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Ursula vede Xi: dialogo tra sordi? 


Il 24 luglio si è tenuto a Pechino il 25° EU-China Summit, in occasione dell’anniversario dei 50 anni dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra le due parti. Per l’occasione, le due massime autorità europee, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa hanno incontrato in due momenti separati il premier cinese Li Qiang e il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping. L’incontro era molto atteso perché visto come un passaggio fondamentale per chiarire lo stato dei rapporti politici ed economici tra Bruxelles e Washington nel contesto della guerra commerciale portata avanti da Donald Trump dal giorno della sua inaugurazione il 20 gennaio. 

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Un rapporto in una spirale negativa 

I rapporti tra l’Unione europea e la Cina hanno conosciuto una trasformazione significativa a partire dal China Strategic Outlook del 2019, un documento chiave in cui Bruxelles definì Pechino come partner, concorrente economico e rivale sistemico, segnando una svolta nella percezione strategica, perché riconosceva l’esistenza di una differenza politica con la Cina pur nel contesto di una possibile cooperazione economica. Nonostante ciò, su spinta di Angela Merkel, nel 2020 fu poi siglato un accordo sugli investimenti bilaterali (Comprehensive Agreement on Investment, CAI), frutto di anni di negoziati per garantire maggiore accesso al mercato cinese alle imprese europee; tuttavia, l’accordo venne sospeso nel 2021 a causa di tensioni di natura politica, incluse le sanzioni reciproche legate ai diritti umani nello Xinjiang. Negli anni successivi, di fronte a nuove vulnerabilità emerse con la pandemia e a rinnovate tensioni geopolitiche che tengono in considerazione anche il rapporto di Pechino con Mosca, la Commissione europea ha aggiornato il suo approccio introducendo nel 2023 concetti chiave come il de-risking” – cioè la riduzione dei rischi di dipendenza strategica senza una rottura totale dei legami – e il principio di sicurezza economica, a testimonianza di un’Europa sempre più consapevole del legame tra economia, tecnologia e sicurezza.  

Tuttavia, il giorno successivo all’Inauguration Day di Trump il 20 gennaio, von der Leyen, in un discorso al World Economic Forum di Davos si era espressa manifestando disponibilità a un’apertura alla Cina, indicando l’esigenza di ricercare una relazione più bilanciata con l’obiettivo di confrontarsi in maniera più costruttiva. All’aumentare della pressione statunitense in materia di dazi, Pechino aveva cercato così di presentarsi come un partner affidabile e di migliorare attivamente la propria relazione con l’Unione europea. Ad aprile 2025, dopo il Liberation Day, funzionari e imprese cinesi hanno così promosso un riavvicinamento con l’UE attraverso l’invio di delegazioni commerciali nelle capitali europee per esplorare modalità per dirottare verso i mercati europei le esportazioni ostacolate dai dazi di Trump. Inoltre, nel tentativo di migliorare i rapporti, la Cina ha intrapreso azioni come la revoca, sempre nell’aprile 2025, delle sanzioni ai membri del Parlamento europeo che avevano bloccato l’avanzamento del CAI. Questa mossa è stata interpretata come un tentativo proprio di rilanciare il CAI come piattaforma alternativa alla politica commerciale globale di Trump. 

Tuttavia, le parole non hanno retto al verificarsi dei fatti, soprattutto in termini di riduzione della pressione cinese verso l’Europa in termini di export. Nel 2024 le relazioni economiche tra UE e Cina confermano uno squilibrio di fondo. Infatti, con un interscambio commerciale di circa 845 miliardi di euro, le esportazioni europee verso la Cina hanno superato i 213 miliardi di euro in beni e i 67 miliardi in servizi, mentre le importazioni di prodotti cinesi hanno sfiorato i 519 miliardi in beni e i 45,5 miliardi in servizi, generando un significativo disavanzo commerciale — superiore ai 300 miliardi di euro — a vantaggio di Pechino. Negli ultimi dieci anni le importazioni europee dalla Cina sono più che raddoppiate, mentre le esportazioni dell’UE sono cresciute di circa il 50%. 

Oltre all’interscambio, i rapporti restano stretti anche sul fronte degli investimenti diretti esteri. Nel 2023 le imprese europee avevano investito in Cina un valore complessivo stimato intorno ai 230 miliardi di euro, mentre gli investimenti cinesi in Europa si attestavano a circa 65 miliardi. Nel 2024 i flussi di investimento reciproci sono rimasti significativi: l’Europa ha investito in Cina circa 10,1 miliardi di euro, mentre gli investimenti cinesi verso l’UE hanno raggiunto i 9,4 miliardi. 

Il ruolo dell’overcapacity 

Il tema centrale nel rapporto tra UE e Cina negli ultimi anni è quello dell’overcapacity, ovvero la condizione per cui l’economia cinese si trova con un livello di produzione superiore a quello che può essere assorbito dal mercato. Nella visione europea e americana questa overcapacity è il frutto di sussidi statali alla produzione che costituiscono una pratica commerciale scorretta. L’effetto pratico di questa condizione è un aumento costante del surplus cinese, soprattutto nei settori ad alta tecnologia, quali pannelli solari, batterie, veicoli elettrici e dispositivi medici, mentre negli anni ’10 il problema era legato soprattutto ai settori tradizionali di acciaio e cemento. Il settore campione in questo senso è quello dell’automotive, che ha visto la Cina in pochi anni – dal 2020 in poi – passare dall’essere un mercato di importazione a diventare il primo esportatore mondiale. Per affrontare questo problema Bruxelles ha reagito combinando strumenti difensivi e pressioni diplomatiche: da una parte, sono aumentate le indagini anti-dumping e anti-sussidi, da ottobre 2024 sono stati introdotti dazi fino al 45% sulle nuove auto elettriche a batteria cinesi e nel giugno 2025 è stato deciso di escludere per cinque anni i fornitori cinesi dagli appalti europei per dispositivi medici superiori ai cinque milioni di euro. 

