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Crosetto conferma l’incontro con i militari israeliani: è stato il 23


La riunione tra i rappresentanti della Difesa italiani e quelli israeliani si è svolta il 23 luglio. Lo ha ammesso il ministero guidato da Crosetto nella risposta alla nostra inchiesta sulla riunione tra i delegati italiani e quelli israeliani convocata dallo Stato maggiore tramite la Direzione nazionale degli armamenti e per mezzo dell’Aiad, la federazione di Confindustria che riunisce le aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza.

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Nella dura nota pubblicata ieri dal dicastero che, tra l’altro ci accusa senza motivo di aver offeso «la dignità e il senso del dovere delle donne e degli uomini della Difesa», emerge chiaramente che non c’è alcuna intenzione di bloccare i rapporti con Israele. La politica commerciale della Difesa di uno stato non la decidono i soldati, gli avieri o i marinai, la sceglie il governo in carica e la porta avanti. E noi a questa istituzione dello stato ci siamo rivolti, senza offendere in alcun modo nessuno. Abbiamo chiesto conto della convocazione che l’Aiad ha inviato e ci è stato risposto dal ministero che questa sarebbe «disinformazione».

Al contrario, abbiamo posto una domanda precisa: perché continuano questi rapporti che nella e-mail di convocazione dell’incontro che abbiamo potuto visionare, rivolta alle aziende vengono, palesemente, definiti anche «in divenire»? Nel merito, non ci è stata fornita alcuna risposta inequivocabile.

Invece, scrive la Difesa: «ciò a cui si allude, è una prassi tecnico-militare consolidata denominata ‘Staff Talks’, incontri bilaterali tra Stati Maggiori finalizzati allo scambio di informazioni e valutazioni operative. In vista degli Staff Talks del 23 luglio 2025 tra lo Stato Maggiore della Difesa italiano e l’omologo delle Forze Armate israeliane, è stata richiesta, come di prassi, una scheda Paese aggiornata alla (Dna), comprensiva di elementi informativi generali, tra cui i rapporti industriali pregressi o sospesi. La Dna, a sua volta, ha inoltrato una richiesta di aggiornamento all’Aiad, per un quadro conoscitivo tecnico aggiornato agli interlocutori dello Smd».

Il ministero sostiene altresì che: «questi incontri, non hanno alcuna natura commerciale né implicano trattative di procurement», ma seppure nella riunione del 23 non si sono concordate nuove compravendite, il fatto che si specifica nella e-mail di convocazione delle aziende di indicare i rapporti «in essere, pregressi o in divenire» vuol dire comunque che in questo momento ci sono accordi in corso con Israele e che se ne stanno eventualmente pianificando altri. Senza contare che si legge anche delle «discussione di un piano di cooperazione bilaterale», che però tra i due Paesi già esiste già (il Memorandu del 2003) e quindi non può che riferirsi a un accordo nuovo.

Dato che le guerre non si combattono più solo con i fucili e i bazooka, ma con un apparato tecnologico, informatico e tecnico di cui Israele si è sempre fatto vanto davanti al mondo e l’Italia in questi settori ha delle aziende importanti che operano a livello internazionale è lecito chiedere, e la risposta non dovrebbe essere colma di insulti, se il nostro Paese commercia questo tipo di strumenti con un Paese in guerra i cui vertici sono indagati dalla Corte penale internazionale. Le dichiarazioni del governo hanno più volte sostenuto che «tutte le nuove licenze di armamenti» verso Tel Aviv sono state sospese dopo il 7 ottobre 2023. Ma potrebbe essere la proverbiale foglia di fico: non vendiamo armamenti ma tutto il resto delle forniture che potrebbero contribuire alla macchina bellica israeliana sì.

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Quando siamo venuti a conoscenza della convocazione dell’Aiad alle sue federate, considerando che si tratta di un consorzio di aziende della Difesa e non imprese casuali e che molte di queste rientrano proprio nell’alveo del nuovo settore definito «duplice uso» – che contiene gli asset civili che possono, all’occorrenza, essere usati anche dai militari, abbiamo capito che in questo sistema che si vuol far passare come pulito, cristallino quasi, ci potrebbe essere qualche crepa.

La lettera che il nostro direttore ha ricevuto ieri dalla direzione dell’Aiad specifica questa ha «semplicemente dato seguito, per quanto di sua competenza, a una normalissima richiesta di aggiornamento della scheda informativa sul Paese in questione da parte delle autorità […] Conoscere è necessario per decidere e questo vale anche per il ministero della Difesa». Ma vale anche per i cittadini italiani. Se lo Stato maggiore della Difesa chiede alle aziende che di occupano di Difesa di «ricevere eventuali contributi aggiornati relativi allo stato dei rapporti in essere, pregressi o in divenire con il Paese in questione», ovvero Israele, conoscere è necessario.

Dal mondo politico sono arrivate diverse reazioni, accomunate dalla richiesta di chiarezza a Guido Crosetto. Il Movimento 5 stelle ha subito chiesto al ministro «di cosa si è discusso nell’incontro tra Smd e rappresentanti israeliani e di spiegare come questo piano di rilancio della collaborazione con Israele si concili con le sue ripetute dichiarazioni sullo stop alla concessione di nuove licenze di export militare verso Israele». Il Pd, tramite la segretaria Elly Schlein, ha fatto sapere che intende presentare un’interrogazione parlamentare.

Più duro Nicola Fratoianni, secondo il quale «questo scoop mette spalle al muro Meloni e compagnia, perché dimostra che hanno mentito per mesi al Parlamento e ai cittadini. Ma ora la verità è venuta a galla». Il ministro degli Esteri Tajani, incalzato da un collega del Fatto quotidiano che gli chiedeva conto della nostra inchiesta, non ha voluto rilasciare dichiarazioni.
È palese che la nostra inchiesta ha creato diversi malumori, forieri di un’aggressività fuori luogo in alcune risposte a mezzo stampa, ma riproponiamo la stessa domanda e chiediamo che il governo faccia chiarezza.



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