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Private credit: banche, sgr e casse previdenziali uniscono le forze. Ecco quanto rendono gli investimenti nel settore




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Ultim’ora news 25 luglio ore 20


È l’ora delle alleanze nel private credit italiano, per consolidare i risultati raggiunti negli ultimi anni e ridurre il gap con il mondo anglosassone. Il mercato nazionale dei finanziamenti alternativi alle imprese ha cambiato passo dopo la pandemia. Nel 2024, rivela uno studio di Ey, la raccolta ha raggiunto 1,4 miliardi, con un tasso annuo di crescita del 25% dal 2020. Un incremento di cui hanno beneficiato 168 società: la fetta più grossa se la sono divisa 11 aziende, che hanno ottenuto almeno 100 milioni a testa.

Il merito è anche delle banche, che spesso sono co-investitori nei nuovi fondi o ne creano di nuovi. Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha lanciato con Tenax Capital un veicolo da 300 milioni dedicato alle pmi italiane. Gli istituti di credito, tuttavia, non si limitano a investire in prima persona: operano come intermediari tra fondi e clientela corporate e partecipano anche alle fasi di origination e di distribuzione dei prodotti di private credit.

Così le banche sono riuscite a stringere i legami con le imprese, ma hanno deciso di affidare la fase esecutiva agli asset manager, che hanno competenze più verticali. Come mai lo hanno fatto? Per continuare a finanziare le aziende riducendo il profilo di rischio e l’impatto sul bilancio.

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I nuovi player 

L’anno scorso il trend si è invertito perché il contributo del mondo del credito tradizionale alla raccolta è sceso al 5% dal 18% del 2023. Ma il dato non deve ingannare: l’apporto delle banche non si è ridotto, si è solo allargata la torta. È vero che gli istituti di credito si sono concentrati sulle imprese più grandi, diminuendo il credito a quelle minori. Il passo indietro però ha spalancato le porte del private credit agli operatori non bancari, pronti a offrire soluzioni di finanziamento alternative con formule nuove.

«Alla consueta relazione con istituti di credito e investitori internazionali, si è affiancata quella con nuovi attori specializzati e con le sgr italiane, che hanno avviato fondi di private lending», spiega Luca Cosentino, partner del team Financial Services di Ey-Parthenon. «Nello sviluppo dei fondi e nell’attività di fund raising, un ruolo molto importante è stato svolto poi dagli operatori pubblici, che hanno contribuito in maniera rilevante alla crescita del mercato italiano e, più recentemente, anche alcune casse previdenziali hanno sottoscritto quote di fondi di private lending in fase di avvio, chiaramente privilegiando tipologie di crediti consoni al loro profilo di rischio». Lo confermano i numeri perché l’anno scorso 16 fondi pensione hanno destinato 1,04 miliardi ai private market, per il 22% indirizzati al private credit.

A caccia di rendimenti 

L’interesse crescente per il settore si è tradotto in un incremento degli investitori attivi, diventati più di 50 nel 2024 (+24%). In Italia, insomma, non ci sono solo i grandi asset manager internazionali, interessati di solito alle operazioni di dimensioni maggiori. Al contrario, sono sempre più diffusi i fondi nazionali specializzati. In questo caso l’esempio è Anthilia Capital Partners, che a marzo ha lanciato Synthesis, un Eltif 2.0 di private debt sottoscrivibile anche dalla clientela privata e con 10 mila euro di soglia d’ingresso. Tra i nuovi operatori professionali, invece, uno dei più attivi è Aidexa.

Gli attori in campo sono attratti dai ritorni garantiti dal settore, che nel private landing tradizionale partono dal 7-8%, mentre nel restructuring e nel real estate sono del 12-14%. I vantaggi però sono anche altri, e per tutti. «Per gli investitori vanno dalla diversificazione del portafoglio alla minore correlazione con le borse. Gli asset privati non sono soggetti alla volatilità dei mercati, ma vengono valutati sulla base dei fondamentali delle società sottostanti», osserva Cosentino. «I debitori possono beneficiare invece di una maggiore flessibilità delle strutture di finanziamento, con soluzioni su misura, e riescono a ridurre i tempi di esecuzione, in alcuni casi più contenuti di quelli bancari».

Il ruolo dello Stato 

All’elenco vanno aggiunte istituzioni pubbliche come Cdp, che negli anni ha svolto un ruolo di volano con il Fondo Italiano di Investimento, partecipato anche da banche ed enti pensionistici. Ne è nato un modello di partenariato con il privato che ha agevolato l’accesso al capitale delle imprese e ha rafforzato l’infrastruttura del credito alternativo. Anche questa volta parlano i numeri: nel 2023 il 44% della raccolta di private credit in Italia proveniva dal pubblico e dai fondi di fondi istituzionali, percentuale scesa al 28% nel 2024, ma sempre per l’allargamento della torta.

Il sostegno statale si è concretizzato anche in via indiretta con gli strumenti di garanzia. Il Fondo Centrale di Garanzia ha coperto i minibond emessi dalle pmi, riducendo così il rischio per gli investitori. Sace, invece, ha creato un veicolo dedicato al private debt export e ha sottoscritto i minibond delle imprese italiane attive all’estero. Il settore, quindi, è sempre più maturo e ora un’altra spinta arriverà dalla ripresa delle operazioni del private equity, supportate dalla crescita dei capitali raccolti.

Futuro roseo 

Oltre ai player, anche le strategie di investimento si sono evolute. Il private credit non è più solo mini-bond e prestiti diretti perché le soluzioni complesse – con capitali ibridi – sono sempre più gettonate. Il processo di diversificazione verso nuove asset class non si fermerà, anzi dovrebbe andare avanti grazie a real estate e operazioni garantite da attività sottostanti.

«Il futuro rimane caratterizzato da una serie di incertezze geopolitiche e da uno scenario dei tassi in continua evoluzione», osserva Cosentino. «Ma riteniamo che l’asset class possa proseguire lungo una nuova fase di sviluppo, con una crescita potenziale a doppia cifra, anche in partnership con altri soggetti oltre alle banche, e proponendo alle imprese un’offerta di finanza alternativa sempre più ampia». (riproduzione riservata)

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