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Cassazione e “ragion di Stato”: è legittima l’imposta sull’imposta?



La Cassazione considera assoggettabili ad IVA gli oneri generali afferenti al sistema elettrico, che le imprese fornitrici dell’energia addebitano agli utenti, maggiorando in pari misura il prezzo delle loro forniture e riversandone per conto di questi ultimi l’esatto ammontare alla Cassa per i servizi energetici e ambientali. Il caso tocca, oltre ai privati consumatori, anche le imprese che, esercitando attività esenti da IVA, non hanno diritto o hanno diritto limitato alla detrazione dell’imposta, nonché le amministrazioni locali che erogano servizi indivisibili alla generalità dei cittadini. La Cassazione pare voler chiudere in modo fin troppo repentino un vasto contenzioso che è durato diversi anni ed ha avuto vicende alterne nei gradi di merito, sostenendo una linea che pare rispondere alla “ragion di Stato” e che legittima l’applicazione di una “imposta sull’imposta”, in violazione del principio costituzionale della capacità contributiva e dei princìpi europei in materia di IVA. Ma la questione è tutt’altro che risolta…

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Saldo e stralcio

 

Con la sentenza n. 8819 pubblicata il 3 aprile 2025 la Sezione V della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto assoggettabili ad IVA gli oneri generali afferenti al sistema elettrico (“OGSE” o “OGdS”), che le imprese fornitrici dell’energia addebitano agli utenti, maggiorando in pari misura il prezzo delle loro forniture e riversandone per conto di questi ultimi l’esatto ammontare alla Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (“CSEA”).
Secondo la Corte (che richiama sul punto la sentenza delle Sezioni Unite n. 35282 del 18 dicembre 2023), “gli oneri generali di sistema si contraddistinguono come componenti tariffarie, normativamente imposte, finalizzate alla copertura di costi relativi ad attività che, pur di interesse generale, si mostrano rigorosamente circoscritte al funzionamento (e all’implementazione) del sistema elettrico nazionale”. Pertanto, pur riconoscendone il “carattere cogente”, la Corte ha ritenuto che il pagamento degli OGSE abbia una “stretta correlazione alla prestazione da eseguire in favore dell’utente del servizio” e, per tale ragione, gli addebiti in questione “non rivelano natura tributaria ma di corrispettivo contrattuale, sicché rientrano nella base imponibile ai fini IVA”.

Il caso esaminato dalla sentenza tocca, oltre ai privati consumatori, anche le imprese (banche, assicurazioni, case di cura) che, esercitando attività esenti dall’imposta, non hanno diritto o hanno diritto limitato alla detrazione dell’IVA, nonché le amministrazioni locali che erogano servizi indivisibili alla generalità dei cittadini (che, come i consumatori finali, subiscono l’onere dell’IVA).

Non è dato sapere se i Giudici di Piazza Cavour, nel decidere la controversia, abbiano considerato l’impatto sul gettito IVA che avrebbe avuto una pronuncia in senso favorevole ai contribuenti. Sta di fatto che la sentenza pare voler chiudere in modo fin troppo repentino un vasto contenzioso che è durato diversi anni ed ha avuto vicende alterne nei gradi di merito, sostenendo una linea che pare rispondere alla “ragion di Stato” e che legittima l’applicazione di una “imposta sull’imposta” in violazione del principio costituzionale della capacità contributiva e dei princìpi europei in materia di IVA.

Nella sentenza n. 8819/2025 si osserva che “il pagamento degli OGdS non confluisce nel bacino della ‘fiscalità generale’: il loro flusso permane nello spettro limitato delle esigenze di tenuta e di implementazione del sistema di rete elettrica” e si deduce da ciò che “gli oneri, quindi, sfuggono al necessario collegamento con il principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., considerato come attuazione del concorso di tutti al finanziamento della spesa pubblica su base solidaristica e in un modo equo, in quanto parametrato alle condizioni economiche del singolo soggetto”, giungendo poi alla conclusione per cui “la corresponsione degli OGdS è, in questo senso, un versamento direttamente correlato – al pari degli altri costi che compongono la bolletta – alla prestazione contrattualizzata di acquisto dell’energia, perché in difetto di tale versamento nemmeno la prestazione energetica sarebbe erogabile”.

Tutti i punti sopra evidenziati meritano una ferma smentita.

