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La nuova normativa sulle startup, facciamo chiarezza


La nuova normativa ormai definita “ScaleUp Act” è entrata in vigore ad inizio 2025 ma ancora oggi fondatori, investitori e professionisti si interrogano su alcune zone d’ombra che devono affrontare.

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Dodici anni dopo l’introduzione dello “Startup Act” italiano, una profonda revisione normativa arrivata con due provvedimenti legislativi (la Legge 162/2024, “Centemero”, e la Legge 193/2024, Legge per il Mercato e la Concorrenza) punta a rafforzare l’ecosistema delle startup innovative, offrendo un ambiente più favorevole alla crescita tecnologica e agli investimenti.

Le novità riguardano sia i requisiti per ottenere e mantenere lo status di startup innovativa, sia gli incentivi fiscali per chi investe e, in parte, per le stesse imprese. Nelle prossime righe proverò a trasmettere i risultati dei tentativi di dare risposta agli interrogativi posti dall’ecosistema: vedrete che, in ultima analisi, c’è meno confusione di quanto possa sembrare a una prima lettura.

2025, nuovi requisiti e vantaggi per le startup innovative

Le definizioni e i criteri per essere riconosciuti come startup innovativa sono stati aggiornati per assicurare maggiore focalizzazione sull’innovazione e accompagnare le aziende nella fase di scale-up. In sintesi: le startup devono ora rientrare nella categoria PMI in senso europeo (micro, piccole o medie imprese) e non possono avere come attività prevalente la semplice consulenza o intermediazione commerciale.

Viene dunque ribadito che l’impresa deve avere un chiaro orientamento allo sviluppo di prodotti o servizi ad alto valore tecnologico, escludendo quei soggetti che mascheravano da “startup” attività tradizionali di agenzia o servizi generici.

Un cambiamento importante riguarda la durata dello status speciale, che passa da 5 a 3 anni ma può essere estesa fino a 5 anni totali se al termine del terzo anno l’azienda raggiunge almeno uno di una serie di obiettivi di crescita o innovazione prestabiliti.

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Questi indicatori includono, ad esempio, un aumento significativo delle spese in R&S (almeno 25%), la stipula di un contratto di sperimentazione con un ente pubblico, la crescita di almeno il 50% di ricavi o occupazione rispetto all’anno precedente, l’ottenimento di un brevetto, oppure il conseguimento di nuovi capitali (oltre 50.000 €) tra capitale sociale e riserve patrimoniali (e dunque anche tramite convertendo o SAFE).

Inoltre, per le startup più promettenti dopo il quinto anno, lo status può essere prorogato per due ulteriori bienni (cioè fino al 7º e 9º anno) se si soddisfano criteri ancora più avanzati, come un aumento di capitale sopra 1 milione di euro da parte di fondi professionali (OICR) oppure una crescita annua dei ricavi superiore al 100%. In pratica, solo le aziende che dimostrano di diventare scaleup ad elevato potenziale potranno beneficiare di quasi un decennio di agevolazioni. Questo meccanismo graduale punta a premiare le realtà che crescono rapidamente e a stimolare le startup a raggiungere traguardi significativi entro tempi definiti.

Ricordiamo che lo status di startup innovativa comporta varie agevolazioni, come l’accesso semplificato al Fondo di Garanzia per le PMI, l’esenzione da alcuni oneri di costituzione e da imposte di bollo, la flessibilità nell’assunzione di personale (contratti a termine agevolati) e la possibilità di remunerare collaboratori con stock option o work-for-equity in modo fiscalmente vantaggioso. Naturalmente, ove la startup non possa più essere considerata tale al termine del periodo previsto, potrà iscriversi nel registro PMI innovative mantenendo così accesso ad alcune misure dedicate all’innovazione. Su questo, tuttavia, è opportuno che i fondatori e il management facciano riflessioni strategiche rilevanti già approfondite in un precedente contributo [INSERIRE LINK AD ARTICOLO SU PMI].

Incentivi fiscali 2025: detrazioni per investitori e agevolazioni per le startup

Accanto ai requisiti, la riforma ha toccato in modo significativo il capitolo incentivi fiscali per favorire gli investimenti in startup innovative. Le agevolazioni preesistenti sono state potenziate, ma anche razionalizzate temporalmente e soggette ad alcuni nuovi paletti per evitare abusi.

