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A Milano salario minimo vuol dire misero: l’Italia offre di più


Il tema, quindi, è molto complesso, prima di tutto perché bisognerebbe stabilire il significato di alcune parole, e poi compiere il secondo passo, quindi quantificare il salario minimo. Bisogna sempre ricordare che in Italia abbiamo una solida tradizione di contratti nazionali, e questo è il motivo per cui i tre sindacati – CGIL, CISL e UIL – hanno per anni rifiutato l’idea di introdurre un salario minimo legale. Secondo loro, infatti, stabilire la soglia a livello legislativo avrebbe indebolito i sindacati, privandoli di una delle leve negoziali, e nel peggiore dei casi avrebbe favorito una fuga dai contratti collettivi da parte delle aziende che avrebbero preferito applicare semplicemente il salario minimo.

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Ma si tratta di un timore eccessivo per diverse ragioni. Innanzitutto, i contratti collettivi restano uno strumento previsto dalla nostra Costituzione all’articolo 39; inoltre, il salario minimo proposto dalle opposizioni è stato presentato come una soglia minima per gli stessi contratti collettivi. Quindi, stabilendo una base di partenza, questo semmai rafforzerebbe i sindacati nelle trattative sui rinnovi contrattuali. Il salario minimo, quindi, sarebbe applicabile solo ai livelli più bassi dei contratti nazionali, mentre per tutti gli altri bisognerebbe stabilire comunque retribuzioni a salire in modo graduale.

Ecco perché, negli ultimi due anni, la CGIL e la UIL hanno cambiato orientamento e aderito alla proposta di Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra e Azione. La CISL, invece, è rimasta fedele alla linea storica, anche in virtù della vicinanza con il governo Meloni. CGIL e UIL hanno modificato il tiro in quanto consapevoli che nell’ultimo decennio in Italia è cresciuto il fenomeno dei contratti pirata: accordi al ribasso firmati da sindacati non rappresentativi. Da una ricerca del centro studi ADAPT emerge che un lavoratore con un contratto non rappresentativo può guadagnare, in alcuni casi, diverse migliaia di euro in meno all’anno. Al CNEL, infatti, sono depositati oltre mille contratti; nel settore terziario ne abbiamo 250, ma solo 18 firmati da CGIL, CISL e UIL.

Attenzione però, perché negli ultimi anni anche i contratti rappresentativi sono stati, qualche volta, parte del problema: in alcuni settori il potere negoziale dei sindacati – anche dei maggiori – è ancora troppo debole, e le condizioni ottenute sono scarse. Un caso è stato la vigilanza, in cui fino a due anni fa lo stipendio minimo previsto per i livelli più bassi era addirittura sotto i 5 €. Dopo il commissariamento di alcune imprese di vigilanza da parte dei magistrati, l’accordo è stato rinnovato con aumenti che comunque mantengono basse le retribuzioni del settore, pur cresciute rispetto a quelle cifre indecenti. È uno dei vari motivi per i quali almeno due sindacati su tre hanno detto sì al salario minimo nazionale.

Ora però il patema è evitare che a diffondersi siano i salari minimi locali, e che questi ripropongano una nuova versione delle gabbie salariali. A dimostrazione che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.

 

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Photo credits: numismaticaeuromania.com



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