L’interpretazione offerta dall’Agenzia introduce un principio di certezza in cui ricavi e costi sono solo quelli effettivamente realizzati. Le valutazioni di fine anno restano escluse
Le criptovalute sono strumenti digitali che permettono di effettuare pagamenti o realizzare investimenti senza l’intermediazione di un’autorità centrale. Nascono e circolano su reti decentralizzate, spesso basate sulla tecnologia blockchain.
Non hanno forma fisica, ma esistono solo in formato elettronico. I soggetti che le possiedono possono trasferirle e utilizzarle in tempo reale tramite dispositivi digitali. Alcuni esempi sono Bitcoin ed Ethereum.
Oggi, le criptovalute si utilizzano sia per scambi commerciali, sia come asset speculativi. Le imprese iniziano a considerarle strumenti utili per le loro operazioni finanziarie e di tesoreria. Negli ultimi anni, molte imprese hanno iniziato a detenere criptovalute o a svolgere attività di trading. In questo contesto, diventa rilevante conoscere come queste attività incidano sulla formazione del reddito d’impresa. Con la legge di bilancio 2023 è stato introdotto l’articolo 110, comma 3-bis del TUIR. La norma stabilisce che le variazioni di valore delle cripto-attività alla data di chiusura dell’esercizio non devono essere considerate nella determinazione del reddito imponibile. In questo modo, gli effetti delle oscillazioni di mercato che caratterizzano questi strumenti sono neutralizzati.
Con la risposta ad un recente interpello – n. 78/2025 – l’Agenzia delle Entrate ha confermato l’interpretazione estensiva del nuovo comma 3-bis. Il caso esaminato riguarda una società che ha avviato un’attività di compravendita di criptovalute. A livello contabile, le criptovalute sono trattate come beni immateriali e valutate al fair value. La società adotta però, nella gestione interna, un metodo diverso. Utilizza un magazzino contabile basato sul costo medio ponderato. Ogni acquisto aggiorna il valore medio e ogni vendita scarica il relativo costo. A fine anno, il valore del magazzino viene adeguato al fair value per esigenze di bilancio.
Questo sistema genera due valori diversi. Il primo è quello fiscale, basato sul costo medio ponderato. Il secondo è quello civilistico, fondato sul fair value. L’impresa ha chiesto se questa differenza produca effetti fiscali. L’Agenzia ha chiarito che tutte le variazioni derivanti da valutazioni delle criptovalute – siano esse contabili o di bilancio – non rilevano ai fini fiscali. La norma opera in deroga alla disciplina ordinaria sulle rimanenze prevista dall’articolo 92 del TUIR. L’effetto è rilevante. Le imprese non devono più considerare nel calcolo del reddito le variazioni di valore delle criptovalute possedute a fine esercizio. Non conta se il valore aumenti o diminuisca. Rileva solo il momento in cui l’impresa realizza un guadagno o una perdita effettiva. Vale a dire, quando vende le criptovalute o le scambia con altri beni. A quel punto, la differenza tra il prezzo di vendita e il valore fiscale determina un componente positivo o negativo che concorre alla formazione del reddito di impresa.
Dal punto di vista operativo, l’impresa dovrà comunque registrare in bilancio i valori secondo i principi contabili applicabili. Nella dichiarazione dei redditi, però, dovrà apportare le opportune variazioni extracontabili. Questo passaggio serve a neutralizzare gli effetti valutativi e a riportare il reddito alla sua corretta dimensione fiscale. Per le imprese, l’interpretazione offerta dall’Agenzia introduce un principio di certezza. I ricavi e i costi da considerare sono solo quelli effettivamente realizzati. Le valutazioni di fine anno restano escluse. Questo approccio semplifica la gestione fiscale delle criptovalute. Riduce il rischio di contestazioni e rende più prevedibile il carico fiscale. Allo stesso tempo, impone una corretta separazione tra contabilità civilistica e fiscale. In un mercato in rapida evoluzione, la conformità fiscale diventa un elemento strategico. Comprendere le regole diventa parte integrante delle scelte di investime
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