In primo luogo, la stessa Corte di Cassazione riconosce che la “maggiorazione” costituita dagli OGSE, pur non confluendo nella “fiscalità generale”, rimane comunque volta “a soddisfare gli specifici e diversificati interessi dei soli soggetti che a quel ristretto sistema di erogazione energetica senz’altro partecipano” ed è strumentale “a consentire la salvaguardia della regolarità, economicità e funzionalità del servizio richiesto dai consumatori”. Ma già parlare di “fiscalità generale” costituisce implicito riconoscimento di una fiscalità di natura diversa (“particolare”, “locale”?) e, di conseguenza, aver escluso gli OGSE dall’area della “fiscalità generalenon può comportare la loro completa esclusione dal più ampio sistema dei prelievi coattivi di ricchezza destinati a finalità di interesse generale.

Ai fini del corretto inquadramento dei prelievi in esame va posta attenzione più alla concreta disciplina del rapporto giuridico sottostante che alla loro formale denominazione, spesso influenzata dall’intento di evitare l’impatto politico-sociale di termini come “imposta” o “tassa”, sostituendolo con terminologie più concilianti. Ad esempio, i contributi dovuti alle Regioni per l’iscrizione ai corsi universitari rientrano senz’altro nello schema della “tassa” e, pur rendendosi dovuti solo a seguito dell’iscrizione, configurano comunque il concorso solidaristico degli studenti. Lo stesso ragionamento può essere fatto per le tasse portuali in cui, probabilmente, l’esistenza di una controprestazione è altrettanto più evidente.

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Come le tasse universitarie anche gli OGSE vengono richiesti (parole della Corte) ad una “ristretta platea di soggetti-utenti” ma ciò non può certo far venir meno la loro destinazione a finalità di interesse generale se il loro gettito viene affidato ad un apposito ente pubblico (la CSEA) e destinato a spese dirette al finanziamento di interventi che, pur essendo legati al sistema energetico nazionale, vanno a beneficio dell’intera collettività, quali ad esempio il “decommissioning” delle centrali nucleari, il sostegno alla ricerca in materia di efficienza energetica e di fonti rinnovabili, compresa la salvaguardia dell’ambiente. Ed è per questo che l’ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambienti), con deliberazione 50/2018/R/eel, ha considerato gli OGSE come “imposte indirette, che la legge (D.Lgs. n. 79/1999, decreto Bersani) ha costruito come ‘maggiorazioni’ dei corrispettivi del servizio di trasporto di energia elettrica”.

L’aspetto che, nella ricostruzione della Corte di cassazione, pare assumere centralità (e che va parimenti criticato) è però costituito dal fatto che, secondo la Corte, “gli OGdS si configurano, in nuce, alla stregua di componenti tariffarie, atte ad integrare i corrispettivi del servizio di distribuzione”. L’ambigua osservazione viene utilizzata per sostenere la conclusione (ancora più ambigua) per cui “il loro flusso permane nello spettro limitato delle esigenze di tenuta e di implementazione del sistema di rete elettrica” e per questa ragione gli oneri in questione resterebbero (ulteriore ambiguità) “variamente indirizzati alla copertura di costi relativi ad attività che espongono un nesso intimo con la gestione del sistema energetico nazionale”.

A ben vedere, la Cassazione tralascia del tutto di considerare l’unico aspetto veramente rilevante, costituito dalla assenza della natura di corrispettivo contrattuale della “maggiorazione” in parola. Evidentemente, anche gli introiti degli OGSE sono destinati alla copertura degli oneri del sistema energetico nazionale ma, proprio per questo, essi non possono essere riferiti alla singola fornitura di energia né, tantomeno, se ne può attribuire il beneficio al fornitore del servizio.

D’altronde, l’assenza della corrispettività nel caso in esame emerge dagli articoli 2 e 3 del D.P.R. n. 633/1972, come interpretati alla luce dell’art. 73 della direttiva n. 2006/112/CE, ove si stabilisce che la base imponibile è costituita dal “corrispettivo effettivamente pagato o da pagare” e si prevede che la base imponibile non possa comprendere le componenti di prezzo imposte autoritativamente da enti pubblici o da enti privati su delega pubblica, “quando non rappresentano un vantaggio economico per il prestatore”. Peraltro, secondo la Corte di giustizia UE, un tributo può rientrare nella base imponibile IVA: a) se presenta un legame diretto con tale cessione o prestazione (Corte di Giustizia UE, 11 giugno 2015, C-256/14; 28 luglio 2011, C-106/10; 22 dicembre 2010, C-433/09); b) se grava sul fornitore dell’operazione soggetta ad IVA e non sul suo cessionario o committente (Corte di Giustizia UE, 5 dicembre 2013, C- 618/11, C-637/11, C-659/11).
Ciò detto, la questione esaminata dalla sentenza n. 8819/2025 è tutt’altro che risolta e, perché ciò avvenga, sarà necessario che la Corte di Cassazione prenda in esame gli interrogativi tuttora rimasti senza risposta, sui quali certamente avrà modo di ritornare esaminando i ricorsi ancora pendenti.

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