Il rafforzamento del mercato unico europeo, una politica proattiva sugli accordi di libero scambio, l’attrazione di investimenti esteri e un nuovo approccio, guidato dai dati, alle missioni internazionali: sono queste le quattro le aree di lavoro interconnesse su cui si fonda la strategia di Confindustria per migliorare la competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali. A illustrare questa visione strategica alle imprese costruttrici di macchinari, nel corso dell’assemblea di Federmacchine, è stata Barbara Cimmino, vicepresidente di Confindustria con delega per l’Export e l’Attrazione degli Investimenti.
Una visione, quella di Confindustria, che poggia su leve quali l’innovazione, la sostenibilità e una rinnovata capacità di stringere alleanze geopolitiche e commerciali, con l’obiettivo di trasformare il potenziale inespresso del Made in Italy a partire da un comparto chiave come quello dei beni strumentali, per il quale il rapporto Ingenium ha stimato un potenziale di crescita per l’export di macchinari di ben 8 miliardi di euro.
Il mercato unico come primo fronte competitivo
Prima di proiettare la propria forza sui mercati globali, è necessario però consolidare il terreno domestico, ovvero il mercato unico europeo.
Secondo Cimmino una delle maggiori criticità attuali risiede proprio nella carenza di armonizzazione e nella frammentazione normativa che ancora affliggono l’Unione. “Se non armonizziamo prima di tutto il mercato europeo, è difficile che possiamo essere in grado di guerreggiare su fronti di export”, ha affermato.
Il lavoro che Confindustria sta portando avanti a Bruxelles mira a risolvere questo conflitto interno, promuovendo non solo una maggiore fluidità nello scambio di merci, ma anche e soprattutto l’applicazione di regole eque. Un punto dirimente è quello della sorveglianza del mercato (market surveillance). L’accesso al mercato unico viene ancora concesso a merci che non rispettano pienamente gli standard europei, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche per quanto riguarda gli impatti sociali e ambientali delle filiere produttive. Garantire un level playing field reale è dunque il primo passo per permettere alle imprese italiane, che già operano secondo criteri rigorosi, di competere ad armi pari e sostenere il proprio export di macchinari.
Export di macchinari, la via maestra degli accordi di libero scambio
L’Unione Europea detiene un primato globale con 44 accordi di libero scambio attivi, che coinvolgono 76 paesi. All’interno di questo quadro l’Italia si distingue per essere la nazione che meglio sa utilizzare questi strumenti.
I dati lo confermano: solo gli accordi con Canada, Corea del Sud e Giappone hanno generato un incremento dell’export italiano di circa 7 miliardi di euro. Questi trattati rappresentano facilitatori fondamentali per l’export di macchinari in uno scenario globale dominato dall’incertezza e dalle barriere non tariffarie. Inoltre quelli di nuova generazione includono un quadro di riferimento sulla sostenibilità che si allinea perfettamente con l’approccio produttivo italiano, fondato su processi e prodotti innovativi e attenti all’impatto ambientale.
Il dossier Mercosur: un’occasione da non perdere
Tra gli accordi in dirittura d’arrivo quello con il Mercosur (Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay) assume un’importanza strategica assoluta. Dopo 25 anni di negoziati la firma è attesa nei prossimi mesi e il voto dell’Italia sarà decisivo per la ratifica finale. Un “no” italiano equivarrebbe a un “no” dell’intera Europa, con la prospettiva, già ventilata dal presidente brasiliano Lula, di non riaprire più le trattative.
Le opportunità sono immense: si tratta di un mercato di circa 750 milioni di consumatori con gusti e affinità culturali vicini all’Italia. L’accordo, ha spiegato Cimmino, semplificherebbe l’accesso agli appalti pubblici, garantirebbe il riconoscimento delle indicazioni geografiche e, incorporando gli accordi di Parigi, favorirebbe le aziende già impegnate nella decarbonizzazione. Inoltre aprirebbe un canale privilegiato per l’approvvigionamento di materie prime oggi presidiate dalla concorrenza cinese, offrendo una leva strategica per la manifattura italiana e per il suo export di macchinari.
Oltre il Mercosur: India e sud-est asiatico
La strategia non si ferma al Sud America. L’accordo con l’India è previsto in chiusura entro la fine dell’anno e rappresenta un’altra occasione imperdibile, specialmente per l’export di macchinari e beni strumentali.
Anche il negoziato con l’Indonesia è in fase avanzata, aprendo le porte ai mercati ASEAN. Questa rete di accordi è la strada maestra per penetrare nuovi mercati e diversificare le destinazioni dell’export italiano.
Attrarre investimenti e guidare la ricostruzione
La competitività non si costruisce solo esportando, ma anche attraendo capitali e competenze. Su questo fronte opera l’Advisory Board on Foreign Investors (ABIE) di Confindustria, che dialoga con le istituzioni per promuovere riforme volte a semplificare la burocrazia, incentivare la ricerca e attrarre talenti.
Uno strumento operativo di grande efficacia menzionato da Cimmino è la ZES Unica per il Mezzogiorno, che sta dimostrando di poter semplificare drasticamente l’iter per nuovi insediamenti produttivi, creando opportunità per le imprese italiane e partnership con investitori internazionali.
Altro capitolo di grande rilievo è la presidenza italiana del Business Advisory Council (BAC) per la ricostruzione dell’Ucraina. Questo organismo, derivato dal G7, pone l’Italia sul ponte di comando di un vero e proprio “piano Marshall” moderno. Avere un ruolo guida in questo consesso significa poter orientare i progetti e garantire alle imprese italiane un accesso privilegiato a un programma di ricostruzione che definirà le relazioni economiche e geografiche con l’Est Europa per i decenni a venire.
Una nuova strategia per le missioni all’estero
Per capitalizzare queste opportunità serve un cambio di passo nell’approccio alle missioni imprenditoriali all’estero. L’obiettivo di Confindustria è superare la logica delle missioni generiche, spesso organizzate con tempi ristretti, per passare a un modello più mirato e strategico.
La chiave di volta è l’analisi dei dati. Grazie alla stretta collaborazione tra il centro studi di Confindustria e quello di Federmacchine, è stata sviluppata una metodologia e una piattaforma digitale, denominata Expand, che permette di valutare con precisione il potenziale per l’export di macchinari e altri prodotti (fino a otto cifre del codice doganale) in 200 mercati.
Lo strumento consente di identificare dove esistono margini di crescita realizzabili nel breve termine e dove, con investimenti in capacità produttiva e innovazione, si possono raggiungere traguardi ancora più ambiziosi. Le prossime missioni in programma, come quelle in India, Vietnam e Messico, saranno già impostate secondo questa logica, presentando alle controparti dati solidi sul potenziale di interscambio e massimizzando così l’efficacia degli incontri per le imprese, in particolare per le piccole e medie.
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