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Kundan Lal Gupta, l’industriale indiano che salvò 14 ebrei senza far rumore


di Davide Cucciati
Come racconta il nipote nel libro ‘A rescue in Vienna’, nel 1938 Gupta a Vienna conobbe una giovane coppia ebrea, che gli raccontò delle crescenti persecuzioni contro gli ebrei in Austria. Colpito da quella testimonianza, l’imprenditore ideò un piano tanto audace quanto ingegnoso: fondare imprese reali o fittizie con l’unico obiettivo di ottenere visti di lavoro per ebrei austriaci.

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Tra le tante storie di salvataggio legate alla Shoah, alcune sono rimaste a lungo dimenticate. È il caso di Kundan Lal Gupta, un imprenditore indiano originario del Punjab che, senza alcun legame con l’Europa o con l’ebraismo, salvò la vita a 14 ebrei austriaci alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Il suo gesto, rimasto a lungo sconosciuto, è emerso solo di recente grazie alla pubblicazione del libro A Rescue in Vienna, scritto dal nipote Vinay Gupta e ripreso da diverse testate internazionali, tra cui la BBC e The Jewish Chronicle.

Il nipote Vinay Gupta ospitato dall’ambasciatrice austriaca in India S.E. Katharina Wieser

Secondo quanto riferito da Ynet, che cita la BBC, tutto ebbe inizio nel 1938, quando Gupta, allora quarantacinquenne, si recò a Vienna per motivi di salute. Durante il ricovero, egli conobbe una giovane coppia ebrea, Lucy e Alfred Wexler, che gli raccontò delle crescenti persecuzioni contro gli ebrei in Austria. Colpito da quella testimonianza, l’imprenditore capì di non poter restare indifferente. Pertanto, una volta tornato in India, Gupta ideò un piano tanto audace quanto ingegnoso: fondare imprese reali o fittizie con l’unico obiettivo di ottenere visti di lavoro per ebrei austriaci. All’epoca, infatti, un contratto di lavoro all’estero rappresentava uno dei pochi mezzi legali per lasciare lo Stato. Così, l’imprenditore indiano pubblicò degli annunci sui quotidiani viennesi, rivolti a operai specializzati disposti a trasferirsi in India.

L’intera operazione si svolse nella più totale riservatezza: né le autorità britanniche né quelle indiane furono coinvolte e persino la famiglia di Gupta ne fu informata solo al suo ritorno.

Tra le persone che egli riuscì a salvare figura Fritz Weiss, un avvocato costretto dai nazisti a pulire le strade di fronte alla propria abitazione, poi rifugiatosi in ospedale fingendosi malato. Secondo le fonti, Gupta gli offrì un impiego presso la fittizia “Kundan Agencies”, grazie alla quale ottenne un visto per l’India, prima di trasferirsi in Inghilterra. Un altro beneficiario fu Hans Losch, tecnico tessile, assunto attraverso un’altra società di facciata, la “Kundan Cloth Mills”. Losch fu ospitato nella casa di Gupta a Bhalodhyana ma in seguito si trasferì a Mumbai. The Jewish Chronicle ricorda anche Alfred Schafranek, ex proprietario di una fabbrica di compensato con cinquanta dipendenti, Siegmund Retter, imprenditore di macchine utensili e naturalmente Alfred Wexler, insieme alla moglie Lucy, all’epoca incinta.

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Gupta non cercò mai riconoscimenti per le sue azioni. Morì d’infarto nel 1966, all’età di 73 anni. Solo molti anni dopo, sua figlia raccontò al nipote questa storia rimasta sepolta, dando così avvio a un paziente lavoro di ricostruzione storica e familiare.

Oggi, grazie a A Rescue in Vienna e all’attenzione di alcuni giornali, viene restituito alla memoria collettiva il nome di un uomo che, da un altro continente, decise di agire per salvare degli sconosciuti.

Un coraggio silenzioso che merita finalmente di essere ricordato.

 



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