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Crisi calzaturiera nel Fermano, 113 aziende chiuse e 751 posti persi in un anno. Chiara Croce: «La Regione è assente»


I dati diffusi da Confindustria Fermo confermano una situazione drammatica per il settore calzaturiero, da anni in sofferenza e oggi più che mai in cerca di risposte. Crollo dell’export, aumento della cassa integrazione e chiusura di decine di aziende: un’emergenza ignorata dalla politica regionale, accusata di mancanza di visione e interventi concreti. Il commento della candidata alle Regionali Chiara Croce.

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Gli ultimi dati diffusi da Confindustria Fermo sul settore calzaturiero testimoniano una situazione disastrosa di cui siamo ben consci da tempo, ma che la politica regionale ignora. Il settore calzaturiero è in crisi, ed in questi anni non si è fatto nulla per invertire la tendenza. Non si sono chiesti sgravi per le aziende che scelgono di investire nel territorio fermano, non si è pensato a soluzioni innovative o diverse. Non si è fatto nulla per una crisi che dal 2019 mette a rischio migliaia di posti di lavoro e centinaia di aziende. Soltanto nell’ultimo anno 751 persone non hanno più un lavoro, per un aumento della cassa integrazione del 31%. Per non parlare delle imprese che hanno chiuso i battenti, ben 113 in pochi mesi, e del calo del 17,2% nell’export rispetto al 2019. Un calo che dovrebbe preoccupare qualcuno in Regione, dato che Fermo è la quinta (per alcuni studi la quarta) provincia più esposta d’Italia nell’export delle calzature. Il consigliere regionale di riferimento, Andrea Putzu, ha pensato, come al solito, solo alla propaganda, chiedendo altri 5 anni di tempo per lavorare. Altri 5 anni così? Il rilancio della calzatura è una questione senza dubbio spinosa, che chi amministrerà questa Regione da settembre deve mettere sul tavolo delle emergenze e delle priorità, anche alla luce di ciò che sta succedendo sul piano internazionale. Ricordiamoci che incombono i dazi di quel Trump che questo governo regionale ha appoggiato e che continua a difendere. Dazi che potrebbero mettere la parola fine a decine di altre aziende. Serve decontribuzione per attrarre investitori, serve un aiuto ad esplorare e lanciare nuovi mercati, come ad esempio il Nord Africa (già sondato da qualcuno). Le aziende del territorio, però, da sole non possono mettere in campo strategie di internazionalizzazione rischiose, non in questo contesto già difficile. Qui serve il supporto della politica, serve il supporto delle istituzioni. Se necessario, serve anche pensare ai consorzi industriali sul modello già attuato virtuosamente dalla Regione Toscana. Serve infine una politica industriale seria e ragionata con le parti sociali e datoriali. Cosa che la giunta Acquaroli non è riuscita a fare in 5 anni di governo, anzi, per la verità, non ci ha mai neanche provato. Accanto a ciò bisogna anche ripensare il territorio al di là del distretto calzaturiero, pensando che il Fermano può dare tanto anche in altri settori, che le Marche possono diventare un’isola felice del lavoro con un salario minimo regionale, sperimentando la settimana corta e dicendo no al lavoro precario. Per farlo, però, serve una visione d’insieme, una progettualità, che questa attuale giunta non ha mai dimostrato. Basta vedere i dati



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