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L’incertezza ferma il calo dei tassi


Fra guerre in corso e conflitti potenziali, annunci di maxi-dazi e frettolose ritirate, è difficile anche per gli esperti azzardare previsioni. E, come si sa, non c’è peggior nemico per la crescita e lo sviluppo dell’incertezza. Ne sanno qualcosa le migliaia di imprenditori che, quotidianamente, devono decidere che cosa fare per resistere su mercati sempre più difficili.

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Ieri, la brusca frenata della Bce sul fronte dei tassi di interesse, dopo una sequenza di ben otto riduzioni ha tutto l’aspetto di un segnale di allarme per l’Europa. Anche negli Stati Uniti, la Fed guidata da Powell ha fermato la discesa del costo del denaro, generando l’ira del presidente americano, Donald Trump. Ma l’effetto combinato di dazi e conflitti non fa altro che alimentare preoccupazioni sul versante dell’economia, rendendo praticamente tutto più difficile.

Soprattutto in Europa, dove l’assenza di una governance efficace, la frammentazione degli interessi e l’assoluta mancanza di una politica fiscale comune rendono praticamente impossibile una programmazione degli interventi necessari per uscire dal cono d’ombra di una crisi sempre più incombente. È vero che la trattativa con gli Usa sui dazi sembra essere arrivata a un punto decisivo, con l’ipotesi di tariffe al 15%. Rispetto al 30% minacciato è sicuramente un fatto positivo. Ma anche così, per le imprese italiane il conto rischia di essere salato, con un taglio dell’export di almeno 23 miliardi di euro, a cui si sommano gli effetti del rallentamento dell’economia, poco meno di mezzo punto in due anni. Di fronte a questi scenari bisognerebbe pensare a terapie d’urto, anche a livello dei singoli Stati. Non a caso ieri la presidente della Bce, Christine Lagarde, oltre a raccomandare rigore nelle politiche di bilancio, puntando su produttività e resilienza, ha chiesto ai governi nazionali di dare priorità alle riforme e agli investimenti strategici, assicurando conti pubblici sani. Ma tutto questo potrebbe non bastare. Perché in una competizione dove il confronto avviene a livello di superpotenze, anche l’Europa, che rappresenta ancora uno dei mercati più ricchi del mondo, deve cambiare marcia. Sul fronte finanziario, completando l’unione dei mercati dei capitali e dei risparmi e l’unione bancaria, assieme all’approvazione di un quadro regolamentare per l’introduzione di un euro digitale. Ma soprattutto sul fronte politico, accelerando quel processo di integrazione fra gli Stati che finora è stato realizzato solo in minima parte, prima a causa degli egoismi nazionali e, poi, dal vento del sovranismo. Fa bene, allora, la Bce ad andare avanti con prudenza, per evitare salti nel buio. Ma fanno male, invece, gli Stati nazionali a non rendersi conto della situazione di emergenza e a pianificare un vero processo riformatore in grado di rafforzare l’Unione Europea e spingerla sul terreno delle innovazioni, dello sviluppo e della competitività. Magari rinunciando a battaglie ideologiche e puntando, invece, a conquistare quote di mercato e diventare più autonoma rispetto agli Usa.





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