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Azione per i crediti retributivi entro 180 giorni dall’atto interruttivo


Sta facendo discutere, per le grandi conseguenze che deriverebbero dalla sua approvazione, l’emendamento proposto al DL 92/2025 in vista della sua conversione in legge in materia di prescrizione dei crediti di lavoro.
Il decreto in questione, che contiene le misure urgenti di sostegno ai comparti produttivi, tra cui anche quelle in materia di ammortizzatori sociali (si veda “CIG in deroga per il settore moda per tutto il 2025” del 28 giugno 2025), deve essere convertito in legge entro il prossimo 25 agosto.

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L’emendamento in esame, avanzato dalla maggioranza, è contenuto all’art. 9-bis, da inserire nel DL 92/2025, e prevede la decorrenza in costanza di rapporto della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro quando si tratti di personale dipendente impiegato nelle imprese che integrano il requisito occupazionale di cui all’art. 18 commi 8 e 9 della L. 300/70 (vale a dire, le aziende con più di 15 dipendenti), nei cui confronti trovano applicazione le tutele di cui al predetto art. 18 o quelle di cui agli artt. 2 e 3 del DLgs. 23/2015.

Se l’emendamento venisse approvato, si tornerebbe al regime precedente la riforma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, superando la giurisprudenza secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi sorti in corso di rapporto inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto stesso, anche in caso di applicazione dell’art. 18 della L. 300/70 (cfr. ex multis Cass. nn. 26246/2022 e 33066/2024).
Infatti, come ribadito tra le altre dalla Cassazione n. 26246/2022, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della L. 92/2012 e del DLgs. 23/2015, non può più ritenersi assistito da un regime di stabilità, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata. Pertanto, per tutti i diritti non prescritti alla data dell’entrata in vigore della L. 92/2012, il termine di prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

L’emendamento in esame prevede, inoltre, un termine di decadenza per proporre il ricorso giudiziale finalizzato al pagamento dei crediti di lavoro, quantificato in 180 giorni decorrenti dall’atto con il quale il datore di lavoro è messo in mora. Quindi, non solo la prescrizione dei crediti retributivi inizierebbe a decorrere durante il rapporto lavorativo, ma se il lavoratore non si dovesse attivare giudizialmente entro i 180 giorni successivi all’atto interruttivo della prescrizione – promuovendo, in tal modo, una causa contro il datore di lavoro in costanza di rapporto – perderebbe il diritto a ottenere il pagamento di tali crediti.
Si evidenzia, inoltre, che l’emendamento indica l’interpretazione da fornire al secondo comma dell’art. 2099 c.c., secondo cui in mancanza di accordo tra le parti, la retribuzione è determinata dal giudice.

L’emendamento prevede una presunzione di proporzionalità e sufficienza ai sensi dell’art. 36 Cost. della retribuzione stabilita nell’accordo tra le parti, in applicazione di quanto indicato dal contratto collettivo stipulato ai sensi dell’art. 51 del DLgs. 81/2015, per il settore e la zona di svolgimento della prestazione, a meno che venga accertata dal giudice la grave inadeguatezza dello standard retributivo stabilito dal CCNL di settore tenuto conto dei livelli di produttività del lavoro e degli indici del costo della vita, come accertati dall’ISTAT.

In quest’ultima ipotesi, si prevede che il datore di lavoro, in ogni caso, non possa essere condannato al pagamento di differenze retributive o contributive per il periodo precedente rispetto all’invio dell’atto interruttivo della prescrizione o, in mancanza, al deposito del ricorso se ha applicato lo standard retributivo previsto dal contratto collettivo stipulato a norma dell’art. 51 del DLgs. 81/2015.
Tali criteri non operano, però, se il giudice accerta che il datore di lavoro non applica un contratto collettivo a norma dell’indicato art. 51 o, testualmente, “se il contratto collettivo applicato non si riferisce al settore economico nel quale ha prestato attività per conto dell’impresa”.

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