Di seguito un riepilogo dei principali incentivi fiscali attualmente previsti:

  • Detrazione IRPEF e deduzione IRES 30% ordinaria per investimenti in startup innovative – Confermata l’agevolazione vigente: le persone fisiche che investono nel capitale di una startup innovativa possono detrarre dall’IRPEF il 30% della somma investita, fino a un massimo di 1 milione di euro all’anno. Le società, invece, possono dedurre dal reddito imponibile ai fini IRES il 30% dell’investimento, fino a 1,8 milioni di euro all’anno. In ogni caso la partecipazione societaria ottenuta non deve però eccedere il 25% del capitale o dei diritti di voto, e l’investimento va mantenuto per almeno 3 anni. Questa agevolazione “base” resta applicabile per gli investimenti effettuati entro i primi 5 anni di vita della startup (fintanto che l’azienda mantiene lo status speciale).
     
  • Super-detrazione IRPEF 65% (early stage) – La novità più allettante è l’aumento dell’aliquota della detrazione al 65% per gli investimenti effettuati da persone fisiche nei primi 3 anni di vita della startup. Si tratta di una misura in regime “de minimis”, alternativa alla detrazione ordinaria: il beneficio massimo è riconosciuto su un investimento fino a 100.000 euro per anno (importo che riflette il limite degli aiuti de minimis per singola startup. Anche per questa super-detrazione valgono i vincoli di mantenimento dell’investimento 3 anni e di partecipazione non superiore al 25%.
  • Esenzione fiscale sulle plusvalenze – È stata finalmente resa operativa l’esenzione totale da tassazione per le exit: se una persona fisica realizza una plusvalenza vendendo partecipazioni in startup o PMI innovative, dopo averle detenute per almeno 36 mesi, non pagherà imposte sul capital gain. Questo regime, previsto inizialmente nel 2021 ma bloccato in attesa di autorizzazione UE, è stato sbloccato riconducendolo nell’ambito consentito dal regolamento europeo GBER. L’esenzione si applica alle cessioni realizzate entro il 31 dicembre 2025 (salvo future proroghe) ed è riservata alle persone fisiche al di fuori dell’esercizio d’impresa. Un incentivo notevole a investire in equity di startup, con la prospettiva di un ritorno netto migliore in caso di successo.
  • Credito d’imposta 8% per incubatori certificati – Per stimolare gli attori dell’ecosistema che supportano le startup, dal 2025 gli incubatori e acceleratori certificati possono ottenere un credito d’imposta pari all’8% delle somme che investono nel capitale di startup innovative (direttamente o tramite veicoli), fino a un massimo di 500.000 euro per periodo d’imposta. La condizione è che mantengano la partecipazione per almeno 3 anni.
  • Fondi pensione e investitori istituzionali – Per convogliare maggiori capitali istituzionali verso il venture capital italiano, è stata introdotta un’agevolazione che riguarda i soggetti previdenziali. I fondi pensione e le casse di previdenza che investono in fondi di venture capital beneficeranno dell’esenzione dall’imposta sui redditi per i proventi generati da tali investimenti, a condizione che almeno il 5% del loro portafoglio qualificato sia allocato in fondi VC (percentuale che salirà al 10% dal 2026). In sostanza, una quota minima del patrimonio dovrà essere investita in venture capital per ottenere l’esenzione fiscale sui rendimenti relativi. Questo provvedimento vuole incentivare grandi investitori istituzionali che finora sono stati piuttosto cauti nei confronti di questo tipo di investimenti: questa agevolazione punta a rendere l’asset class più appetibile sul piano del rendimento netto.

Oltre a queste misure principali, vale la pena menzionare il credito d’imposta R&S (pari al 10% delle spese in ricerca e sviluppo, fino a 5 milioni annui) prorogato fino al 2031, che rappresenta un ulteriore incentivo per le startup (e le imprese in generale) a investire in innovazione tecnologica e sviluppo di nuovi prodotti.

Complessivamente, il pacchetto di incentivi aggiornato tende a rendere più conveniente investire in startup innovative, specialmente nelle fasi iniziali, e a coinvolgere una platea più ampia di finanziatori. Per le startup, ciò si traduce in una maggiore attrattività verso i capitali privati e in un alleggerimento di alcuni costi, contribuendo a creare un terreno fertile per la loro crescita.

