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TCF opzionale: nuove sfide e opportunità per le imprese sotto soglia


L’adozione di un sistema strutturato di controllo del rischio fiscale non è più appannaggio esclusivo delle grandi imprese.

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Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del 17 luglio 2025, il decreto 9 luglio 2025 ha dato attuazione all’articolo 7-bis del D.Lgs. 128/2015, aprendo il regime del Tax Control Framework anche ai soggetti che, pur non raggiungendo le soglie dimensionali per accedere all’adempimento collaborativo ordinario, intendano comunque dotarsi volontariamente di un assetto certificato di rilevazione, gestione e presidio del rischio fiscale.

Si tratta, in concreto, di imprese con volume d’affari o ricavi inferiori ai 750 milioni di euro, soglia destinata a scendere a 500 milioni dal 2026 e a 100 milioni dal 2028, ampliando così significativamente la platea potenziale dei soggetti interessati.

L’accesso al TCF opzionale è subordinato a una rigorosa preparazione documentale da completare prima dell’esercizio dell’opzione, da trasmettere poi all’Agenzia delle Entrate tramite un modello telematico. 

1) TCF opzionale: nuove sfide e opportunità per le imprese sotto soglia

La documentazione richiesta comprende la descrizione dell’attività d’impresa, una strategia fiscale formalmente approvata dagli organi di gestione, la mappa dei processi aziendali e dei rischi fiscali (inclusi quelli derivanti dai principi contabili), nonché un documento che descriva dettagliatamente il funzionamento del sistema di gestione del rischio. 

Fondamentale, ai fini della validità dell’opzione, è la certificazione indipendente del sistema di controllo del rischio fiscale, che deve essere redatta da un professionista qualificato esterno all’impresa. 

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Tale certificazione non si limita a verificare la mera esistenza del modello, ma deve attestare l’effettiva idoneità, coerenza e operatività del Tax Control Framework, secondo i criteri stabiliti dalle Linee Guida dell’Agenzia delle Entrate. 

Particolare rilevanza assume il requisito della conformità ai principi contabili adottati, anche nei casi in cui l’impresa non sia soggetta a regimi strutturati di controllo come il modello 262/2005 o il Sarbanes-Oxley Act. In tali circostanze, il certificatore è tenuto a verificare che il TCF sia comunque integrato da presidi contabili specifici, attraverso la formalizzazione di controlli chiave sui principali processi aziendali e sui relativi rischi fiscali connessi. 

Tali controlli devono risultare mappati in modo trasparente e coerente nella matrice dei rischi e dei controlli fiscali, costituendo parte integrante della valutazione professionale. 

La certificazione, infine, deve essere accompagnata da una marca temporale, che ne attesti la data certa anteriore alla comunicazione dell’opzione, ed è soggetta ad aggiornamento obbligatorio in caso di modifiche organizzative sostanziali che incidano sulla struttura del sistema.

La durata dell’opzione è biennale, con tacita proroga per altri due anni salvo revoca espressa. 

I benefici riconosciuti al contribuente che accede validamente al regime opzionale del Tax Control Framework si concentrano, in via principale, sul piano sanzionatorio e penale. 

In particolare, è prevista la non applicazione delle sanzioni amministrative tributarie e delle sanzioni penali per dichiarazione infedele (ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs. 74/2000), qualora le condotte oggetto di contestazione siano riconducibili a rischi fiscali previamente comunicati all’Amministrazione finanziaria attraverso apposita istanza di interpello, presentata in tempo utile rispetto ai termini di dichiarazione o alle scadenze fiscali rilevanti. 

L’esimente opera anche sul piano penale in termini di inibizione dell’obbligo di trasmissione della notizia di reato, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per le sole componenti attive dichiarate in modo difforme, ma non per eventuali componenti passive inesistenti, che restano escluse dalla tutela. 

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Si tratta di un impianto premiale che, pur essendo più limitato rispetto a quello previsto per il regime ordinario di adempimento collaborativo, mira comunque a rafforzare il rapporto fiduciario tra contribuente e Amministrazione, valorizzando la trasparenza preventiva e la gestione ex ante del rischio fiscale. 

È bene sottolineare che la fruizione di tali benefici è strettamente subordinata alla sussistenza e al mantenimento nel tempo dei requisiti oggettivi e documentali richiesti dal decreto, la cui carenza – che l’Agenzia delle Entrate può verificare anche successivamente alla comunicazione dell’opzione – comporta la decadenza retroattiva dai vantaggi, a decorrere dall’inizio del periodo d’imposta in cui tali presupposti vengono meno.