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Da parte cinese si è a lungo respinta l’idea che il problema dell’overcapacity fosse realmente l’effetto di una distorsione del mercato, sostenendo, invece, che la maggiore competitività dei prodotti cinesi fosse unicamente il risultato di un tessuto industriale in salute e all’avanguardia. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda i dispositivi per le rinnovabili, la Cina starebbe semplicemente fornendo al mercato quello di cui ha bisogno per la transizione energetica. Tuttavia, negli ultimi mesi anche in Cina si è cominciato a riconoscere come ci siano, in alcuni casi, delle storture nella produzione domestica, introducendo il concetto di “neijuan” o “involuzione” per descrivere la competizione eccessiva al ribasso, segnale che potrebbe preludere a un ripensamento delle politiche industriali interne.  

Cosa si sono detti e cosa è stato firmato 

Durante l’incontro di luglio 2025 tra i leader dell’UE e Xi Jinping, le due parti hanno chiarito le rispettive priorità, mostrando allo stesso tempo margini di dialogo e divergenze strutturali difficili da colmare. È di particolare interesse anche il tono adottato dalle delegazioni. Xi si è concentrato su aspetti di taglio più ampio e ha presentato tre proposte fondamentali per guidare i rapporti bilaterali: rafforzare il consenso strategico trattandosi come partner e non come rivali, approfondire la cooperazione pratica in settori come economia, tecnologia e transizione verde, e gestire in modo appropriato le divergenze, evitando logiche di disaccoppiamento o politiche di de-risking considerate ostili. Dall’altra parte, von der Leyen è stata più puntuale nel suo discorso e ha ribadito a nome dell’UE tre temi chiave: la necessità di riequilibrare la bilancia commerciale e affrontare la questione della sovracapacità cinese, la richiesta di garantire un accesso equo e senza ostacoli al mercato cinese per le imprese europee, e infine la volontà di cooperare su sfide globali come clima e biodiversità, ma solo a condizione che vi siano regole chiare e reciprocità effettiva. Il confronto ha così messo in luce la distanza tra l’approccio cinese, improntato a stabilità e apertura senza vincoli stringenti, e quello europeo, incentrato su correttivi immediati agli squilibri strutturali e alla protezione dell’industria continentale. Nonostante i toni cordiali e l’impegno a mantenere il dialogo, la risoluzione del nodo sulla sovracapacità produttiva e sul rischio di dumping appare decisiva per determinare l’evoluzione futura dei rapporti tra Bruxelles e Pechino. 

All’atto pratico, l’incontro non ha prodotto molto, se non un accordo sul tema della lotta al cambiamento climatico. La dichiarazione congiunta sul cambiamento climatico stabilisce quattro pilastri principali: l’impegno a presentare nuovi piani climatici aggiornati (NDC) al 2035, la riaffermazione del sostegno all’Accordo di Parigi, la volontà di ampliare la cooperazione sulla transizione verde e la definizione di ambiti concreti di collaborazione, come l’espansione delle energie rinnovabili, lo sviluppo dei mercati del carbonio, l’innovazione in tecnologie green e low-carbon, e il controllo più rigoroso delle emissioni di metano. Si tratta di aspetti rilevanti, ma di secondo piano rispetto ai problemi strutturali tra le parti.  

L’incontro, come ricorda Andrew Small, ha così valore quasi unicamente per il fatto di esserci stato. È il dialogo aperto il punto più positivo dell’incontro. Tuttavia, non sembra ci siano possibilità per risolvere le divergenze strutturali esistenti. La Cina è convinta di agire legittimamente e punta a capitalizzare la conquista di fette di mercato nei settori emergenti. Ritiene, inoltre, conveniente un rapporto stretto con la Russia perché distrae l’Occidente dall’affrontarla direttamente. L’UE, invece, è convinta che le pratiche economiche cinesi siano una minaccia sistemica al proprio sistema economico. Tuttavia, allontanarsi dalla Cina è costoso e reso ancora più complicato dalla parallela pressione degli Stati Uniti. Per questo il blocco comunitario ha bisogno di trovare quanto prima una modalità per dilazionare i costi della competizione economica cinese. Inoltre, Bruxelles ritiene un pericolo per la propria sicurezza il supporto cinese alla Russia. Ci si trova così di fronte a un “dialogo tra sordi”, proprio come l’alto rappresentante per la Politica estera UE Borrell aveva definito lo EU-China Summit del 2022.  

Se i dazi americani verranno confermati, però, le due parti dovranno trovare un modo per parlarsi perché è l’Europa il mercato alternativo cui la Cina dovrà rivolgersi. Bruxelles dovrà trovare una forma per gestire l’aumento dell’interesse delle aziende cinesi per il suo mercato.  



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