettito che alcuni ritengono molto ambiziosi, altri del tutto irrealistici, fino a ritenerli un puro esercizio di stile, data l’improbabilità di trovare un accordo per approvarli.
È bene sottolineare che l’importo complessivo stimato della nuova proposta di decisione sulle risorse proprie ammonta a 58,2 miliardi di euro all’anno, che nel quadro di un bilancio di quasi 2 trilioni di euro non è proprio una cifra rivoluzionaria.
Ma l’interesse di questa partita non sta nelle cifre, quanto nella possibilità di superare o meno un’equazione fin qui impossibile: gli Stati membri da un lato sono riluttanti a contribuire di più al bilancio comune ma dall’altro sono anche contrari all’introduzione di nuove “tasse” a livello europeo spesso di natura “verde”, che percepiscono come un’erosione della loro sovranità fiscale; per di più non hanno molta voglia di concedere all’Ue delle risorse “in automatico”. Insomma: vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, i benefici di un’Europa che possa aiutarli ma senza assumersene il costo, né creare le condizioni per nuove fonti di finanziamento anche se queste… potrebbero ridurre i loro stessi contributi al bilancio Ue. Un trappolone logico, nel quale si inseriscono poi le resistenze dei redivivi frugali, guidati dalle solite Germania e Olanda, che non “ritengono opportuno” – nonostante le tempeste che si addensano sui nostri cieli – aumentare in modo consistente il bilancio della Ue e quindi i loro contributi.
In questo contesto, la proposta di decisione sulle risorse proprie si presenta più robusta delle precedenti, pur se non esente, come vedremo, da lacune importanti. Ecco in breve le proposte:
Ets1 (Sistema di scambio delle quote di emissione)
Questa proposta mantiene l’Ets1 come risorsa propria: è un meccanismo già consolidato che, ricordiamo, rende l’emissione di CO2 più costosa per le imprese, agendo da stimolo a cambiare i sistemi produttivi, e fa sì che chi inquina contribuisca direttamente al bilancio dell’Unione. La Commissione prevede che questa risorsa genererà circa 9,6 miliardi di euro all’anno. È importante notare che l’Ets2 (che dovrebbe applicarsi a trasporti e edilizia e che è contestatissimo a livello nazionale) è stato escluso, il che rende le entrate stimate inferiori alle attese precedenti, e soprattutto pone interrogativi sul finanziamento del Fondo sociale per il clima.
Cbam (Carbon border adjustment mechanism)
Il Cbam è un meccanismo che impone un prezzo sulle emissioni di carbonio per i beni importati in Europa, allineandoli ai costi che le nostre aziende europee già sostengono. Come l’Ets, questa risorsa ha l’obiettivo di mettere insieme gli obiettivi climatici con la giustizia economica, proteggendo le nostre imprese dalla concorrenza sleale di prodotti provenienti da Paesi con standard ambientali meno rigorosi. Si stima che questa risorsa contribuirà con circa 1,4 miliardi di euro all’anno, con un tasso di prelievo del 75% delle entrate raccolte. È questa forse la fonte di finanziamento comune meno controversa e che pare essere condivisa da una maggioranza di stati membri.
Rifiuti elettronici (e-waste)
Questa è una proposta innovativa e potrebbe essere significativa per spingere l’economia circolare. La risorsa si basa su un contributo legato alla quantità di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche non raccolte nell’Ue. È un incentivo chiaro a migliorare i nostri sistemi di raccolta e riciclo, riducendo l’impatto ambientale. Si prevede un’entrata stimata di 15 miliardi di euro all’anno, calcolata applicando una tariffa di 2 euro per kg di rifiuti elettronici non raccolti, con un tasso che sarà annualmente adeguato all’inflazione.
Accise sul tabacco (Tedor)
Questa proposta mira a ottenere fondi che legano direttamente le entrate al consumo di tabacco. Basata su un tasso di prelievo del 15% sulle entrate generate dalle accise minime sul tabacco e prodotti correlati, questa risorsa non solo potrebbe contribuisce al bilancio UE ma si allinea anche agli obiettivi di salute pubblica dell’Unione. Si stima che genererà 11,2 miliardi di euro all’anno; inutile dire che anche su questa proposta si sono già levate lamentele e critiche, in particolare dall’Italia.
Corporate resource for Europe (Core)
Questa è una delle proposte più discusse e potenzialmente più impattanti. Si tratta di un nuovo prelievo annuale a somma fissa, differenziato per fatturato, applicato alle aziende dell’Ue e a quelle di Paesi terzi con una sede permanente nell’Unione, purché abbiano un fatturato annuo di almeno 100 milioni di euro. Si stima un’entrata di 6,8 miliardi di euro all’anno. La Commissione ha cosi scelto questa strada invece di proporre, come pareva decisa a fare fino a poco tempo fa, una tassa sui servizi digitali o sulle speculazioni finanziarie e criptovalute, che sarebbe stato un segnale ancora più chiaro a favore di piccole imprese e cittadini; per di più suscita qualche sconcerto che questa tassa si applichi di sicuro alle imprese europee, mentre nello strambo “negoziato” sui dazi americani la questione della tassazione delle big tech rimane per adesso un’arma spuntata. Ciononostante, la Core rimane comunque un meccanismo interessante per assicurare che le grandi aziende contribuiscano in modo più consistente al nostro bilancio comune.
Sono stati proposti inoltre adeguamenti delle risorse proprie esistenti:
La plastica non riciclata, anche se le entrate previste sono state notevolmente ridotte a causa dell’impatto dell’inflazione.
Aggiornamento in materia doganale: attualmente, gli Stati membri trattengono il 25% dei dazi doganali per coprire i costi di riscossione. Ciò significa che un quarto delle entrate doganali non viene messo a disposizione dell’Unione. La Commissione propone di ridurre la quota dei costi di riscossione al 10%. Anche su questo ci sarà senz’altro da “combattere”.
Infine, altro aspetto interessante, la Commissione europea ha proposto un nuovo strumento straordinario di prestiti per un ammontare fino a 400 miliardi di euro per far fronte alle conseguenze di crisi gravi, difficoltà gravi o minacce gravi di crisi nel periodo 2028-2034. In caso di attivazione di questo strumento, il massimale degli stanziamenti di impegno quello delle risorse proprie sarebbero temporaneamente aumentati di 0,25 punti percentuali, al solo fine di coprire tutte le passività dell’Unione derivanti dall’assunzione di prestiti, senza correre il rischio che si corre ora col rimborso del NextGenerationEu. Sarà attivato attraverso una decisione del Consiglio e non pare previsto un ruolo specifico per il Parlamento europeo.
In conclusione, nonostante una certa mancanza di audacia e un’obiettiva difficoltà nel vedere effettivamente realizzate queste proposte, è un fatto che più si farà strada l’idea di un bilancio slegato dai contributi degli stati membri, e più facile sarà per la Ue superare le penose discussioni “pago-io-paghi-tu” e aumentare progressivamente la sua disponibilità finanziaria. Cosa che però, è bene precisarlo, non sarà possibile senza una profonda riforma democratica del processo decisionale della Ue con l’eliminazione del potere di veto, insieme a un potere di intervento molto più ampio del Parlamento europeo e della società civile.
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