L’ordinanza n. 19174 del 12 luglio 2025 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione torna a porre l’attenzione su una questione centrale nella gestione della crisi d’impresa: la sorte del compenso del professionista incaricato di assistere una società nel percorso verso il concordato preventivo, quando la procedura non giunge a compimento o si evolve in un fallimento. Il provvedimento affronta il tema in chiave sistemica, individuando i presupposti per l’ammissione al passivo del credito professionale, i limiti dell’incarico fiduciario e le responsabilità derivanti da condotte potenzialmente lesive della par condicio creditorum. Per approfondire l’argomento, consigliamo il volume Composizione negoziata della crisi – Guida pratica per l’esperto con casistica giurisprudenziale, modelli, strumenti e prassi applicativa, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il volume Le tutele del nuovo sovraindebitamento: come uscire dal debito disponibile su Shop Maggioli e su Amazon. Abbiamo anche organizzato il corso Crisi d’impresa e composizione negoziata 2025
1. L’attività del professionista nella fase preconcorsuale
Il caso all’attenzione della Corte ha origine dalla richiesta di un commercialista che, dopo aver affiancato una società in crisi nella predisposizione della domanda di concordato preventivo, aveva proseguito l’attività professionale anche successivamente al deposito del ricorso, supportando l’impresa nell’esecuzione di pagamenti ingenti (oltre 1,7 milioni di euro) in favore di creditori anteriori. Tali atti erano stati compiuti in assenza della necessaria autorizzazione del tribunale, in violazione della sospensione degli atti esecutivi imposta ex artt. 168 e 182-ter legge fallimentare.
Il sopravvenuto fallimento della società ha condotto il professionista a richiedere l’ammissione del proprio credito al passivo. Tuttavia, sia il giudice delegato che il tribunale ne hanno rigettato la domanda, contestando la correttezza della condotta e ritenendo sussistente una responsabilità professionale per avere agevolato pagamenti preferenziali, in violazione dei vincoli concorsuali. Per approfondire l’argomento, consigliamo il volume Composizione negoziata della crisi – Guida pratica per l’esperto con casistica giurisprudenziale, modelli, strumenti e prassi applicativa, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon, e il volume Le tutele del nuovo sovraindebitamento: come uscire dal debito disponibile su Shop Maggioli e su Amazon.
2. Le censure del ricorrente: tra obblighi contrattuali e autonomia dell’incarico
Nel ricorso in Cassazione, il professionista ha articolato più motivi di doglianza, lamentando la violazione delle norme in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.) e di obbligazioni contrattuali (art. 1176 c.c.). A suo dire, l’attività prestata era conforme al mandato ricevuto e legittima nei limiti della funzione affidatagli, non potendo giustificare il totale diniego del diritto al compenso.
In particolare, il ricorrente ha contestato l’assunto secondo cui sarebbe stato consapevole – o colpevolmente ignaro – della necessità di munirsi di autorizzazione preventiva per i pagamenti effettuati. Tali operazioni, a suo avviso, rientravano nelle competenze ordinariamente richieste in un contesto preconcorsuale, e comunque erano state eseguite in buona fede nell’interesse del cliente.
3. La decisione della Corte: compenso subordinato a diligenza e correttezza
La Suprema Corte ha confermato il rigetto dell’ammissione al passivo, aderendo alla ricostruzione dei giudici di merito. Secondo il Collegio, il diritto al compenso non è un automatismo derivante dalla mera esecuzione dell’incarico, ma presuppone l’adempimento diligente delle obbligazioni contrattuali e il rispetto degli obblighi di correttezza, in coerenza con il principio codicistico ex art. 1176, co. 2, c.c.
Nel caso di specie, l’esecuzione di pagamenti preferenziali in assenza delle prescritte autorizzazioni è stata ritenuta una violazione grave delle regole concorsuali, idonea a pregiudicare l’interesse dei creditori e a compromettere l’ordinato svolgimento della procedura. La condotta del professionista, lungi dall’essere neutra, ha inciso sull’integrità del patrimonio del debitore, alterando il principio della parità di trattamento e giustificando così il diniego del compenso.
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4. Obbligazioni di mezzi e controllo sull’attività del cliente
Un passaggio fondamentale dell’ordinanza riguarda la natura delle obbligazioni del professionista: obbligazioni di mezzi, non di risultato. Tuttavia, la Corte sottolinea che anche tali obbligazioni devono essere eseguite con la diligenza qualificata richiesta dalla natura dell’attività, soprattutto in ambiti ad alta tecnicità come le procedure concorsuali. Ciò implica, tra l’altro, il dovere di monitorare con attenzione gli atti posti in essere dal cliente, segnalando eventuali criticità e opponendosi a comportamenti illeciti o pregiudizievoli.
In quest’ottica, la semplice esecuzione del mandato non può giustificare il riconoscimento del compenso, se l’attività del professionista ha contribuito – anche indirettamente – a ledere gli interessi tutelati dalla procedura. La responsabilità non nasce, dunque, dal mancato raggiungimento del risultato, ma dalla mancanza di vigilanza o dall’attiva partecipazione a condotte contrarie alla legge.
5. Conclusioni: il principio sistemico affermato dall’ordinanza
La pronuncia n. 19174/2025 fissa un principio di rilevanza generale: nel contesto delle crisi d’impresa, il diritto del professionista al compenso è subordinato al rigoroso rispetto degli obblighi di correttezza, diligenza e lealtà, e non può prescindere dagli effetti delle sue condotte sugli equilibri della procedura. Il professionista non può trincerarsi dietro l’adempimento formale dell’incarico, ma deve dimostrare di aver agito in piena coerenza con le finalità dell’istituto concorsuale.
L’insegnamento della Corte è chiaro: chi assiste un’impresa in crisi opera in un contesto regolato da norme imperative e deve mantenere un comportamento funzionale alla salvaguardia dell’interesse collettivo dei creditori. Ogni deviazione da tale paradigma può determinare la perdita del diritto al compenso e, nei casi più gravi, l’esposizione a responsabilità civile.
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