La trasparenza fiscale dei fondi esteri e l’applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni rappresentano temi di crescente interesse per gli operatori finanziari internazionali. In particolare, la gestione fiscale degli investimenti in Italia da parte di fondi istituiti in altri Paesi richiede un’analisi dettagliata delle normative domestiche e internazionali. L’Agenzia delle Entrate, con Risp. AE 24 luglio 2025 n. 194, ha affrontato questi temi in relazione a un fondo inglese gestito nel Regno Unito, fornendo chiarimenti.
Struttura e funzionamento del fondo estero
Il fondo oggetto dell’interpello è un ACS (Authorised Contractual Scheme), istituito e regolamentato nel Regno Unito secondo la Direttiva UCITS, modificata dopo la Brexit. Il fondo opera come OICR di diritto inglese, privo di personalità giuridica autonoma, in cui gli investitori detengono in comproprietà gli asset tramite un apposito contratto (Co-Ownership Deed).
La struttura umbrella-fund consente la suddivisione in diversi comparti, ciascuno dotato di autonomia gestionale e destinato a diversi investimenti. Il fondo può investire in obbligazioni italiane, partecipazioni in società italiane (sia quotate che non quotate) e quote di altri OICR italiani.
Gli investitori attuali sono fondi pensione UK, considerati investitori istituzionali residenti fiscalmente nel Regno Unito, che detengono le quote tramite un depositario che agisce da nominee. Le quote possono essere di due tipi: income units (che prevedono la distribuzione periodica dei proventi) e accumulation units (che capitalizzano i rendimenti nel valore delle quote).
Inquadramento fiscale del fondo nel Regno Unito
Il fondo e i suoi comparti non sono soggetti a imposta sui redditi nel Regno Unito. Gli investitori, in quanto fondi pensione britannici, beneficiano di un regime di esenzione sui proventi finanziari, a condizione che questi non derivino da attività di trading.
Per le plusvalenze, la tassazione avviene solo al momento della cessione o del riscatto delle quote da parte degli investitori, non durante la vita del fondo. Questo aspetto pone questioni rilevanti sulla trasparenza fiscale e la qualificazione ai fini delle convenzioni internazionali.
I quesiti posti all’Agenzia delle Entrate
La società istante ha posto tre quesiti principali:
- Quesito 1: se il fondo e i suoi comparti possano essere considerati fiscalmente trasparenti.
- Quesito 2: se, in caso di trasparenza fiscale, possano applicarsi le disposizioni della Convenzione Italia-Regno Unito nei confronti degli investitori.
- Quesito 3: se il fondo e i suoi sub-funds possano beneficiare delle esenzioni previste dall’ordinamento italiano sui redditi di fonte italiana, indipendentemente dalla trasparenza fiscale nel Regno Unito.
Per il primo quesito, l’istante ha sostenuto che il fondo ACS non possiede personalità giuridica e non è soggetto a imposta nel Regno Unito, quindi non si qualifica come “persona residente” ai fini convenzionali. Tuttavia, vi sarebbe trasparenza fiscale quando i redditi prodotti sono imputati direttamente agli investitori, che sono tassati indipendentemente dalla distribuzione dei proventi, almeno per le income units.
Per quanto riguarda le plusvalenze, la società ha riconosciuto che la tassazione viene differita e che ciò configura una forma di trasparenza fiscale solo parziale, richiamando il modello OCSE e il relativo commentario.
Circa il secondo quesito, si ritiene che i soci o sottoscrittori di una entità fiscalmente trasparente debbano poter invocare la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra il loro Stato di residenza e quello della fonte del reddito, a condizione che il reddito sia loro effettivamente attribuito ai fini fiscali.
Sul terzo quesito, infine, la società richiede conferma sulla possibilità di fruire delle esenzioni domestiche italiane, come quelle previste dal D.Lgs. 239/96 per gli interessi su obbligazioni e dall’art. 26-quinquies DPR 600/73 per i redditi da fondi comuni di investimento.
Il parere dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia ha confermato che il fondo ACS, in quanto fiscalmente trasparente nel Regno Unito, non può essere considerato “persona residente” ai fini della Convenzione Italia-Regno Unito. Tuttavia, gli investitori possono invocare i benefici convenzionali se i redditi sono loro imputati ai fini fiscali nel loro Stato di residenza, coerentemente con i principi OCSE e con la prassi italiana.
In particolare, l’Agenzia distingue tra diversi tipi di reddito:
- redditi di capitale (interessi, dividendi, proventi da fondi): se attribuiti fiscalmente agli investitori britannici, questi possono beneficiare della Convenzione, a patto che siano rispettate tutte le condizioni previste (tra cui la residenza fiscale e la qualifica di beneficial owner).
- plusvalenze: non potendo essere considerate attribuite direttamente agli investitori fino alla cessione delle quote, i benefici convenzionali non si applicano.
- esenzioni fiscali domestiche: il fondo e i suoi comparti possono beneficiare delle esenzioni previste dal diritto italiano per gli investitori istituzionali esteri, a condizione che siano rispettati i requisiti sostanziali (vigilanza, oggetto esclusivo di investimento, white list, ecc.).
L’Agenzia precisa inoltre che:
- l’applicazione della ritenuta ridotta convenzionale è una facoltà e non un obbligo per il sostituto d’imposta italiano.
- per godere dei benefici della Convenzione, gli investitori devono fornire attestazione della residenza fiscale e della sussistenza delle condizioni richieste dalle autorità britanniche.
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