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Crediti d’imposta sovvenzionali nel mirino dell’atto di indirizzo MEF: più difficile contestarne l’inesistenza


L’atto di indirizzo del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 18 del 1° luglio 2025 si sofferma con puntualità, apportando utile materiale di approfondimento, sull’argomento dei crediti d’imposta inesistenti, come individuabili, a seguito della novella del D.Lgs. n. 87/2024 di riforma delle sanzioni tributarie, in forza della nuova definizione dettata dall’art. 1, comma 1, lett. g-quater), D.Lgs. n. 74/2000.

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Secondo tale nuova norma, si dicono viziati d’inesistenza i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina di riferimento (fattispecie di cui al n. 1) della lettera g-quater) sopra citata); nonché quelli per i quali l’assenza dei predetti requisiti è oggetto di rappresentazioni fraudolente, poste in essere mediante simulazioni, artifici, ovvero avvalendosi di documentazione falsa dal punto di vista materiale o ideologico (fattispecie di cui al n. 2) della lett. g-quater) sopra richiamata).

Rispetto a tale rinnovato quadro normativo, 2 sono le riflessioni a cui l’atto di indirizzo in commento induce l’interprete: una, teoricamente, sfavorevole al contribuente; e una nettamente favorevole a quest’ultimo, come di seguito esposto.

In primo luogo, si noti che l’atto di indirizzo MEF rileva, quasi en passant, come la nuova definizione del vizio d’inesistenza dei crediti d’imposta risulti più ampia rispetto a quella previgente: potendosi oggi qualificare come inesistenti anche quei crediti i cui vizi emergano all’esito dell’esperimento dei controlli di liquidazione e dei controlli formali, effettuati ai sensi degli artt. 36-bis e 36-ter, D.P.R. n. 600/1973, e 54-bis, D.P.R. n. 633/1972 (modalità di controllo viceversa inidonee, stando alla formulazione ante novella dell’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471/1997, a giustificare contestazioni d’inesistenza dei crediti esaminati dagli uffici). Quanto sopra non può che spingere a sottolineare, allora, il potenziale pericolo che gli uffici contestino l’inesistenza di crediti, anche facenti capo ad anni d’imposta precedenti all’entrata in vigore della definizione novellata (risalente alla data del 29 giugno 2024), avvalendosi anche delle risultanze dei controlli di liquidazione e formali, sulla scorta di un’interpretazione pro Fisco già possibilmente adombrata dalla giurisprudenza di legittimità, per cui la nuova e più ampia formulazione del credito inesistente potrebbe essere applicata anche retraoattivamente, trattandosi di mera specificazione dei criteri definitori già fatti propri, sul punto, dalle Sezioni Unite di Cassazione, con la sentenza n. 34419/2023 (cfr., Cass. n. 14625/2025 e n. 25018/2024; potendosi altresì sostenere, del resto, la portata interpretativa della nuova norma definitoria). Tale rischio potenzialmente esiste per i contribuenti: per quanto forse non sia semplice, per gli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate che gestiscono i controlli di liquidazione e formali, desumere, da controlli implicanti essenzialmente il mero confronto di dati e senza significativi approfondimenti istruttori, gravi vizi di inesistenza dei crediti.

In secondo luogo – e di converso – è da notare come l’atto di indirizzo MEF chiuda la porta alle contestazioni erariali d’inesistenza dei crediti, laddove siano fondate sul richiamo di fonti di dettaglio “ulteriori” rispetto alle fonti normative, di carattere primario (legge) o secondario (regolamenti e decreti ministeriali), che rispettivamente istituiscono le singole fattispecie di favore, ovvero ne specificano i presupposti costitutivi. Con particolare riguardo al tema dei crediti sovvenzionali, quali quelli afferenti alle attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, design e innovazione estetica, le fonti di dettaglio “ulteriori” che il MEF mette al bando ai fini della motivazione dei suoi controlli consistono, in sostanza, nei manuali tecnici che non risultino richiamati “esplicitamente” nelle norme primarie o secondarie disciplinanti i crediti di cui si discute; ovvero che vi siano richiamati in qualche modo, ma genericamente e non “specificamente”. I chiarimenti del MEF spingono, dunque, a depotenziare la rilevanza, sin qui attribuita da parte degli uffici accertatori, ai criteri di classificazione contenuti nel Manuale di Frascati in tema di spese per attività di ricerca e sviluppo, come effettuate fino al 31 dicembre 2019 ai sensi delle originarie norme di favore ex art. 3, D.L. n. 145/2013, e correlato art. 2, D.M. 27 maggio 2025: un bacino di attività di grande interesse per i funzionari deputati ai controlli, fonte di numerose contestazioni e di rilevante contenzioso, il cui quadro normativo di riferimento non rinvia però in maniera specifica al Manuale di Frascati, che risulta, invece, regolarmente invocato negli atti impositivi erariali a sostegno delle relative pretese.

Il Manuale di Frascati, giova sottolineare, figura richiamato specificamente, ai fini della definizione delle attività di ricerca e sviluppo, solo nel contesto del nuovo bonus, come ridefinito all’art. 1, comma 200, Legge n. 160/2019 (Legge di bilancio 2020), e al correlato art. 2, D.M. 26 maggio 2020 (così come, si noti, il Manuale di Oslo è richiamato solo al comma 201 del citato art. 1, Legge di bilancio 2020, e all’art. 3, D.M. 26 maggio 2020, ai fini della definizione delle attività di innovazione tecnologica ammissibili al credito d’imposta). In conclusione, può dirsi che, in tutte le fattispecie agevolative di tipo sovvenzionale, ove i manuali tecnici “ulteriori” non assumano rilievo con le modalità specificate dall’atto di indirizzo del MEF, i relativi crediti d’imposta non potranno mai dirsi viziati d’inesistenza; potendosi al più qualificare come non spettanti, purché i relativi vizi ricadano nelle nuove definizioni, di cui al novellato art. 1, comma 1, lett. g-quinquies), D.Lgs. n. 74/2000.

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