E’ partita l’estate calda dei binari italiani con la chiusura della relazione diretta Milano-Genova fino al 28 agosto. Per la gioia del ministro Matteo Salvini, la rete ferroviaria italiana (RFI) è stata costretta a concentrate l’apertura di 1.200 cantieri in piena estate. Tutti i progetti, nei cassetti da anni, grazie ai finanziamenti del Pnrr sono stati recuperati. Da 150 mila ore di interruzione delle linee a 350mila ore annue sui 16mila km di rete.
Fallito il federalismo dei trasporti ferroviari, si torna al peggior centralismo ministeriale. Prima il Mit dava solo qualche indirizzo programmatorio, ora interviene nella gestione degli investimenti, “stressare” sia RFI, senza i tecnici, per seguire tutti i lavori avviati dalle aziende appaltatrici anch’esse senza tutti gli uomini necessari e tutti i mezzi operativi utili per realizzare i lavori e rispettare i tempi della loro conclusione. Tempi che restano solo sulla carta, con costi sempre crescenti.
In un contesto già collassato, dove non si contano più le proteste dei pendolari (anche quelli dell’Alta velocità), si rischiano nuovi blackout, ritardi, soppressioni dei treni, limitazioni di percorso e disagi di ogni genere. Dalla Sicilia alla direttissima Firenze-Roma, chiusa ai treni pendolari, dalla Calabria alla Lombardia chiuso, verrà il passante ferroviario. Come pure in Sardegna dove sono previsti 7,5 anni per raddoppiare 28 km. Insomma non c’è angolo di rete senza lavori. Lavori talmente diffusi che consentono solo parzialmente l’adozione di itinerari alternativi validi per mitigare i disagi.
Anche le imprese di trasporto merci vengono danneggiate dai cantieri del Pnrr, il traffico ferroviario merci ha subito un calo del 4% già nel 2024, mettendo a rischio la competitività del settore. Ciò ha spinto Fermerci ha chiedere al governo un fondo complementare per aiutare gli operatori fino al 2026. Ai costi degli investimenti andranno aggiunti quelli delle conseguenze provocate su passeggeri, merci e sul traffico maggiore che si riverserà sulle strade con impatto negativo per incidentalità e ambiente. Consistenti gli ulteriori costi dei penalizzanti ed insufficienti autobus sostitutivi.
Gli standard di RFI sono cambiati in peggio rispetto al passato, quando le interruzioni erano quasi tutte bandite. Le attività che richiedevano la chiusura delle linee si svolgevano solo di notte e, di giorno, erano sufficienti rallentamenti della velocità per lo svolgimento dei lavori e la loro messa in sicurezza. Le chiusure totali delle linee erano autorizzate esclusivamente per gli allacciamenti e per i grandi interventi, al massimo per qualche giorno. Non c’è una logica e neppure un piano con delle priorità che giustificano tutti questi investimenti. C’è un elenco di interventi, con la prioritaria motivazione di spendere per spendere le risorse pubbliche (ce la ricordiamo la “spesa a pioggia”?). Come se il problema fosse solo quello degli interventi sulla rete: non è sempre è così.
Il problema principale italiano è quello della scarsa capacità di gestione del sistema ferroviario da parte di Trenitalia e di avere garantite enormi risorse a prescindere dai risultati.
Anche in tutta Europa si stanno svolgendo lavori per risanare ed ammodernare tratti obsoleti, ma il primo obiettivo è di produrre meno ripercussioni possibili sul traffico. I calendari d’intervento (es. Svizzera e Germania), sia per la progettazione che per l’esecuzione sono stati fatti slittare per carenze di personale qualificato. Voler fare tutto in breve tempo non funziona! Molti dei lavori sono supervisionati da centinaia di commissari che spesso sono anche dirigenti di RFI, i responsabili delle croniche inefficienze della rete. Anche con i commissari nominati da anni, le opere non procedono speditamente ed allora il ministro Salvini ha pensato bene di creare un’altra sovrastruttura.
Il 2 luglio scorso, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha ufficialmente avviato l’Osservatorio sui Commissariamenti infrastrutturali. Si dice per “accelerare i lavori, ridurre la burocrazia e migliorare la trasparenza”. Come se non esistessero le strutture ordinarie che andrebbero, loro sì riorganizzate. L’Osservatorio, oltre ai nove super dirigenti (poltronificio), prevede anche una struttura tecnica funzionale solo a nuove ed inutili assunzioni. Tutto ciò, mentre governo e Parlamento si auspicano che gli effetti del Pnrr abbiano delle ricadute “miracolose” sul rilancio delle ferrovie italiane.
La Commissione Europea ci ha ricordato, il 6 marzo scorso, che gli azionisti di Trenitalia (gestore dei servizi di trasporto) hanno nominato come amministratore delegato Gianpiero Strisciuglio, ad uscente del gestore dell’infrastruttura Rete ferroviaria italiana. La Commissione ha acceso il faro su tale nomina, sospettando che “il trasferimento di un dirigente di alto livello dalla posizione di amministratore delegato del gestore dell’infrastruttura verticalmente integrato alla posizione di amministratore delegato del principale operatore ferroviario nazionale all’interno dello stesso gruppo sia in evidente contrasto con le normative europee”. Norme che prevedono la netta separazione tra le due funzioni.
In Italia, il non rispetto delle regole continua ad essere definito “sinergie”, sinergie che rendono impossibile definire le responsabilità e le competenze di ognuno al punto di sovrapporle per evitare anche un minimo di concorrenza.
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