ScaleUp Act, le zone grigie e i punti critici da chiarire

Sin dalle prime indiscrezioni e nei commenti alle versioni provvisorie dei testi normativi non sono mancate alcune incognite e criticità.

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Il primo e più sentito è quello relativo al destino delle Startup “anziane” e al regime transitorio: l’introduzione delle nuove soglie temporali (3-5-9 anni) ha posto il problema di come gestire le startup già iscritte al momento dell’entrata in vigore della legge. È stato previsto un regime transitorio per cui le imprese innovative già iscritte al momento dell’entrate in vigore possono permanere nella sezione speciale oltre i 36 mesi, purché riescano a soddisfare uno dei nuovi requisiti entro le seguenti scadenze:

a) se iscritte da oltre diciotto mesi, entro dodici mesi dalla scadenza del terzo anno (e quindi entro la fine del quarto anno di iscrizione);

b) se iscritte da meno di diciotto mesi, entro sei mesi dalla predetta scadenza.

I due dubbi principali riguardano le startup che si trovano nel quarto e nel quinto anno di iscrizione. Per le prime, il problema è risolto dalla lettera della disposizione transattiva: dovranno dimostrare il possesso dei requisiti per potere rimanere nel registro entro la fine del quarto anno (e dunque per il quinto). 

Cosa succede per le startup al quinto anno di iscrizione? 

Si tratta di società che hanno già ottenuto lo status in base alla previgente normativa avendo dichiarato la continuità nel possesso dei requisiti previsti dal vecchio testo del D. Lgs. 179/2012. Il nuovo testo non prevede una dichiarazione intermedia o nuova per tali società che, dunque, rimarranno iscritte fino alla scadenza del quinto anno. A mio parere, dunque, il problema non si pone (o non si dovrebbe porre). Purtroppo, le Camere di Commercio ad oggi non sono di questo avviso ed è ormai cosa nota che molte pratiche di conferma dello status di startup siano di fatto “incagliate” in attesa di chiarimenti. 

Un altro profilo dubbio è relativo alla detraibilità fiscale anche per i finanziamenti convertendo sin dal momento del bonifico, senza dover attendere la conversione in quote. La detrazione “matura” a condizione che la somma sia versata con causale specifica (versamento in conto aumento di capitale) e iscritta a riserva patrimoniale. La norma dunque, atipicamente, si spinge a definire quale debba essere la lettera della causale di bonifico ma poi pare lasciare margine nella decisione su quale riserva patrimoniale debba essere utilizzata.

In particolare, si teme che i cosiddetti SAFE (Simple Agreement for Future Equity) possano restare esclusi dal beneficio ove si ritenga che la qualificazione della riserva debba seguire l’indicazione della casuale. La riserva “in conto aumento di capitale”, infatti, è solitamente utilizzata per iscrivere somme versate in ragione di aumento di capitale già deliberati ma non ancora chiusi e non è quella tipicamente utilizzata per il SAFE (e in generale per i convertendodiffusi nella prassi) i cui importi sono invece allocati più correttamente nella “riserva in conto futuro aumento di capitale” dal momento che un aumento di capitale, in questi casi, non c’è ancora.

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Ad oggi, dunque, per portare in detrazione un convertendo si potrebbe essere costretti (paradossalmente) ad indicare la causale di bonifico indicata nella normativa per poi iscrivere le somme in una diversa e più appropriata riserva patrimoniale.

In conclusione, le nuove norme sulle startup innovative rappresentano un significativo passo avanti nel sostegno all’imprenditorialità tecnologica in Italia.

Da un lato troviamo misure molto apprezzate che mandano un segnale positivo a chi vuole investire nell’innovazione. Dall’altro, le restrizioni introdotte (la soglia del 25%, i limiti temporali più stringenti) e il quadro normativo frammentato rischiano in parte di limitarne l’efficaciao generare incertezze applicative.

Per founder e investitori è dunque fondamentale tenersi aggiornati, consultare professionisti specializzati e attendere i chiarimenti ufficiali su alcuni punti controversi. L’auspicio condiviso è che il legislatore proceda quanto prima a fine-tuning e semplificazione delle regole, magari attraverso un testo unico, così da offrire un terreno normativo chiaro e stabile su cui costruire nuove imprese innovative e attrarre capitali, elementi chiave per la crescita economica del Paese. 



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