Nonostante l’indubbia apertura dell’istituto, permane il tema della sostenibilità operativa per i soggetti di minori dimensioni.

L’impianto normativo richiede un sistema interno di controllo che prevede l’articolazione su tre livelli:

  1. funzioni operative, 
  2. funzione di tax risk management 
  3. e una terza linea di controllo (internal audit o equivalente). 

Tale modello riflette una visione mutuata dalle best practice delle società quotate o di grandi dimensioni, che difficilmente può essere replicata in realtà imprenditoriali meno strutturate, spesso caratterizzate da una governance accentrata, presenza familiare e assenza di sistemi preesistenti di controllo integrato. 

Non mancano peraltro riferimenti, anche nelle Linee Guida dell’Agenzia, alla necessità di tarare il sistema in funzione del dimensionamento, della complessità organizzativa e della maturità del presidio interno, lasciando aperta la possibilità, per le PMI, di adottare meccanismi più semplici purché efficaci. 

In questa prospettiva, si è discusso del possibile ruolo della revisione legale rafforzata come presidio alternativo e più sostenibile, anche in mancanza di assetti complessi come il modello 262 o Sox.

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2) TCF opzionale: il documento del CNDCEC

Il documento “Tax Control Framework – Osservazioni e Proposte” del 7 luglio 2025 elaborato dall’ODCEC di Roma ha evidenziato l’esigenza di maggiori chiarimenti operativi in ordine all’integrazione tra il TCF e i presidi contabili, soprattutto per i soggetti che non adottano modelli formalizzati. 

È stato sottolineato, ad esempio, come l’identificazione dei controlli chiave sui principali processi operativi dovrebbe essere meglio guidata da istruzioni ufficiali, onde evitare interpretazioni disomogenee. 

Analoga attenzione è richiesta in tema di aggiornamento della certificazione, che deve essere rilasciata nuovamente in caso di modifiche organizzative rilevanti, anche se non è sempre chiaro cosa debba intendersi per “modifica rilevante”. 

Sul punto, si auspicano pertanto chiarimenti ulteriori da parte dell’Ufficio o interventi normativi integrativi.

Le indicazioni del decreto trovano del resto continuità metodologica nei precedenti provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate del 28 aprile e 15 maggio 2024, in cui erano stati delineati i principi ispiratori della compliance fiscale “diffusa”, anche al di fuori del perimetro ordinario. 

Tali documenti – insieme ai codici di condotta sperimentali sul risk governance fiscale pubblicati nel 2024 – hanno costituito la base culturale e tecnica per l’elaborazione del nuovo modello opzionale.

Appare evidente che la diffusione del TCF opzionale tra le imprese sotto-soglia dipenderà dalla capacità del legislatore e dell’Amministrazione finanziaria di rendere l’istituto concretamente accessibile. 

Se da un lato i benefici premiali sono a oggi inferiori rispetto a quelli previsti per la cooperative compliance ordinaria, dall’altro l’adozione del TCF potrebbe rappresentare per molte PMI un’occasione di evoluzione interna, in vista di processi di apertura al capitale, ricambio generazionale o quotazione. Per rendere però il modello realmente attrattivo, occorre procedere su due fronti: rafforzare il sistema degli incentivi e semplificare gli adempimenti richiesti. 

Interventi ipotizzabili potrebbero riguardare, ad esempio, un credito d’imposta per i costi di certificazione, la riduzione dei termini di accertamento anche per l’opzione e la possibilità di valorizzare la mappa dei rischi fiscali ai fini della riduzione sanzionatoria, anche in assenza di interpello.

In definitiva, il TCF opzionale segna una tappa importante nel percorso di evoluzione verso una fiscalità improntata alla trasparenza e alla gestione consapevole del rischio. 

Ma affinché non resti un’opportunità solo sulla carta, sarà indispensabile intervenire per calibrare lo strumento alle caratteristiche delle PMI italiane, che rappresentano la gran parte del tessuto produttivo nazionale. Il commercialista, in questo contesto, assume un ruolo decisivo: non solo nella progettazione tecnica del sistema, ma soprattutto nel guidare le imprese verso una cultura del controllo come leva di affidabilità, sviluppo e sostenibilità fiscale.



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